Gelosia e desiderio di evasione

Buonasera.

Sono in una relazione da circa 9 anni, iniziata in età adolescenziale.
Ora abbiamo entrambi 25 anni e siamo al culmine della nostra carriera universitaria.

In questo particolare contesto, è cominciato a maturare in me un desiderio di evasione dalla coppia.
Ho individuato come principale causa di questo mio desiderio il fatto che la mia ragazza, praticamente da sempre, sia stata particolarmente gelosa ed opprimente nei miei confronti.
Una gelosia che io definirei persino ossessiva, e che spesso e volentieri si è manifestata (e si manifesta ancora) quando la nostra coppia è costretta ad uscire dall'abitudine, dal "nido pascoliano" all'interno del quale ci siamo rifugiati.

Per anni sono riuscito a tenere sotto controllo la sua gelosia (che spesso e volentieri si manifestava anche in maniera "brutale", con urla, oggetti scagliati e situazioni al limite) cercando di assecondare le sue insicurezze in vari modi: permettendole di inserirsi e di diventare parte stabile del mio gruppo di amici, evitando di fare nuove conoscenze (specialmente con persone dell'altro sesso) o evitando di uscire da solo con i miei amici se non in contesti "non pericolosi" (ad esempio uscendo negli stessi luoghi in cui sapevo che lei mi avrebbe potuto incontrare e "sorvegliare", o invitando i miei amici a casa).

So che questo atteggiamento è sbagliato, ma non ero disposto a rinunciare ad una relazione che, in quel "nido pascoliano" di cui dicevo prima, è sempre andata a gonfie vele.
Lei è per me la mia migliore amica, la persona di cui più mi fido e con cui più mi intendo.
Il problema è la sua gelosia: un problema ora divenuto per me sempre più insostenibile, specie da quando la cerchia di amici con cui abitualmente uscivo è finita per scompaginarsi.
Ho bisogno di creare nuove amicizie, ma non mi sento libero di farlo; e, anche quando ci riesco, sento su di me il suo pregiudizio (che si manifesta in silenzi rabbiosi o litigi bambineschi), con il risultato che spesso mi rifiuto di portare avanti certi rapporti per evitare situazioni spiacevoli e litigi.

Inoltre, vorrei cominciare a pensare al mio futuro (lavorativamente parlando), ma spesso finisco confinato in un blocco mentale: posso permettermi il lusso di fare un master lontano da casa, o un'esperienza all'estero?
Come me la vivrei, sapendo che larga parte del tempo la dovrei passare a litigare con lei, a rassicurarla, nascondendo cose legittime, o auto-sabotandomi per non discutere?

Insomma, mi sento insoddisfatto, e negli ultimi tempi percepisco persino di non essere più attratto sessualmente da lei, non come una volta.
Mi sento impotente, continuamente sfiduciato, soggiogato: non riesco più a toccare una vera intimità con lei, non con la stessa naturevolezza.
Negli ultimi giorni mi è persino capitato di soffermarmi a pensare "troppo" su una ragazza, di cui credo di aver preso una cotta.
Forse anni e anni di "non detto" e di frustrazioni hanno reso tutto ormai impossibile da rimettere in sesto?
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.7k 180
Gentile utente,
credo che lei valuti con lucidità la situazione, al punto che ha elencato gli elementi che fanno ritenere la sua relazione, nella forma in cui si è cristallizzata, forse giunta al termine.
Ripeto: nella forma in cui si è cristallizzata.
Non è da escludere che tra voi, su basi mutate, possa esserci più in là un legame vitale e non distruttivo, ma per ora tutti e due avete bisogno di un distacco che vi permetta di vivere quell'esplorazione di voi stessi e del mondo che fin qui vi siete preclusi. Dovrete capire chi siete e cosa volete, quali aspetti dei vostri caratteri è opportuno mantenere e quali modificare.
Esistono, forse, persone così equilibrate da capire già a sedici anni cosa vogliono ricevere e cosa dare, e da portare avanti un legame dinamico che assecondi armonicamente la loro crescita.
Esistono persone che negli anni hanno scontri anche dolorosi, ma sanno modificare le reciproche richieste e a volte mantengono vivo il loro rapporto.
Non sono queste le condizioni mediamente diffuse. La maggior parte dei giovani, oggi, esplora con voracità consumistica il mondo del sesso e quello dei sentimenti, e raramente un legame cominciato a sedici anni dura quanto il vostro.
Infine alcune persone cristallizzano un rapporto che non fa bene a nessuno dei due, non le aiuta a maturare e ad adattarsi al mondo, e se uno dei due è meno dipendente dell’altro questo rapporto può solo infrangersi, come avviene, appunto, ai cristalli.
A me sembra che questo possa essere il suo caso, analizzando quello che ci ha scritto.
Si è stancato dell'oppressione imposta anche con la violenza di quella che lei chiama "gelosia". Ma la gelosia, se è paura di perdere la persona amata, non grida, non minaccia, semmai piange e tenta gesti seduttivi. Quella della sua ragazza, come lei la descrive, non è gelosia, ma volontà di dominio, possessività aggressiva.
Lei arriva a chiedersi "posso permettermi il lusso di fare un master lontano da casa, o un'esperienza all'estero? Come me la vivrei, sapendo che larga parte del tempo la dovrei passare a litigare con lei, a rassicurarla, nascondendo cose legittime, o auto-sabotandomi per non discutere?"
E questa la vuol chiamare una storia d'amore turbata solo dalla gelosia? Se fosse un maschio-padrone a comportarsi così, lo considereremmo una vittima della gelosia, o un carnefice?
Ma ecco, a questo punto lei non è più attratto sessualmente dalla sua ragazza. Come da manuale. "Mi sento impotente, continuamente sfiduciato, soggiogato". È proprio con questi mezzi che la libido maschile viene spenta.
A questo punto, addolorato, confuso (la sua partner è pur sempre una parte essenziale della sua vita) lei chiede: "Forse anni e anni di "non detto" e di frustrazioni hanno reso tutto ormai impossibile da rimettere in sesto?"
I "non detti" certamente non fanno bene; la ricerca ostinata del quieto vivere può provocare alla fine un grande dolore; altrettanto male fa la gelosia forsennata e la pretesa violenta che il partner diventi un nulla assoggettato al nostro imperio.
Queste sono state le scelte che avete portato avanti per quasi dieci anni. Si possono cambiare?
Lo può dire solo uno psicologo incontrato di persona. La piega assunta dal vostro rapporto può essere frutto di inesperienza giovanile, di cattive abitudini, di errori di valutazione, ma può anche configurarsi come l’effetto di due nevrosi concomitanti, o peggio (lei parla di "gelosia perfino ossessiva" fin dall'inizio). Non è online che si può sapere questo.
Un'ultima osservazione: spero che lei non si stia laureando in Lettere, altrimenti sarebbe conturbante il fatto che abbia citato due volte il "nido pascoliano" per definire la sua relazione di coppia. Per il poeta, infatti, il "nido" era la mitica casa dell’infanzia, il rifugio isolato perduto troppo presto, e più tardi ricostruito con le due sorelle minori in un rapporto assai ambiguo... nulla che possa essere accostato ad un sano rapporto di coppia. In quest’ottica, non potrebbe la gelosia della sua ragazza essere un alibi perché lei non si metta mai alla prova, e rimanga in un torbido rifugio dove il master lontano da casa, o un'esperienza all'estero sono solo apparentemente sacrificati per amore?
Spero di averle suscitato qualche spunto di riflessione, consapevole che da lontano non si può fare altro.
Auguri; ci scriva ancora.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
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Gentile Dr.ssa Potenza,
innanzitutto la ringrazio per l'esaustiva risposta. Cercherò di risponderle punto per punto, aggiungendo anche alcuni dettagli che, a causa del limite massimo di 3000 caratteri, non sono riuscito ad esplicare nel post precedente.

Credo anch'io che la relazione, arrivata a questo punto, sia giunta ad una situazione di cristallizzazione. O meglio, credo che alcune cattive abitudini maturate in età adolescenziale si siano ormai incancrenite ed atrofizzate nel tempo, tant'è che spesso ho avuto la sensazione che la relazione fosse - per molti aspetti - rimasta ancorata a dinamiche tipicamente giovanili. Mi riferisco specificatamente a quella sensazione di sfiducia e possessività che percepisco da parte della mia ragazza; una sensazione, questa, che già di per sé riconoscevo come nociva a 16 anni (quando tutto sommato quest'ultima poteva forse essere "giustificata" da una parziale mancanza di maturità, sia sua che mia), ma che ora riconosco essere un vero e proprio scoglio per la sana prosecuzione del nostro rapporto. Sembra quasi che dopo 9 anni, almeno da parte sua, non sia cambiato nulla sotto questo aspetto: ho come l'impressione che la mia ragazza mi percepisca ancora come il ragazzino in preda alle "turbe giovanili" tipiche dell'età della pubertà. Non riesce a concepire che io possa avere rapporti di amicizia privi di qualsiasi ambiguità sessuale con persone dell'altro sesso; si convince che ogni occasione in cui potrei potenzialmente perdere l'inibizione (mi riferisco ad esempio ad una serata conviviale fra amici in cui può capitare di bere una birra in più rispetto al solito) implichi quasi scientificamente un mio tradimento; concepisce la distanza non come un limite fisico (il che ci può anche stare: non nego che pure io sarei dispiaciuto se non avessimo la possibilità di vederci con la frequenza attuale), ma come un limite sentimentale, ovvero come se la distanza possa sortire su di me l'effetto di sbrogliarmi dai tentacoli del suo "controllo" ossessivo, permettendomi dunque di capire quanto sia bello il mondo al di fuori dalla nostra relazione. Tutto ciò, al netto della mia indole che, invece, è già di per sé pacata: non sono mai stato un festaiolo, non ho mai messo piede in una discoteca in tutta la mia vita, raramente mi capita di ubriacarmi o di assumere cannabis (e in quelle rare volte in cui capita solitamente c'è lei con me, o comunque mi trovo in ambienti "amici", come la mia stessa casa).

Chiaramente, un simile atteggiamento ha suscitato in me un atteggiamento altrettanto infantile. A volte, anzi, spesso (e con una frequenza sempre maggiore nel corso degli anni) sono arrivato a nasconderle cose futili e del tutto lecite solo per non dover poi litigare con lei, con la conseguenza di sentirmi costantemente in colpa per cose che in realtà dovrei avere il diritto di poter fare. In molte occasioni sono arrivato persino al punto di evitare direttamente di fare quelle cose. Ora mi rendo conto di essere arrivato al livello successivo: da quando le mie amicizie si sono disgregate (per motivi esogeni e in larga parte non dipendenti da me) la mia vita gira infatti quasi esclusivamente attorno alla sua persona. Chiaramente questa situazione mi rende stressato, mi fa sentire piccolo, e non fa che alimentare questo mio desiderio di fuga. Per usare termini freudiani - magari anche inopportunamente - sento come se il mio super-io, nel corso del tempo, si fosse via via plasmato ad immagine e somiglianza della volontà della mia ragazza. Ogni volta, prima di pensare, decidere o fare praticamente qualsiasi cosa, mi sorge spontaneo chiedermi "la mia ragazza cosa ne penserebbe?", e, a quel punto, agisco di conseguenza sulla base della risposta che mi fornisco, potendo ormai prevedere perfettamente ogni reazione che una mia azione scaturisce in lei.

Le sue insicurezze inoltre hanno intaccato sfere persino non direttamente ricollegabili alla relazione sentimentale. Non sto a spiegare tutto l'antefatto perché ci impiegherei ore, ma un accenno è doveroso per comprendere al meglio la situazione. Pochi mesi dopo l'esserci messi insieme, la mia ragazza (da sempre una persona studiosa) è stata ingiustamente bocciata a scuola. Ciò ha fatto esplodere in lei tutta una serie di insicurezze (che immagino già avesse, ma che forse fino a quel momento riusciva a tenere sopite), che lei ha in larga parte riversato sulla mia persona. Sono arrivato al punto di sentirmi in colpa di essere finito un anno avanti a lei. Per due anni non ha fatto che stressarmi con previsioni nefaste riguardanti il giorno in cui sarei andato all'università e lei sarebbe rimasta al liceo: nella sua testa io mi sarei reso conto di stare con una stupida e mi sarei infatuato di chissà quale compagna universitaria. La maturità, e in generale tutto il quinto anno di liceo, sono stati per me un inferno; peggio ancora il primo anno di università (a quel problema si aggiunse pure una mia insofferenza generale nei confronti dell'indirizzo scelto), col risultato che finii per smettere di frequentare le lezioni. Nonostante tutto, cercai comunque di dare il 101% di me stesso per aiutarla nella risoluzione dei suoi problemi di autostima ed insicurezza, che al tempo si manifestavano anche in violenti attacchi di panico e crisi di nervi. Mentre cercavo di aiutarla con tutti i mezzi a disposizione, spesso finivo però vittima della sua stessa insicurezza, travolto dal marasma di pressioni e dubbi che quotidianamente riversava sulla mia persona. Non credo sia un caso che nell'estate fra il quinto superiore e il primo anno di università, proprio mentre ero in vacanza con lei, si manifestò in me per la prima volta in assoluto il disturbo ossessivo-compulsivo, più specificatamente l'ipocondria (devo però a tal proposito aggiungere che solo un anno prima mio padre era morto di cancro ai polmoni, dopo una lunga battaglia di oltre 5 anni). Anche in quel caso (sta succedendo anche ora), lei non seppe minimamente aiutarmi, ed anzi in un primo periodo si permise persino di colpevolizzarmi per il mio momento di debolezza, perché a sua detta le stavo rovinando quella che sarebbe stata "l'ultima estate tranquilla della sua vita".

Le sue insicurezze si riversavano anche in ambiti extrascolastici. Ad esempio: ho provato a prendere qualche lezione di canto e lei si indispettì perché forse avevo imparato a cantare meglio di lei; provai ad aprire un'associazione politica giovanile e si arrabbiò perché cominciavo a riscuotere successo e diventare "popolare". E potrei citare molti altri episodi. Nella sostanza, finii per sabotare me stesso, sminuendo le mie stesse capacità pur di non farla sentire a disagio, o evitando di essere particolarmente intraprendente, poiché sapevo che ogni mia "alzata di cresta" poteva potenzialmente scatenare malumori, litigi sfinenti e giorni di frustrazione e bile.

Già tempo fa constatai, inoltre, un calo temporaneo della libido, che unito al mio disturbo di origine ossessivo-compulsiva (che sono riuscito un paio di anni fa a sconfiggere grazie a mesi di terapia strategica breve) mi aveva portato a convincermi, in sequenza, di essere diventato prima asessuato e poi omosessuale (pur non avendo mai provato in tutta la mia vita la benché minima attrazione verso gli uomini), e infine di essere effetto da problemi di disfunzione erettile. Tutto ciò, pur di non ammettere di avere un problema con lei (che in cuor mio ho sempre saputo essere il problema reale). Persino durante le sedute psicologiche evitavo di parlare del mio problema con lei, perché la cosa mi faceva sentire terribilmente in colpa nei suoi confronti, e perché temevo che, una volta fatti i conti con questa situazione, probabilmente sarei giunto alla conclusione che ci saremmo dovuti lasciare.

Ovviamente la relazione tra me e lei è stata anche molto altro: probabilmente la definizione di "nido pascoliano" è infatti erronea. Quando mi trovo solo con lei io sto realmente bene: ci capiamo subito, ridiamo, scherziamo, abbiamo discussioni sia serie che facete. Con lei mi sento in grado di esprimere dei lati della mia intimità che mai ho mostrato ad altre persone, amici o genitori che fossero. Il tempo vola in un attimo e sembra essere sempre troppo poco. Solo negli ultimi tempi, ahimé, ho cominciato a percepire da parte sua un'insofferenza nei miei confronti. Come detto, il lento degenerare del problema fra noi due mi ha portato a divenire una persona vuota, che all'infuori della relazione non ha praticamente nulla. Spesso sono spento, triste, timoroso del futuro. Lei, grazie anche al mio aiuto, è invece riuscita a tornare a camminare sui suoi piedi: ha una brillante carriera universitaria, sta riscoprendo nuove amicizie (fra cui tanti amici maschi, poiché lei, a differenza mia, si sente pienamente libera di esprimere se stessa come vuole). Negli ultimi giorni ho provato a capire il perché della sua insofferenza nei miei confronti e, toccando i giusti tasti, sono riuscito a farla parlare: dice di percepirsi più come la mia psicologa/sorella/madre/amica che come la mia ragazza, perché pensa che io pretenda da lei che si metta a risolvere i miei problemi al mio posto (cosa falsa: vorrei soltanto ricevere affetto, comprensione ed essere spronato... o è chiedere troppo?); dice, inoltre, che non mi riconosce più e che spesso non vede più in me la persona di cui si è innamorata. Curioso notare come a mancarle siano proprio quelle caratteristiche di me (come l'esuberanza, la sicurezza, la socialità) che lei stessa, negli anni, ha tentato di far appassire!

Sono confuso, sfiduciato, senza bussola. Io sento di provare ancora dei sentimenti nei suoi confronti, ma l'attrazione sessuale va e viene, mentre l'autostima pare del tutto scomparsa. In tutto ciò, come un fulmine a ciel sereno, ecco arrivare la più classica delle infatuazioni da "evasione": una mia amica, simile a me di carattere, creativa, intraprendente. Non è un caso che proprio di lei mi sia preso una cotta: è esattamente la persona che sento potrebbe finalmente apprezzare quello che sono davvero, senza inutili forzature. So bene che queste sensazioni sono fittizie, probabilmente passeggere, ma non posso più negare la realtà. Questa relazione è stata per me tossica. Ho passato tantissimi momenti pieni di passione, di gioia e di felicità, ma ne ho avuti altrettanti in cui mi sono sentito soggiogato, subalterno, stupido.

Voglio cominciare una terapia psicologica al più presto per poter trovare me stesso. La mia ragazza dice che vuole cambiare, ha capito che siamo arrivati al punto di non ritorno. Ma quante volte, dopo i mille litigi avuti sempre per le solite motivazioni, siamo finiti per riappacificarci con lei che, piangendo, mi chiedeva perdono promettendomi cambiamenti?
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.7k 180
Gentile utente,
la sua estesa risposta conferma punto per punto quanto avevo ipotizzato. Esistono relazioni collusive, in cui si incontrano due "debolezze" e si incrementano a vicenda.
Il fatto che lei sia andato in terapia praticamente mentendo al terapeuta, accusando tutto il contorno e cercando di curare i particolari secondari pur di non guardare mai diritto davanti a sé, ne è la prova finale.
Tra l'altro io non avevo voluto fare la Cassandra, segnalandole che proprio colui o colei che si sottomette, nella coppia, finisce per essere abbandonato, ma ecco che lei stesso ci scrive che la sua ragazza l'accusa di doverle fare da psicologa e di esserne stanca.
Lei è ancora imbrigliato nel meccanismo perverso: crede che alla gelosia forsennata, alle accuse infondate, al risentimento perché era riuscito a cavarsela meglio a scuola e arrivava prima all'università, sia stato giusto chinare la testa e adattarsi a chi le ingiungeva di autolimitarsi e sottomettersi.
Ottima la decisione di tornare in terapia, ma questa volta non butti via tempo e soldi in quelle che tecnicamente si chiamano "resistenze". Queste email che ci ha scritto, specie l'ultima, sono il materiale vivo su cui lavorare, e prima o poi dovrà darle al suo terapeuta.
Una curiosità: tornerà dallo stesso che l'ha già seguita? Glielo chiedo perché scegliere un altro potrebbe essere l'ennesima fuga. Non dico che necessariamente lo sia, ma...
Auguri.
[#4]
dopo
Utente
Utente
La ringrazio nuovamente per la pronta risposta, e per le parole spese. Quello che dice non fa che confermare le mie analisi da "profano" della materia.

Rispondendo alla sua domanda: per quanto mi riguarda, potrei anche tornare dalla stessa psicologa che anni fa mi aveva seguito. Il mio unico dubbio riguarda l'approccio seguito dalla psicologa stessa, quest'ultima specializzata nella terapia strategica breve ideata dal prof. Nardone. Non nego che il suo aiuto mi sia stato di grande importanza, ma la mia domanda è: essendo il problema non di matrice ossessiva, ritiene che un approccio diverso (non so, magari di tipo cognitivo comportamentale?) si potrebbe rivelare più efficace?
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.7k 180
Gentile utente,
l'approccio cognitivo-comportamentale va benissimo, ma come spesso ripeto anche su queste pagine, un buon terapeuta ha diversi metodi a disposizione per raggiungere l'obiettivo finale che è il benessere del suo paziente - o cliente che dir si voglia.
Nel suo caso, l'unico metodo che eviterei sarebbe una lunga psicoanalisi, che potrebbe diventare un alibi per rimandare ancora la soluzione del problema.
Ho due curiosità che però sono marginali rispetto al suo problema.
La prima è se continuò nella facoltà intrapresa malgrado avesse dei dubbi, e a quale facoltà si sia iscritto.
La seconda è se la dispersione del suo gruppo di amici sia conseguita a scelte politiche diverse e se c'entri qualcosa il suo aver fondato un movimento politico.
Essendo, soprattutto la seconda, curiosità di Psicologia Sociale, se lo ritiene più opportuno non risponda; non ci vedrò nulla di male.
Cordialmente.