Uno stato depressivo ossessivo onde delegare responsabilità

Salve sono in un momento di acuta depressione. Sono al secondo anno del mio percorso universitario (all'estero). Con varie sedute di psicoterapia sono arrivato alla conclusione che mi "pongo quasi volontariamente" in uno stato depressivo ossessivo onde delegare responsabilità e decisioni importanti. Mi è stato prescritto un farmaco antidepressivo che ormai prendo da quasi 2 anni, l'avevo smesso a luglio dell'anno passato visto che sembravo "guarito" ma a novembre sono tornato a prenderlo e sono ricaduto in uno stato in cui mi sembra di non avere più risorse per uscirne davvero. Sto facendo anche soffrire persone a me vicine, e questo non mi fa ne caldo ne freddo perchè non sento più nessuna emozione. Da quando sono stato etichettato come "malato" (io ero una persona più che salutare) sono entrato in un circolo ossessivo dal quale non riesco più ad uscire, e mi sta distruggendo psicologicamente e fisicamente. Ora sono arrivato a un punto nel quale mi rendo conto di essere veramente chimicamente alterato (alimentazione, farmaco e ipersonnia) e nel quale ho perso completamente fiducia nella mia persona. Ho spesso pensieri suicidari, che valuto come risposta lecita del mio cervello ad uno stato di ipertensione ed estenuante affaticamento (non smetto mai di pensare). Tendo a dar la colpa ad eventi esterni della mia attuale situazione (educazione ricevuta, ereditarietà, fattori ambientali, lacune infantili) ma mi rendo conto che a livello razionale sto semplicemente cronicizzando uno stato d'animo distruttivo che mi porta alla quasi completa paralisi (sociale, lavorativa, sentimentale). La mia più grande paura è che anche se uscirò mai da questo stato, ad ogni cambiamento nella mia vita esso si ripresenterà con forza sempre maggiore (forza datagli principalmente dalla recidiva), e quello che ancor più mi spaventa è il fatto che mi sembra che mi stia arrendendo masochisticamente, così giovane, a un malessere più grande di me, creato da me. Prima un pensiero ancora/salvezza era: ogni sofferenza serve a qualcosa. ma ora mia sembra davvero esagerata, e anche quel pensiero viene disintegrato da questo mostro che si mangia tutto.

La mia domanda è: possibile che inconsciamente io scelga questa sofferenza atroce per non affrontare la realtà? Mi sembra che piu vado avanti così meno sarà possibile superare questo blocco psichico...
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 990 248
Gentile utente,

Non si sta ponendo né sta cronicizzando alcunché. Le malattie hanno un loro decorso, trattandosi di malattie che coinvolgono il comportamento e la visione delle cose, ma soprattutto l'istintualità e l'affettività, non è logico pensare di essere depresso e di poter orientarsi verso condotte antidepressive, anche se esistessero.
La sofferenza serve a qualcosa quando è finita, questo è un ragionamento che molti fanno a posteriori, ma è altrettanto vero che si chiama sofferenza perché non la si vorrebbe. L'etichetta di malattia si chiama semplicemente diagnosi, è un modo per decidere una cura, non un'etichetta con nessun altro valore morale o di identità da dare al malato.


Detto questo, che cura sta facendo ? E dopo averla ripresa a Novembre, se non ha avuto miglioramenti, perché a questo punto non c'è un cambiamento della cura ?

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini

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Dr. Mario Savino Psichiatra 1.3k 75 10
Non si sta auto-condannando alla depressione, consciamente o "inconsciamente". E' depresso e dunque deve curarsi, non scoprire "di chi è la colpa" perché questo non risolve la depressione la cui causa è solitamente un insieme di fattori, ambientali, familiari, genetici, neurologici.

Mario Savino
medico
Specialista in Psichiatria

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dopo
Utente
Utente
Gentili dottori, grazie della risposta così rapida.
Non ho capito il passaggio delle logicità di pensare di essere depresso e orientarsi verso logiche antidepressive... Vuol dire che sto auto-boicottando una eventuale guarigione adagiandomi in questo malessere (il che è una sensazione ricorrente che provo e che incrementa i miei sensi di colpa).
Sono in cura con Cipralex in gocce ma oltre che aumento di peso e forte sonnolenza non riscontro alcun effetto positivo se non che una maggiore convinzione di avere qualcosa che non riesco a controllare e che mi perseguiterà sempre.
Mi sto identificando sempre di più con questo mio malessere rendendolo la mia caratteristica principale, e questo mi spaventa al quanto riempiendomi di angoscia.
Spesso lo attribuisco alla mia scelta universitaria e mi condanno per non essere stato in grado di gestirla. Mi rendo anche conto che questa rigidità mentale mi sta portando a rovinare ogni aspetto della mia vita in quanto nel concreto le mie giornate sono diventate un vuoto insostenibile che mi sta portando a isolamento, rabbia e frustrazione.
Non mi voglio più bene,e a volte ho paura di commettere atti impulsivi ai danni di me stesso (come atti autolesionisti o via dicendo), cose che neanche minimamente ho mai contemplato né pensavo di arrivare a contemplare.

Quello che spesso mi risulta difficile è l'accettare che questa sia veramente una malattia e che io sia effettivamente malato...
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 990 248
Gentile utente,

" Vuol dire che sto auto-boicottando una eventuale guarigione adagiandomi in questo malessere "

Non può boicottare né favorire nessuna guarigione. Le malattie si curano o passano da sole. Nessuno ha il potere di cambiare i propri sintomi, non si sa bene con quale organo o funzione questo dovrebbe avvenire.

Quel che si diceva prima è che nella depressione il pensiero prende automaticamente una forma depressiva, con ragionamenti e prospettive depressive, ovvero idee di colpa ad esempio, rimuginazioni su errori, cause del proprio malessere e così via, di regola a fondo perduto, non verso una soluzione in avanti ma verso un ripensamento continuo o una mancanza di speranza.

Non c'è niente da accettare di particolare. Essere "veramente" malato non significa niente di più che uno stato di sofferenza corrispondente ad un fenomeno molto ben conosciuto e che risente in maniera anche rapida di alcune cure.