Disagio, o fastidio, per le opinioni altrui diverse dalle mie

Salve,
ho 39 anni, sono un giornalista, disoccupato, attualmente impegnato nella preparazione per un concorso (concorso a cattedre - scuola secondaria). Vivo a casa con i miei genitori e sono single. Conduco una vita solitaria, ogni tanto mi incontro con un amico per un caffè o un aperitivo. Amo leggere, scrivere, e il cinema. Vengo al punto. Non è facile esporvi il mio problema perché nemmeno io so identificarlo con precisione. Ci proverò. Mi crea disagio sentire opinioni diverse dalle mie, sulla politica (soprattutto), su tematiche inerenti la verità storica o scientifica (non sopporto i complottisti). Non riesco a capire perché provi detto disagio e se di disagio trattasi. Potrebbe essere fastidio nel dover accettare che qualcuno la "sappia più lunga" di me su certe cose? Non lo so, ma non credo, giacché, difficilmente, prendo posizione su temi di cui non ho sufficiente padronanza. Non lo so....non riesco a capire questo mio disagio!
Grazie
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Dr. Alessio Congiu Psicologo, Psicoterapeuta 83 6 16
Gentile utente,

dalle poche informazioni a disposizione è difficile poterle darle un parere attendibile senza ricadere in grossolani errori d'interpretazione.

Da quanto ci scrive emerge puramente come spesso si trovi a vivere con disagio/fastidio (rabbia?timore di colpa?) l'ascoltare pareri diversi da quelli personali.

Se ci rifacessimo ad una prospettiva di tipo cognitivo-comportamentale, tuttavia, il fastidio che lei dichiara di provare (EMOZIONE) non potrebbe essere ricondotto a quanto ascoltato (EVENTO), bensì al modo peculiare con cui lo starebbe venendo interpretato (PENSIERO).
Riassumendo, avremmo la seguente situazione

EVENTO: una persona mi sta parlando manifestando una tesi diversa rispetto a quella in cui credo.
PENSIERO: ?
EMOZIONE: fastidio, disagio

Volendo provare ad esprimere una prima ipotesi, potremmo supporre che il disagio che dichiara di vivere sia riconducibile ad una modalità di pensiero dicotomica (es., il mondo è bianco o nero) che le starebbe rendendo più difficile accettare condizioni di incertezza. Ciò non spiegherebbe, tuttavia, il motivo per il quale tale supposta modalità rigida di pensiero stia venendo mantenuta, né tanto meno la funzione che la stessa presenterebbe per il suo equilibrio psico-emotivo.

Perché sia possibile chiarire che cosa sia alla base del vissuto di fastidio che dichiara di provare, potrebbe essere utile porsi tali quesiti:

1) Che cosa significa per lei che una persona la pensi diversamente?

2) Con quali persone proverebbe più fastidio sentendo opinioni diverse dalle proprie?

3) Che cosa penserebbe di se stesso se esprimesse un'opinione circa un tema di cui non si sente competente?

4) Che cosa penserebbe di un'altra persona se quest'ultima esprimesse un'opinione circa un tema di cui la stessa non fosse competente?

Dr. Alessio Congiu
Psicologo-Psicoterapeuta
T. +39 345 465 8419
alessio.congiu@hotmail.it
alessiocongiupsicologo.it

[#2]
dopo
Utente
Utente
La ringrazio molto dottore. Riflettendoci, debbo ammettere di essere, tendenzialmente, molto rigido e dicotomico nei ragionamenti. O bianco o nero, insomma! Non so se possa essere utile, ma, ammetto anche di essere stato sempre una persona sola. Ho mai imparato a socializzare davvero? Non lo so! Or bene, le domande.
1) Credo di poter dire che mi da fastidio.
2) Non vorrei scivolare troppo sulla genericità, ma credo di poter dire: chiunque.
3) Temo mi sia capitato. Quando mi è capitato e sono stato corretto ho provato fastidio. Tuttavia, non ho difficoltà ad ammettere che in quel caso l'altro aveva ragione. Ergo: il fastidio è passato piuttosto in fretta.
4) Mi darebbe fastidio se in detta materia io sono competente e, quindi, fossi in grado di dire che la verità è il contrario di ciò che la persona in questione afferma.
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dopo
Utente
Utente
Vorrei aggiungere un pensiero sulla domanda 1), e cioè: che una persona la pensi diversamente potrebbe, ma non ne sono sicuro, significare che non sopporto che esista una visione della realtà diversa dalla mia.
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Dr. Alessio Congiu Psicologo, Psicoterapeuta 83 6 16
Gentile utente,

il fatto che il fastidio, percepito nell'accorgersi che la tesi portata avanti da un'altra persona fosse più corretta di quella da lei portata avanti, sia svanito rapidamente potrebbe rappresentare una prova a supporto del motivo da lei ipotizzato circa la natura del suo disagio: accettare che esista una visione della realtà diversa dalla sua.

Infatti, nel caso sopra citato tale disagio verrebbe risolto semplicemente avvicinandosi alla tesi del suo interlocutore, considerata da lei stesso come più attendibile di quella da lei stesso maturata in un ambito in cui si percepirebbe meno competente.

Ora, benché sia possibile supporre che tale disagio derivi (almeno in parte) dalla difficoltà ad accettare che qualcun altro sia più competente di lei in un ambito di suo interesse, potrebbe essere comunque più plausibile ipotizzare che gran parte del suo malessere derivi più che altro dal ritrovarsi incerto su un dato aspetto di realtà. Se così fosse, una possibile spiegazione del suo disagio sarebbe quella che prevede la presenza di uno schema di pensiero noto come "Intolleranza alla sensazione di incertezza":

"schema cognitivo che si manifesta nella presenza di credenze implicite circa la possibilità di minimizzare il dubbio e l’incertezza associata all’occorrenza di eventi negativi temuti. Nello specifico, tali schemi si esplicherebbero nella convinzione di dover raggiungere necessariamente la certezza assoluta che un evento indesiderato non si verifichi (es., Devo essere assolutamente certo di non sbagliare ), come pure nella convinzione di non possedere allo stato attuale le capacità utili per fronteggiare il possibile imprevisto (es., Non sono in grado di gestire l’incertezza ). Nel loro insieme, tali schemi porterebbero la persona a sperimentare un marcato bisogno di prevedibilità e certezza di fronte ad aventi temuti, che predisporrebbe sia alla ricerca compulsiva di informazioni supplementari per ridurre l’ambiguità e il grado di incertezza percepito, sia a rimettere continuamente in discussione la validità delle ipotesi appena formulate (es., ragionamento dialogico). Associato alla presenza di tali schemi è la condizione di paralisi intellettuale o "dubbio patologico", che porterebbe la persona a vivere per tempi prolungati e con grande disagio normali condizione di indecisione".

La presenza di questo schema mentale non esprime necessariamente una condizione problematica. Tutti noi, infatti, abbiamo bisogno di vivere in un ambiente da noi stessi ritenuto prevedibile e (almeno in parte) controllabile. Al contrario, è più corretto riconoscere come tale modalità di pensiero predisponga chi la adotta a vivere normali eventi di vita con maggiore frequenza e/o intensità un disagio emotivo, a motivo della difficoltà di adattamento che comporta.

In generale, il grado di disagio che le persone vivono all'idea di non essere certi su un determinato campo conoscitivo risente di variabili soggettive non sempre facilmente identificabili, specie in un contesto come questo.

Nell'approccio cognitivo sopra citato, parte di queste variabili sono spiegabili nei termini di convincimenti e di obiettivi personali: ad esempio, credere che non avere risposte certe ed esaustive sia sinonimo di ignoranza può di certo esporre ad un vissuto di ansia coloro che attribuiscono molta importanza alla cultura e all'intelligenza, in quanto indicativo di una loro possibile mancanza in un ambito per loro importante ai fini della salvaguardia della propria auto-stima.

Nel complesso, dunque, sarebbe utile comprendere i motivi psicologici soggettivi per i quali allo stato attuale "non sopporta che esista una visione della realtà diversa dalla sua", al fine di poter rendere più flessibile una modalità di pensiero che la starebbe presumibilmente esponendo al disagio che ci descrive. Laddove lo ritenesse utile, potrà rivolgersi ad uno specialista per meglio chiarire tali perplessità.

Rinnovo i saluti,

Dr. Alessio Congiu