Anni persi per un problema psicologico e ora non so cosa scegliere

8 o 9 anni fa, ero al terzo anno di università e come un fulmine a ciel sereno esplose un problema che mi avrebbe condizionato la vita. A causa di quel problema, inquadrabile come disturbo ossessivo, mi bloccai completamente, per poi laurearmi di ben 3 anni fuoricorso, dando ogni esame con estrema fatica, ansia e ritardo.
Venivo da una famiglia gretta e arretrata per cui evitai di chiedere aiuto ad un professionista: il mio unico supporto e sprono fu la mia fidanzata, l'unica a starmi vicino e incoraggiami nei momenti peggiori. Per gli ultimi 2 anni di università e poi nei 2 anni dopo la laurea, complice una borsa di studio, decisi di farmi aiutare da un terapeuta, perché non era invalidata solo la mia capacità di studiare ma anche la mia vita di relazione, tuttavia, dopo 4 anni di terapia e tante belle promesse, mi resi conto che i problemi non miglioravano in alcun modo e che quella rimaneva una costosa valvola di sfogo.
In quei 2-3 campi d'azione per i quali mi rivolgevo al terapeuta continuavo a procedere con grande fatica e senza metodo: mi bloccavo quando provavo a studiare ed in certe situazioni della vita di relazione.
Il tempo passava, fui costretto a buttarmi a capofitto nella vita e nel lavoro e solo a quel punto, lontano dalla scrivania e dal rimuginare della mia stanza qualcosa iniziava a migliorare.

Arrivò al dunque. Scrivo perché oggi mi trovo in una situazione paradossale. Per 10 anni ho avuto accanto un unica donna, che è stata la mia compagnia ed il mio supporto nei momenti peggiori.
Oggi che pian piano sto meglio, alla veneranda età di 30 anni, mi ritrovo ad avere pulsioni e a fare cose che avrei dovuto fare a 20.
Inizio a uscire da solo con i nuovi colleghi. Inizio a desiderare di nuovo altre donne, dopo anni di blocchi sessuali. Inizio a desiderare di approfondire la conoscenza con loro, a sognare ad occhi aperti. Mi sono ritrovato a uscire di nascosto, a insaputa di lei. Ho ancora troppa ansia all'idea di avere un rapporto sessuale completo con un altra donna, ma mi è capitato in due occasioni di baciare prima una collega e poi una turista americana durante una festa. Ho provato sensazioni di gioia come non ricordavo esistessero.
La mia ragazza è disperata: a 30 anni teme di aver sprecato la sua vita investendo sulla persona sbagliata. Vorrebbe sposarsi e avere un figlio, subito.
Io mi sento un verme per averla illusa per 10 anni, ma mi rendo conto che l'amo solo quando sto male. Se sto bene e sono felice, automaticamente smetto di pensare a lei e sogno di vivere un'altra vita, piena di amici e di avventure.
Lei vuole una risposta subito, e non perdere altro tempo. Io non riesco a lasciarla andare via. Non si veramente cosa fare. A volte mi sembra di impazzire per l'indecisione.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Gentile utente, quello che le sta accadendo è abbastanza usuale. E' riuscito a guarire e adesso è, in un certo senso, "un'altra persona", che vuole scrollarsi di dosso non solo il ricordo della malattia, ma gli anni che sono trascorsi nel malessere.
Capisco profondamente il suo disagio e il suo disorientamento: da una parte una ragazza che è stata il punto fermo della sua esistenza, alla quale deve molto e che probabilmente -azzardo un giudizio che a distanza è forse temerario- lei in realtà ama ancora. Dall'altra gli entusiasmi e la voglia di avventura del giovane che non ha potuto essere, per colpa della malattia.
Mi dispiace che lei abbia della terapia seguita un'impressione non del tutto positiva, ma anche questo è talvolta un errore di giudizio: finché si sta male ci si aggrappa a chiunque, ma quando si guarisce si ha l'impressione che chi ci ha aiutato abbia fatto ben poco. Al contrario, un buon terapeuta può essere un supporto per tutta la vita. Come lei dimostra, talvolta anche gestire il proprio benessere richiede un aiuto.
Indispensabile, nel suo caso, è capire fino in fondo quali sono le sue emozioni, i suoi desideri, i suoi bisogni di questo momento e cosa si aspetta dal futuro. Una volta capito questo potrà parlare lealmente alla sua ragazza, chiedendole una pausa di riflessione, che potrebbe essere utile a tutti e due, o decidendo in maniera più drastica. Le faccio molti auguri. Ci scriva ancora, se crede.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Gentile Dottoressa, ci tenevo innanzitutto a ringraziarla per la professionalità e la gentilezza della sua risposta.
Per il resto le sue impressioni e i suoi "azzardi" riguardo i miei sentimenti sono corretti.
Purtroppo non mi ritengo ancora "guarito" e prova ne è il fatto che, ad esempio, nonostante i tanti inviti ricevuti da tante ragazze da cui sono attratto, e nonostante mi faccia piacere sia riceverli che immaginare di stare con loro, io non riesca ad uscire con un altra ragazza. Sono giunto a trent'anni senza mai essere uscito con altre a parte la mia ragazza, per cui mille e mille ansie sia relazionali che sessuali si affacciano nella mia testa all'idea di trascorrere 2 ore a parlare con una che conosco a malapena, per quanto ne sono attratto. Sentirei il suo giudizio e le sue aspettative come macigni.
E così continuo a procrastinare vergognosamente uscite ed inviti, a darmi per disperso con la scusa del lavoro. Il massimo che riesco a fare, attualmente, è buttarmi in qualche locale con i colleghi per approcci passeggeri e fugaci che tuttavia mi lasciano ben poco.
Mi chiedo spesso se è il caso di "buttarmi e basta" in uno di questi appuntamenti o fare prima una preparazione psicologica di qualche tipo. Ma forse sto sbagliando tutto dal principio.
Quanto alla mia povera ragazza storica, non le nego che quelle volte che mi fermo a pensarci il senso di colpa mi affligge da starci male. Sento di averle rovinato la vita e questa cosa mi logora. Attualmente siamo in pausa da circa un mese, ma ciò nonostante il coraggio di buttarmi in una uscita solitaria con un'altra non l'ho avuto. Vedo questa barriera come un residuo dei miei problemi psicologici piuttosto che dei sentimenti che, forse, ancora provo per la mia ragazza: come le dicevo non ho esitato a baciare appassionatamente altre donne nel mezzo delle serate con i colleghi.
A volte mi sembra di vivere, a trent'anni, una crisi di mezza età : vedo amici e colleghi storici sposarsi e fare figli ed io sono ancora qui, a fare l'adolescente, eppire vorrei tanto quella "botta di vita" che per colpa della malattia, di una vita di clausura da "nerd" e di una università difficile, e poi di una personalità timida ed evitante non ho mai avuto. Non faccio che pensare che si vive una sola vita, e che quello che lascio adesso non tornerà più e che il mio tempo è allo scadere e poi non voglio ridurmi a fare certe cose quando magari sarò sposato.
Adesso vorrei solo accettare uno di questi appuntamenti e vivere l'attimo senza pensare, ma la paura mi lega più del dovuto.
Mi scusi per lo sfogo, la ringrazio in ogni caso se avrà voglia di leggerlo.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Caro utente, a me sembra che nello scrivere i suoi stati d'animo lei vada chiarendoli anche a sé stesso, e penso che le sarebbe utile qualche incontro che la addestri alla Scrittura Espressiva, una tecnica che ci permette di raggiungere il fulcro emotivo dei nostri malesseri.
Quando li esterniamo, infatti, abbiamo la tendenza a "razionalizzarli", nel senso freudiano del termine: tendiamo a rivestire di una razionalità posticcia quello che alla nostra esperienza interiore si presenta invece magmatico, caotico.
Le faccio degli esempi dalla sua lettera. Lei esita a "buttarsi" in certi incontri. Su questa resistenza fa una diagnosi, con la classica razionalità occidentale che vuol sempre trovare una correlazione causa-effetto: ipotizza che ciò possa dipendere dal perdurare della sua malattia e da una personalità evitante. Tende ad escludere che dipenda dai sentimenti che ancora prova per la sua ragazza, con la considerazione che non ha esitato a baciare appassionatamente altre donne.
Partiamo da qui: quanto "appassionatamente"? Ha concluso con un incontro sessuale la serata? Ha chiesto alla ragazza baciata di rivedervi, ha scoperto che non può fare a meno di lei? Se la risposta a queste domande è "no", vede bene che ha provato soltanto l'entusiasmo dell'adolescente che fa una conquista e sperimenta nuove vivide sensazioni; tutto qui. I suoi sentimenti verso la ragazza "storica" non c'entrano.
Andando al suo desiderio di "buttarsi", che le sembra di auto-sabotare a causa del perdurare della malattia e di una personalità evitante, si possono ipotizzare altre ragioni: 1) forse non vuole dare illusioni e crearsi impegni che non desidera; 2) forse, come avviene a molti divorziati e vedovi, quello che le manca è il fervore appassionato della sua prima storia d'amore, ma sente che non può ritrovare di colpo le stesse sensazioni con un'estranea; 3) forse il suo interesse per queste ragazze è così basso che anche solo un'ora di conversazione le sembra troppo, dal momento che non ha nessuna intenzione di esplorare con appassionata curiosità un'altra psiche, un altro corpo, altre esperienze di vita; 4) anche il fatto che queste ragazze la invitino, alterando la prassi radicata nel nostro cervello primitivo che vede il maschio cacciatore e la femmina preda, forse la fa sentire sbalestrato e la mette sulle difensive. E' la paura di sentirsi braccato, che per la verità provano anche le donne, se aggredite da un corteggiamento pressante e insensibile alla loro risposta emotiva.
Come vede, sono argomenti che potrebbero emergere, assieme ad altri più personali, nella Scrittura Espressiva, la quale le darebbe anche gli strumenti per affrontare con consapevolezza gli incontri che ora le appaiono delle prove troppo difficili. Il suo desiderio di sperimentare questi incontri secondo me va assecondato.
Ci scriva ancora. Cordialmente.
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Utente
Utente
Gentile Dottoressa, innanzitutto tengo a precisare che leggo puntualmente e tutto d'un fiato le sue risposte, e che l'ultima volta mi ha regalato diversi spunti di riflessione. Avrei voluto ringraziarla da subito e chiederle info sulla scrittura espressiva, ma tornato a casa dal viaggio estivo mi si è aperto un periodo ancora più duro e frenetico sul piano delle scelte, e della conseguente indecisione patologica che sembra dominare tutti gli aspetti essenziali della mia vita, dalla scelta di una partner a quella del lavoro.

Mi sento come un uomo che per anni è stato ibernato in una campana di vetro, continuamente in bilico tra problemi ossessivi, fatiche immani per completare gli studi e un fidanzamento di 10 anni che mi coccolava e faceva da scudo, e quindi non ha mai vissuto davvero. Ma che poi una volta scongelato, tornato alla realtà, è scosso da ogni genere di dubbi su quali siano i propri desideri, inclinazioni e propensioni.
Stavolta parlo di scelte essenziali per il futuro di un uomo: il lavoro che farò per il resto della vita.
Con estrema fatica, nei mesi scorsi, ho vinto un posto nel concorso per le specializzazioni mediche (ebbene sì, ed esserlo non mi rende immune da certi problemi). Pochi giorni fa ho dovuto scegliere tra le numerose opzioni rimanenti.
A quel punto, sebbene avessi un'idea approssimativa su quali fossero le mie "affinità", sono andato in ansia ed ho iniziato quel processo patologico di richiesta estenuante di consigli a genitori, amici, e colleghi.
Vivendo ancora con i miei, che mi hanno tollerato e supportato in tutti questi anni pur essendo all'oscuro dei miei problemi, ho ceduto alla fine alle loro pressioni e ai loro desideri commossi.

Ma soprattutto ho ceduto al desiderio disperato di autostima del mio ego, dopo anni di umiliazioni e privazioni.
Ho scelto una specialità dal nome "roboante" e di sicuro impatto agli occhi del popolo, ed economicamente gratificante a detta di tutti, ma è una specialità estenuante nella formazione (5 anni) e per la quale non ho mai nutrito nessun tipo di affinità né desiderio, e che anzi ho sempre rifiutato con noia pur avendola frequentata per un periodo.
Eppure l'ho scelta pressato e influenzato da queste sirene e dal desiderio di appagare il mio ego. Di malavoglia mi sono presentato ai miei futuri colleghi sul reparto e di malavoglia sto iniziando ad organizzare il lavoro per avviare questi 5 anni. Ho già avuto degli screzi con i colleghi che già non tollero. A detta di mio padre questi 5 anni senza respiro, alla luce delle rosee prospettive passeranno in fretta. Dice che addentrandomi nella materia finirò per appassionarmi. Ma io temo di ridurmi a contare i giorni all'alba, come quel primo giorno contavo le ore alla fine della presentazione.

Perché scrivo? Perché avrei un ultima possibilità di cambiare con un altra branca per la quale ho vinto un altro concorso, più tranquilla, leggera e variegata per le mie inclinazioni, anche se meno agiata economicamente nel lungo tempo.

Forse sono un egoísta e uno scansafatiche, ma a volte penso che vorrei godermi quel poco che ancora mi resta della giovinezza, riuscendo a ritagliare un po di tempo per me stesso e per una vita di relazione, ora che mi sembra di star meglio.. senza punirmi con 5 anni di regime militare fatti di guardie e turni estenuanti.
Ma i miei mi scongiurano di non mollare dicendomi che sarei un folle a farlo e passerei per scansafatiche e disertore agli occhi di tutti.

Questa è la situazione. Se vorrà spendere qualche parola o dare il suo saggio parere in merito, ne sarei più che felice.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Gentile utente, mi scuso perché trovo solo ora la sua risposta; evidentemente il meccanismo per cui mi venivano prontamente segnalate si è inceppato. Ne parlerò allo staff.
Immagino che al momento in cui scrivo -9 ottobre- lei abbia già fatto la sua scelta circa la specializzazione da seguire.
A mio parere quello che scrive testimonia una "pressione morbida" da lei subita costantemente, che potrebbe anche spiegare i suoi lunghi anni di disagio.
Lei scrive: "A detta di mio padre questi 5 anni senza respiro, alla luce delle rosee prospettive passeranno in fretta. Dice che addentrandomi nella materia finirò per appassionarmi".
Ora, anche se suo padre è medico, e specialista della branca che le prescrive con tanta decisione, comunque non è lei, e non può profetizzare i suoi stati d'animo futuri. Non a caso, gli psicologi non danno consigli perché non sono dei veggenti!
Ma c'è di peggio. Lei scrive anche: "i miei mi scongiurano di non mollare dicendomi che sarei un folle a farlo e passerei per scansafatiche e disertore agli occhi di tutti".
Qui c'è la pressione emotiva, e anche la minaccia. Questi "tutti" che darebbero gli orrendi giudizi prospettati, si prenderebbero altrettanta cura di lei per supportare eventuali pentimenti e depressioni? Io non credo. Ognuno di noi deve ritagliarsi il diritto di sbagliare da solo.
Della nostra salute fisica e mentale fa parte una migliore conoscenza di sé stessi. Come bussola nelle nostre scelte abbiamo le nostre inclinazioni e i nostri rifiuti, PURCHE' NON CAUSATI DA NEVROSI IN ATTO. E di questa eventuale situazione unico giudice è lei stesso, assieme al suo consulente psicologo.
Ci faccia sapere cosa ha scelto,alla fine. Infiniti auguri.
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Utente
Utente
Gentilissima ed esaustiva come sempre.

La sua risposta si accorda in effetti con quello che sento internamente. La vita è mia, e se me la rovino ascoltando gli "altri", genitori compresi, non saranno loro a rimettermi in piedi, anzi.

Ma una cosa vorrei puntualizzarla, ed è questo che sento come vero problema.

Prima ancora del parere dei miei, o "del popolo", nella scelta della specializzazione ho assecondato la "fame di autostima" del mio Ego.
Troppe delusioni e troppi problemi negli ultimi anni, per cui nei momenti concitati della mia scelta, mi sembrava di avere un tale bisogno di rivalsa, di sentirmi "bravo", "capace" ed apprezzato, da oscurare le mie vere inclinazioni. In quei momenti il mio "Ego", o forse super-io? (sempre che sia corretto definirlo così) si impone a tal punto da farmi dimenticare per cosa io sono portato, cosa desidero nel profondo.

Le faccio un esempio: anche in virtù del mio vissuto personale, e di una spiccata sensibilità e curiosità per le neuroscienze, avrei tanto voluto scegliere Psichiatria, e non solo potevo accedervi con il mio punteggio, ma negli intervalli tra le scelte la desideravo allo spasimo.

E invece ho avuto per ben due volte la possibilità di sceglierla, ma per ben due volte, nei minuti precedenti la conferma definitiva, mi sono fatto prendere dall ansia per lo stigma sociale che la mia mente in primis associa alla branca, con frasi del tipo "il medico dei folli, non un vero medico etc. ".
Per cui, in 10 minuti di follia e per ben due volte, ho inserito specialità dal nome grosso e altisonante" finendo persino immatricolato in una delle due.

A volte mi sembra di non conoscermi affatto, e di non sapere quale parte di me ascoltare, per cui mi chiedo:

Questa soddisfazione dell'Ego è necessaria in un caso come il mio, assetato di autostima e plasmato sin da piccolo dai genitori per "fare bella figura" (ritornello ossessivo inculcatomi da mio padre sin dalle elementari) o è solo una sirena alla quale sarebbe opportuno desensibilizzarmi?

Per come stanno le cose, avrei potuto scegliere tranquillamente la mia prima inclinazione ed esserne felice?

Se sono molto fortunato avrò un'ultima possibilità.. A quel punto non vorrei commettere altre sciocchezze.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Gentile utente, certo la vita, e la gente, risultano sempre più originali e sorprendenti di come li immaginiamo. Sicché a lei è stato fatto credere che Psichiatria sia una scelta minore? In particolare oggi, che le neuroscienze sono il futuro? Per lei invece il neuropsichiatra sarebbe il "medico dei folli" e "non un vero medico"?
A questo punto anche a me sembra che il genitore introiettato, come avrebbe detto Freud, sia dentro di lei proprio come una sirena. Lei avverte molto bene l'invischiamento di cui è vittima. I geni e la formazione ambientale comune, uniti alla prassi per cui alcuni genitori, spingendosi oltre il compito di educarli, plasmano i figli (pochissimi sono capaci di fermarsi in tempo) fanno in modo che lei in effetti confonda i ripetuti inviti a "fare bella figura" con il suo stesso desiderio di successo e di rivalsa compensatoria. Eppure avverte la natura fatua di quest'invito a far bella figura, mi pare; così come avverte la costrizione della spinta a primeggiare... ma agli occhi di chi?
Io posso dirle soltanto che se ci si pone nell'ottica di mostrarsi forte e vincente in base ad un proprio convincimento su quello che la gente si aspetta da noi, si delude permanentemente l'unico soggetto che dovrebbe interessarci: sé stesso.
Chi può dirle se la gente pensa davvero le stesse cose che pensa suo padre?
A me, per esempio, neuropsichiatria sembra una scelta impegnativa, meritoria e aperta a grandi prospettive professionali, sia cliniche che di ricerca.
Spero che lei non sia caduto nella trappola di una specializzazione chirurgica non desiderata, non già perché cardiochirurgia, ad esempio, non sia meritevole di stima, ma solo perché le attitudini del chirurgo sono particolari, e ne ho visto più d'uno buttare il camice dopo il primo intervento andato male. Il che non vuol dire affatto che chi fa il chirurgo è un eroe, mentre il professore, il clinico, il ricercatore valgono meno.
Per concludere, di delusioni, incomprensioni, amarezze, come tutti, è destinato ad incontrarne anche lei. Ma procurarsele da solo, scegliendo quello che non la interessa... Be', valuti lei se è una scelta intelligente.
Auguri!
[#8]
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Utente
Utente
Gentile Dottoressa è incredibile come, con tutti i limiti di una consulenza a distanza, lei sia riuscita a leggermi dentro. È vero, ho scelto una chirurgia complessa, non è cardiochirurgia.. Ma siamo lì. La promessa di mio padre, colleghi e conoscenti vari è che dopo 5 anni di sacrifici, rispettando i ritmi di questo reparto, avrò un currículum, proposte di lavoro e guadagni di tutto rispetto, superiori anche ad altre specializzazioni. Ed anche questo mi paralizza nella scelta, oltre al nome "importante e di tutto rispetto" .

Eppure non l'ho mai presa in considerazione come branca, né mi è piaciuta l'atmosfera su quel reparto, che pure ho visitato, e la scelta l'ha spinta mio padre insieme al mio ego assetato di autostima. Sarebbe facile capire cosa fare, giusto?

È invece, considerando che buona parte di tutto ciò che ho realizzato nella mia vita l'ho fatto per soddisfare le aspettative di mio padre e della mia famiglia, e per fare bella figura davanti agli altri, ancora oggi mi sembra di non riuscire a distinguere tra quello che il mondo si aspetta da me e quello che voglio io.

Ed anche per questo ho dubbi sul fatto che le mie valutazioni su ciò che mi piace (es. La Psichiatria) siano in realtà infondate e con un vizio di fondo.

"E se facendo la specializzazione che ti consigliano, quella col nome importante, dopo inizierà a piacerti? E se stai rinunciando a una occasione che non capiterà mai più?
E se stai solo giustificando la scelta più comoda e leggera, come un vile, per poi rimanerne deluso quando avrai 40, 50 anni?"

Ecco le domande che si affollano nella mia testa.

L'alternativa oltre alla psichiatria (che nella mia sede di interesse sembra finita, il sistema si aggiornerà in settimana) è la medicina generale, che oggettivamente è un passepartout per una vita più comoda, anche se meno gloriosa e agiata.

Sin da piccolo, quando ero gravato da aspettative molto alte a scuola, e non riuscivo a concentrarmi né a reggerle ecco che perdevo tempo in giri inutili e mi bloccavo.. Un po come adesso.

Ovviamente ho letto le sue bellissime parole. Il mio è giusto uno sfogo.

Forse nella confusione che tutt'ora affolla la mia testa, potrei semplicemente scrivere su un foglio pro e contro, dell'una e dell'altra, e poi tirare le somme.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Caro utente, partiamo dalla fine della sua lettera: "Forse nella confusione che tutt'ora affolla la mia testa, potrei semplicemente scrivere su un foglio pro e contro, dell'una e dell'altra, e poi tirare le somme".
Io direi di no, e per un buon motivo. La tecnica della Scrittura Espressiva le permetterebbe, con l'aiuto di uno psicologo, di entrare in contatto con la sua sfera emotiva profonda, quella che lei continua a disattendere. L'uso "razionale" della scrittura, al contrario, le fornirebbe una serie di falsi elementi di giudizio.
I sentimenti non mentono (si tratta poi di interpretarli), la cosiddetta "razionalità" sì.
In psicologia si parla d "bounded rationality", razionalità limitata, che è quella in base alla quale noi operiamo le nostre scelte pur sapendo molto poco della realtà e assolutamente nulla del futuro. Quest'apparente razionalità fa tutt'altro che miracoli.
Nel suo caso, le emozioni invece hanno parlato chiaro. Al momento, il reparto in cui intende specializzarsi le genera sentimenti di rifiuto. Un domani, sempre che lei regga fino in fondo, non vede il rischio di riversare una preparazione che è stata un amaro sacrificio sulle spalle dei pazienti?
Una prova di quanto dico sulla "razionalità limitata" si trova anche nella valutazione che lei fa della specializzazione scelta. Le darebbe, dice, "guadagni di tutto rispetto". Non nella pratica ospedaliera, immagino, bensì operando in cliniche private. Che io sappia, lo specialista, chirurgo o no, guadagna molto se lavora moltissimo e non solo nelle strutture pubbliche. Nel pubblico, il solo medico che guadagna bene è il medico di base massimalista, senza lo stesso enorme sacrificio del proprio tempo che grava sugli specialisti col doppio incarico. Non a caso, tutti i medici ospedalieri lo invidiano.
In quale delle due vesti si vede, nel futuro? Qui le sarebbe di nuovo d'aiuto la Scrittura Espressiva, o la tecnica psicologica chiamata "il sogno da svegli".
Infine, lei pone a sé stesso una domanda velenosa. "E se stai solo giustificando la scelta più comoda e leggera, come un vile, per poi rimanerne deluso quando avrai 40, 50 anni?"
Ma quale specializzazione, dopo una ponderosa laurea in medicina, sarebbe "comoda e leggera"? Quale farebbe di qualcuno "un vile"? Non c'è piuttosto il rischio contrario, che una professione acquisita controvoglia venga svolta in futuro con disprezzo e colpevole superficialità?
Infine, tutto il suo arrovellarsi sull'argomento rimanda pericolosamente al suo vecchio disturbo, del quale fa parte anche l'eccessivo credito dato alle persone che la circondano e il suo desiderio regressivo di grandeggiare ai loro occhi. E' presumibile che tra dieci o vent'anni queste persone non ci siano nemmeno più... Ci rifletta.
Le faccio i miei migliori auguri, invitandola a contattare il suo primo terapeuta o un altro; smetta però di torturare sé stesso.
[#10]
dopo
Utente
Utente
Mi dispiace non averla conosciuta prima. Se volessi sperimentare questa "scrittura espressiva" come posso farlo? Purtroppo vedo che lei riceve solo a Roma ed il mio tempo per decidere, d'altra parte è agli sgoccioli. Ma considerando questo tratto della mia personalità può essere un utile spunto per il futuro.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Caro utente, potrebbe fare anche da solo l'esercizio fondamentale della Scrittura Espressiva, la Tempesta di Parole. In rete troverà varie indicazioni sul metodo, elaborato in America e perfezionato anche i Italia. Fondamentalmente è uno strumento che ci fa bypassare la nostra pseudo-razionalità e scoprire i veri moventi delle nostre azioni. Il rischio, agendo da solo, è quello di ingannare sé stessi. Per questo potrebbe tornare a contattare il suo terapeuta, con una richiesta precisa.
Non ci ha detto più nulla della sua partner storica. In quel ramo ha poi preso una decisione?
Le auguro ogni bene.
[#12]
dopo
Utente
Utente
La mia partner storica mi fece gli auguri, completamente inaspettati, per la mia scelta "di impatto", che risulta pubblica ed in chiaro. In seguito, sazio d'autostima per i complimenti che ricevevo e con numerosi flirt attorno (puntualmente inconcludenti, ed anzi con l'avvento delle scelte e delle preoccupazioni della vita vera sono decisamente peggiorato) la ringraziai stupito ma non diedi seguito alla cosa.
Ma anche a seguito della sua "approvazione" che ho sempre tenuto nella considerazione più alta, mi sono legato ancora di più alla mia "scelta sbagliata" ed ancora più sordo a ciò che desideravo dentro.
Dopo, sentendomi in ansia e alle strette, col tempo delle decisioni irrevocabili che si faceva prossimo, tentai di ricontattarla e riprendere il discorso con lei, ma mi respinse con freddezza ed in malo modo (successo innumerevoli volte anche quando ci siamo lasciati in passato).

E guarda caso, adesso che mi sento in uno dei momenti più difficili della mia vita, mi sembra di avere bisogno di lei, che pure non vuol sapere niente di me, come non mai.
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dopo
Utente
Utente
Riguardo la medicina generale: la farei col cuore, ma nella mia regione c'è una tale inflazione di medici di base che finirei per fare la guardia medica a vita. Forse riuscendo ad avere uno studio mio dopo i 50 anni.

Col mio primo terapeuta, non so se l'ho scritto o meno, ho interrotto da aprile il percorso terapeutico.

Vivevo in uno stato di demotivazione e apatia costante, ed alcuni problemi tornavano a farsi sentire nei momenti meno opportuni. Mi resi conto che non lo ascoltavo più e non avevo più fiducia in lui, e probabilmente la cosa era ricambiata.

Ad un certo punto smise di rispondere, ed allora capii che forse era un passo necessario ed era il momento di continuare sulle mie gambe.
[#14]
dopo
Utente
Utente
Ho bisogno di sfogarmi, non faccia caso a eventuali errori. La situazione è evoluta nel peggiore dei modi.

L'ossessione sulla scelta da compiere mi ha perseguitato senza tregua e senza cavare un ragno dal buco. Non sono mai riuscito a concentrarmi per scrivere in modo adeguato e poi ho iniziato con il lavoro in quel reparto e l'impatto e le sensazioni sono state drammatiche.

Ho iniziato a frequentare il reparto della grande chirurgia scelta e consigliata da mio padre, mia madre, colleghi e parenti nella speranza potesse piacermi, iniziando a sfogliare pubblicazioni e leggere libri sulla materia nella speranza di farmela piacere perché un domani avrei guadagnato bei soldi. Ritmi lavorativi immensi, levatacce mattutine, poche ore di sonno e tantissimo stress.
Sfumato definitivamente il passaggio a psichiatria rimane solo la speranza della medicina generale, ma certi discorsi quotidiani mi hanno scavato una voragine dentro.
- li dove sei si fanno i soldi e un domani, anche tra 5 anni potrai porgrammarti il lavoro
- è da imbecilli rinunciare e cambiare per la medicina generale, che ti abbrutisce e ti aliena
- tu non vuoi lavorare per questo scegli l'opzione più semplice, e se non vuoi lavorare vattene da questa casa
- sei un vigliacco a mollare ciò che altri pagherebbero per avere
- tutti parenti ed amici mi hanno consigliato la stessa cosa. Dicendomi che sono pazzo a cambiare.

Parenti sono venuti a casa mi hanno fatto complimenti e regali per la scelta della grande chirurgia, ben consapevoli del fatto che volevo mollare, chiedendomi di essere operati da me un domani e dicendomi che sarei stato un grande chirurgo. Quindi non devo mollare, devo resistere e non fare scemenze !!!
Mi sembrava di vivere i panni della monaca di Monza, alla quale da piccola regalavano bambole di pezza vestite da monache per abituarla all'idea.

A tutto ciò si raggiunge il mio problema ossessivo di fondo e la mia autostima annientata.

Poiché mi sono bloccato per anni per colpa delle ossessioni laureandosi con anni di ritardo e facendo un sacco di valutazioni errate, Io ritengo di non potermi fidare di me stesso e della mia mente. Nutro solo disprezzo per me stesso in questo momento. Non mi fido di me stesso e della mia capacità di sentire e valutare.

Ergo ascolto gli altri perché io sono incapace di pensare in modo idoneo e razionale. Ed eccomi in questa specie di Vietnam a contare i giorni all'alba, a pregare che ciò che vedo e faccio inizi pian piano a piacermi.

Mi sento come una di quelle donne alle quali veniva promesso un marito ricco ma vecchio e brutto e dal carattere orribile. E tutti mi fanno gli auguri e mi invitano a reskstere e non mollare perché sarei un pazzo.

Io mi sento da schifo, spero migliori col tempo.
[#15]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Gentile utente,
lei sa bene, anche per la sua preparazione professionale, che continuare ad assecondare modalità di ideazione e di comportamento disfunzionali, è cullare una tendenza che dovrebbe essere invece debellata.
Per questo motivo, pur con tutta la solidarietà per il suo caso, anzi proprio per questa, è l'ultima volta che le rispondo.
Ecco il mio suggerimento: cerchi un bravo terapeuta, forse meglio, anche per affinità professionale, uno/a psichiatra, in ogni caso uno specialista con una documentata formazione in psicoterapia cognitivo-comportamentale, e si affidi a lui (o lei) facendosi guidare anche nella gestione dei rapporti personali e della vita pratica. Qualcuno che l'aiuti, per fare un esempio, a lasciare la casa in cui le viene detto "se non vuoi lavorare vattene da questa casa".
Vengo ora puntualmente alla sua email.
"Non sono mai riuscito a concentrarmi per scrivere in modo adeguato". Immagino si riferisca al più elementare esercizio di Scrittura Espressiva. Ma se non ha mezz'ora di tempo per raccogliersi in sé stesso, come potrà affrontare, oggi lo studio teorico, domani i casi complessi dell'attività di chirurgo? La prima cosa che occorre a tutti noi è essere realistici sulle nostre possibilità.
La "grande chirurgia" sarebbe stata "scelta e consigliata da mio padre, mia madre, colleghi e parenti".
Nemmeno una di queste persone, scommetterei, è medico, e tanto meno chirurgo. Come se per la scelta della specializzazione in psicoterapia io mi fossi affidata a un amico biologo, alla vicina di casa e al verduraio. E i suoi "consulenti" sono gli stessi che hanno detto "è da imbecilli rinunciare e cambiare per la medicina generale, che ti abbrutisce e ti aliena". Un giudizio che basta da solo a delinearne la competenza.
"Parenti sono venuti a casa mi hanno fatto complimenti e regali per la scelta della grande chirurgia, ben consapevoli del fatto che volevo mollare". Sono forse dei sadici, i suoi parenti?
Mi permetto l'ironia perché so che lei è una persona di cultura, mio caro "monaco di Monza" forzato al bisturi anziché al velo. E per restare in ambito letterario, "guarda di cui tu ti fide", scrive Dante.
Infine, eccoci al nodo cruciale. "Poiché mi sono bloccato per anni per colpa delle ossessioni laureandomi con anni di ritardo e facendo un sacco di valutazioni errate, Io ritengo di non potermi fidare di me stesso e della mia mente".
E invece di curare le ossessioni, lei cosa fa? Guasta i fatti suoi affidandosi a chiunque, salvo che all'idoneo specialista.
Caro utente, nella sua situazione, come sempre, si è creato un circolo vizioso, una matassa aggrovigliata di azioni e reazioni di cui al momento è difficile individuare il bandolo, ma in cui tutti agiscono oramai fuori da ogni buon senso: suo padre che ci tiene esageratamente a "fare bella figura" era orgoglioso del figlio che studiava Medicina; il giovane, colpito da stress per la fatica dello studio e la pressione delle aspettative proprie e altrui, si è ammalato, rischiando di vanificare queste aspettative.
A questo punto la reazione inconsulta è stata collettiva: i familiari ambiziosi non si accontentano più della laurea, vogliono il grande chirurgo; il povero studente pur essendosi laureato non si sente approvato ma disprezzato, anche da sé stesso; parenti e conoscenti, stimolati dai genitori forse un po' troppo protagonisti, credono loro dovere stimolare il malcapitato additandogli orizzonti professionali di cui non sanno nulla, e lui stesso interpreta erroneamente i loro segnali. Mi riferisco a ciò che dice della sua antica partner: "anche a seguito della sua "approvazione" che ho sempre tenuto nella considerazione più alta, mi sono legato ancora di più alla mia "scelta sbagliata" ed ancora più sordo a ciò che desideravo dentro". La ragazza, gentilmente, le aveva solo fatto i complimenti, come avrebbe fatto a parer mio per qualunque sua scelta, e lei ci ha costruito il tetro carcere in cui si è andato ad infilare.
Ed ecco le sue conclusioni: "Io mi sento da schifo, spero migliori col tempo". E come no? Einstein diceva: "Follia è continuare a fare sempre la stessa cosa, e aspettarsi risultati diversi".
Per esperienza professionale le dirò due cose. Una è che un certo genere di aspettative non ha mai termine. Divenuto chirurgo, lei deluderà ugualmente sé stesso e gli altri perché non sarà primario, e di seguito vorrà la cattedra, e così via.
La seconda è questa: non ci si ammala da soli. Il disturbo del singolo avviene in un contesto che lo favorisce e lo determina. Veda il suo esempio della monaca di Monza: Geltrude era già da subito un'assassina?
Questo effetto ambientale è stato studiato dal grande Kurt Lewin con la sua teoria del Campo, e ripreso da Albert Bandura.
Un bravo terapeuta le parlerà anche di questo... se lei vorrà avere orecchie per intendere. Se invece preferirà procedere nel suo martirio perché una zia le ha assicurato che in futuro vorrà essere operata da lei -facendo in segreto gli scongiuri perché mai una cosa simile le accada- scelga pure di sacrificarsi.
Io le faccio i migliori auguri, con simpatia.
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Utente
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Gentile dottoressa capisco le sue parole e confermo che meglio di così nessun consulto a distanza avrebbe mai potuto fare. Aldilà del mio caso specifico sono contento di aver conosciuto una professionista come lei ed è un peccato che non abbia uno studio più vicino.

Faccio solo un paio di precisazioni per dovere di cronaca, dato che alcune mie affermazioni sembrano in effetti poco sensate:
Quando parlo di "grande chirurgia" uso una metafora per indicare non tanto chirurgia generale o cardiochirurgia in cui giustamente nessuno vorrebbe mai finire, quanto quella chirurgia che si occupa di ossa e articolazioni.. E di cui tutti o quasi tutti dopo i 50 o i 60 hanno ahimè bisogno tra artrosi, lombalgie etc.. Ecco spiegata la quantità di parenti che mi spingono in quella direzione.
Infine sul fatto di avere parenti nel campo medico beh.. Ma non voglio aggiungere troppi dettagli.

Quanto al parente medico.. C'è eccome, che spinge e parla con una certa cognizione di causa.
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