Nuova struttura, nuova diagnosi

Gentili dottori,

Vorrei un Vostro parere relativamente ai fatti a me accaduti negli ultimi mesi e in merito alla situazione attuale.
Sono stato in cura presso un CPS dal 2010 fino alla fine dello scorso anno; per una serie di ragioni mi sono trovato ad interrompere le cure in tale centro ed iniziarle in un altro a inizio 2014.
La questione che vi pongo riguarda essenzialmente l'aspetto diagnostico e la relativa cura proposta.

Nel primo centro sono rimasto in cura per anni per disturbo depressivo maggiore, variabilità dell'umore, con tratti ansiogeni e problematiche del sonno. La diagnosi è stata effettuata da medico psichiatra e la cura è consistita sempre in sedute di psicoterapia cognitivo comportamentale, colloqui psichiatrici e supporto farmacologico costante (ansiolitici, ipnotici, antidepressivi, neurolettici, stabilizzatori dell'umore; ultime prescrizioni: Delorazepam, Zolpidem, Amitriptilina, Olanzapina, Acido Valproico). Nel nuovo centro la diagnosi è stata effettuata sostanzialmente dallo psicologo con colloqui e test di Rorschach. Questa si discosta parecchio dalla precedente (che escludeva tratti psicopatici), consistendo in disturbo antisociale della personalità e disturbo narcisistico. La proposta di cura consiste in colloqui psicologici e un supporto farmacologico tendente al nulla, mancando molecole indicate al trattamento di un tale profilo patologico.

Come può esserci tutta questa soggettività nella diagnosi e come posso valutare questa grande differenza (la nuova diagnosi mi può far pensare di aver seguito cure errate per diversi anni e preso una grande quantità di farmaci che non mi servivano)? Tuttavia, per quanto non condividessi appieno la prima proposta, la trovo decisamente più vicina alla realtà rispetto a quella attuale e, nel frattempo, la sintomatologia non si è modificata, è andata semmai aggravandosi.

Insomma, non riesco a ritrovarmi in una proposta di cura così lontana da quello che sento e, soprattutto, da quella precedente; per queste ragioni mi risulta difficile poter intraprendere un nuovo percorso e pertanto rischio di dover rinunciare alle cure e rimanere totalmente senza supporto (con i rischi che ciò comporta). Ho come il timore che, anche se andassi in un terzo centro potrei imbattermi in una terza visione delle cose.

Vi ringrazio in anticipo per la disponibilità.
Cordialmente, Utente 330141.
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Dr. Roberto Di Rubbo Psichiatra, Psicoterapeuta 1.1k 24 4
Gentile utente,
ovviamente per noi non è possibile avere un parere sulle diagnosi che le sono state fatte, pur comprendendo che sembrano distanti l'una dall'altra. La cosa che potremmo consigliarle di fare è di esprimere i suoi dubbi ai suoi curanti attuali e decidere poi in quale direzione orientarsi. La terapia per il suo disturbo ovviamente parte da una diagnosi e va costruita nel tempo. Uno degli elementi fondamentali è che lei chiarisca i suoi dubbi con chi la cura al fine di iniziare una relazione terapeutica che preveda un'alleanza terapeutica più solida possibile.

Coridalità

Dr. Roberto Di Rubbo

[#2]
Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41k 1k 63
Le diagnosi riferite appartengono a due assi di valutazione differenti.

E' anche probabile che entrambe possano coesistere nel suo caso specifico.

https://wa.me/3908251881139
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[#3]
dopo
Utente
Utente
Gentile dottor Di Rubbo,

La ringrazio per la pronta risposta.

Purtroppo quanto mi consiglia è esattamente quello che ho già tentato di fare negli incontri degli ultimi due mesi, dopo che, alla fine di aprile, mi è stata consegnata la relazione diagnostica descritta.

Nonostante una approfondita analisi di quanto mi è stato presentato la loro posizione diagnostica non è variata per nulla e quelli che ho presentato come dubbi in merito da chiarire sono rimasti semplicemente punti di discordanza tra le parti.

Chiaramente la differente visione della situazione ha valore limitato se si considera il mio solo punto di vista (da paziente e non da medico), tuttavia stride troppo con quello che è stato il mio passato terapeutico - come descritto - ed è ciò a impedire il mio appoggio alla nuova proposta; ormai ho passato troppo tempo in condizioni infelici e temo di non avere più la resilienza per affrontare un percorso da zero che parte con più dubbi che certezze e non considera l'esperienza precedente (non mi sono state chieste informazioni relative ad essa, né a livello terapeutico e farmacologico, né in merito all'evoluzione della patologia durante gli anni passati).
[#4]
dopo
Utente
Utente
Gentile dottor Ruggiero,

Grazie per la Sua risposta.

Tengo presente l'eventualità da Lei suggerita, tuttavia non riesco a conciliarla con alcuni passaggi delle relazioni dei due centri: da una parte si negano espressamente tratti patologici relativi a disturbi di personalità sopra descritti; dall'altra viene invece negata l'esistenza di una depressione clinica (e quindi della necessità di supporto farmacologico conseguente), sostituita da una depressione anaclitica che non trova compatibilità con età e vissuto familiare.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41k 1k 63
Probabilmente la testistica nel secondo caso è stata utilizzata per fare una diagnosi psicopatologica, mentre il test indirizza verso una diagnosi ed andrebbero valutati i sintomi secondo dei criteri specifici.
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Dr. Roberto Di Rubbo Psichiatra, Psicoterapeuta 1.1k 24 4
Gentile Utente,
La discordanza che lei riscontra può in effetti essere legata al fatto che nel primo caso le è stata fatta una diagnosi prettamente psichiatrica, che mette l'accento sulla sintomatologia pur tenendo presente, ma sullo sfondo, la psicopatologia di base. Nel secondo caso la diagnosi sembra essere prettamente psicologica, dove gli accenti sono posti al contrario. Su questa base dovrebbe decidere quale dei due approcci le sembra appropriato per lei. Entrambi presentano pregi e difetti. È comprensibile un certo grado di disorientamento, ma cerchi di non scoraggiarsi nel perseguimento del suo benessere.
Cordialità
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