Senso di oppressione, profonda insoddisfazione, paura e rimorso

Salve,
sono un 29enne a cui circa due anni fa è stata diagnosticata dal medico di famiglia una sindrome depressivo-ansiosa. Dopo aver svolto una lunga serie di sedute di psicoterapia assieme a una psicologa a cui sono stato inviato dopo tale diagnosi, mi sono sentito meglio e sono riuscito a concludere i 9 esami che mi mancavano alla laurea - mi ero bloccato e, in conseguenza di un crollo, non riuscivo più a trovare la voglia o lo stimolo di fare niente se non alzarmi dal letto il mattino. Tuttavia, i miei problemi non sono scomparsi. L'ansia che avevo allora è riuscita a placarsi almeno in parte, ma la sensazione di oppressione e di enorme insoddisfazione rimangono. Qualcuno mi ha detto, informalmente, che sto attraversando una fase in cui sto "facendo un bilancio" della vita sinora vissuta. Fatto è che dopo la laurea ho preso tutta una serie di decisioni, come espatriare e cercare lavoro fuori, seguire corsi di formazione post-laurea ecc. Ma non riesco a trovare la tranquillità che doveva esserci: continuo ad avere difficoltà enormi nell'instaurare relazioni di amicizia (in parte per la mia timidezza, ma anche perché è sempre stato così sin dalla mia infanzia), mi sento angosciato e ho una paura folle del mio futuro, ho spesso pensieri di suicidio e la sensazione di vivere in un mondo "parallelo", sganciato dalla realtà, fatto solo dai miei pensieri, che sovraffollano la mente. Ho poi costanti rimorsi per non aver combinato niente in tutta la mia vita, a parte aver preso una laurea che non sto usando perché non solo non trovo lavoro, ma faccio fatica anche a orientarmi nel mondo del lavoro e nella ricerca della mia strada. Le problematiche con la famiglia, i rapporti con i genitori, con altre persone di riferimento come sorella ecc. le ho già tutte affrontate durante il mio percorso psicoterapico (perché erano importanti per superare uno shock emotivo che avevo subito dopo la fine di una storia importante e per rimettermi in pari con esami) quindi, almeno secondo me, non sono più rilevanti (o lo sono solo in parte) per definire lo stato in cui mi trovo. Soffro perché sono solo, mi sono recato, qua in Germania, qualche giorno fa allo sportello di una psicologa che offre consulenza gratuita all'università e mi ha suggerito di andare da uno psichiatra. Aggiungo che ogni tanto prendo qualche goccia di EN per cercare di tranquillizzarmi, sebbene il farmaco a volte funzioni e altre volte no. Credo, inoltre, di non essere più in grado di concentrarmi come prima. La mia facoltà di ricordare e richiamare anche concetti o parole in un'altra lingua (tedesco, nella fattispecie) è come offuscata, tutto è appesantito e faccio anche fatica a seguire il ragionamento di una persona a me sconosciuta che ho di fronte. Ho anche eseguito dei test "online" di Asperger, perché dopo essermi in abbondanza documentato mi è venuto da supporre che sia sempre stato un Asperger. Anche se so che si tratta in ogni caso di un'etichetta.

Non so cosa fare, chiedo aiuto
Grazie
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Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119 6
Gentile utente,
concordo con il consiglio della psicologa di rivolgersi da uno psichiatra (dal vivo).

Il Delorazepam (l'En) potrebbe avere effetti negativi sulla concentrazione. Comunque, senza la visita specialistica psichiatrica, non bisogna prendere gli psicofarmaci (compreso l'En).

Dr. Alex Aleksey Gukov

[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile dott. Gukov,

La ringrazio della risposta prima di tutto. Ci tengo a specificare però che di EN ne assumo e ne ho sempre assunto POCHISSIMO e solo molto raramente. Dunque io personalmente escludo che una causa del crollo della mia capacità di concentrarmi sia dovuto a questo farmaco, anche perché, quando mi è stato prescritto dal mio medico di base, mi è stato anche consigliato di prenderne veramente POCO. E a tali disposizioni io mi sono sempre attenuto.

Mi chiedo, più che altro, cosa possa farmi uno psichiatra, dal momento che io prima vorrei capire qual è il motivo per cui continuo a sentirmi così come ho descritto nel mio consulto. So che sicuramente c'è un fortissimo stress alle spalle, ma non riesco a capirne i motivi né l'origine, nonostante le sedute di psicoterapia fatte con la mia ex psicologa avessero riportato alla luce diversi episodi. So solo che così non riesco ad andare avanti, perché ho persino paura di uscire dalla camera del mio appartamento!! E di avere a che fare con gli altri. Difatti, la maggior parte delle volte - anzi, direi SEMPRE - tutto ciò che si potrebbe fare con qualcun altro lo faccio sempre da solo.

Ho un altro problema: temo, purtroppo, che gli altri si rendano conto della mia "ingenuità" o "autenticità" quando cerco di intrattenere rapporti interpersonali o comunicativi e spesso sfruttano questo a loro vantaggio, una cosa che non riesco proprio a sopportare.

La ringrazio comunque per l'attenzione e Le auguro buona domenica.
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Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119 6
Gentile utente,
buona domenica anche a Lei.

Lei scrive:

<<..Mi chiedo, più che altro, cosa possa farmi uno psichiatra, dal momento che io prima vorrei capire qual è il motivo per cui continuo a sentirmi così come ho descritto nel mio consulto..>>

La prima cosa che lo psichiatra dovrebbe fare è proprio il capirne il motivo. Non mi riferisco necessariamente al motivo "profondo", ma nei termini clinici, di uno stato di malattia che possa richiedere una cura adeguata. Che senso ha andare dallo specialista se si sa già tutto ? E non è corretto andare dallo specialista sapendo già al posto suo che cosa lui farà. Altrimenti il lavoro dello psichiatra si riduce all'esecuzione delle cose su ordinazione, come in un atelier dei vestiti.

E' presente la storia di diagnosi di una malattia psichica (sindrome ansioso-depressiva), fatta però dal medico di base. Doveva essere già allora confermata o corretta e meglio specificata da uno specialista, perché sono delle diagnosi di competenza specialistica. Nel Suo caso, leggendo i Suoi consulti precedenti, posso ipotizzare che il medico di base, facendo tale diagnosi, poteva anche non essere al corrente di tutti i particolari importanti della Sua situazione. O, anche se ne era al corrente, tale diagnosi rimane abbastanza generica (lo sottolinea anche la parola "sindrome", cui significato è un complesso sintomatologico che accomuna più entità morbose diverse, non ne specifica una in particolare, né specifica le cause).

Dalla Sua descrizione, attualmente la situazione si è aggravata, con la comparsa anche delle idee di suicidio, e questo è un motivo importante in più per fare la valutazione specialistica psichiatrica. La malattia (a parte quale è), può essere ora nella fase nuova, a rischio. Inoltre, le persone che si trovano nelle condizioni di relativo isolamento sociale (compresi i motivi di possibile discriminazione delle loro preferenze nella vita di relazione) sono più a rischio.

Dunque, bisogna valutare la situazione anche nei termini della gravità dell'attuale stato depressivo e l'eventualità di una terapia anche farmacologica più specifica. O, nel caso nel quale la terapia farmacologica non sarà ritenuta indicata, è anche questa una decisione di responsabilità, che deve fare lo psichiatra. Questo ultimo aspetto non è detto che sia la soluzione radicale per la problematica di fondo, ma probabilmente sì per quella attuale.

In ordine di preferenza, il Suo problema è fatto di due componenti: prima bisogna risolvere il problema acuto, salvarLa, prevenire l'evoluzione ulterioramente peggiorativo. E, in seguito, nella situazione più stabile, poter permettersi di occuparsi del problema di fondo, dove è molto probabile che ci vorrà l'aiuto anche di uno psicologo.

Posso capire e condividere la logica della psicologa che Lei ha consultato allo sportello universitario: verosimilmente lei ha valutato le priorità in quell'ordine che Le ho appena esposto.