Continue difficoltà e crollo di entusiasmo nel lavoro

Salve, sono un ragazzo di 26 anni.

Ho interrotto gli studi universitari in quanto non ero più motivato, mi ero "ingarbugliato" a livello di esami, così piuttosto che ritrovarmi a 28 anni con una laurea ma senza esperienza, ho deciso di lasciare gli studi e buttarmi nel mondo del lavoro.

Visto il periodo non proprio d'oro per trovare un'occupazione dopo qualche mese di colloqui a vuoto ho deciso di provare ad adattarmi, così ho iniziato a lavorare come magazziniere.

Sono durato tre mesi, poi ho deciso di dare le dimissioni.
Il lavoro non mi piaceva, era ripetitivo e alienante.
L'entusiasmo con cui ero partito all'inizio si era spento completamente.
L'idea di fare quel lavoro per non so quanto tempo mi faceva stare male, ho fatto un paio di notti insonni e sono crollato emotivamente, piangendo a dirotto.
Sono andato il giorno dopo da una psicologa, che mi ha incoraggiato a cercare altro, dicendomi che essendo ancora giovane ho una vita davanti, e non valeva la pena continuare a fare una cosa che mi faceva stare male...
Io mi sento adatto a lavori più impiegatizi, avendo studiato geometra e Lingue all'Università.

Poco dopo aver dato le dimissioni ho trovato lavoro come impiegato commerciale.
C'era una parte in ufficio di preventivazione e back office, ma era anche un lavoro in cui spesso bisognava parlare con i clienti, facendogli visita e fare pubblicità ai prodotti.
Io caratterialmente sono introverso, inutile dire quindi che nella parte commerciale mi sentivo molto a disagio.
E così sono finito per dare le dimissioni anche lì.


In seguito a questa esperienza ho lavorato come impiegato per due aziende differenti, ma sono state esperienze negative.

Nella prima le due persone che dovevano farmi da tutor continuavano a litigare tra di loro, ma in generale il clima non era per niente disteso in azienda, c'erano molti litigi.
SI è presentata l'occasione di cambiare lavoro e l'ho fatto.

Nel lavoro successivo ero sempre impiegato, ma in stage, in cui il mio datore di lavoro aveva delle pretese assurde, oltre a degli sbalzi d'umore.

Pretendeva che in un mese e mezzo dovessi imparare di punto in bianco un lavoro che l'impiegata attuale aveva imparato in un anno almeno.
Io dovevo sostituirla perché a tre mesi dal mio arrivo sarebbe andata in maternità.

Finito il secondo mese di comune accordo con l'azienda ho interrotto lo stage, ero estremamente stressato e anche qui il mio entusiasmo distrutto.


Il mio ultimo impiego è terminato ieri.
I miei genitori mi hanno spronato a dovermi adattare in mancanza di un lavoro che mi piaccia, quindi ho fatto domanda come operaio.
Sono stato assunto e avevo due giorni di prova.
Mezza giornata in realtà,.
Il posto di lavoro era una sala chiusa, senza finestre, con un rumore assordate dovuto alle macchine, nonostante avessimo i tappi per le orecchie.
Solo 25 minuti di pausa in 8 ore.
Sarei impazzito, così dopo la mezza giornata di prova ho interrotto il rapporto lavorativo.


Mi sento totalmente smarrito.
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Dr. Alessio Congiu Psicologo, Psicoterapeuta 83 6 16
Gentile utente,

riassumendo quanto ci scrive, sembra che, dopo aver lasciato l'Università per provare ad immettersi quanto prima nel mercato del lavoro, le diverse esperienze poco gratificanti da lei provate l'abbiano portata a non sapere più come procedere, come pure a prospettarsi un futuro lavorativo meno stimolante di quanto inizialmente si aspettava.

Tenuto conto di ciò, sembrerebbe che lei sia perfettamente in linea con il suo obiettivo iniziale: acquisire fin da subito maggiore esperienza nell'ambito del lavoro. Malgrado infatti non abbia trovato di interesse le attività lavorative finora intraprese, sta iniziando ad acquisire quella conoscenza del lavoro e di se stesso che appare necessaria per comprendere in quali settori spendersi maggiormente nel mercato del lavoro.

Quanto piuttosto potrebbe essere distante dalla sua idea iniziale, è il non essere riuscito finora a trovare un lavoro per lei gratificante, come pure il non essere riuscito ad adattarsi ad una realtà lavorativa così come probabilmente avrebbe auspicato. La delusione che quindi potrebbe stare provando sarebbe il risultato della frustrazione di queste aspettative iniziali circa la realtà lavorativa, la sua capacità di adattamento e la possibilità per lei di vivere in futuro il lavoro come un'attività piacevole e gratificante.

Se tale ipotesi fosse corretta, quanto potrebbe renderla confusa sulla strada da prendersi da qui in avanti potrebbe essere l'asettativa che tutt'ora starebbe maturando circa questi tre aspetti (mercato del lavoro, proprie capacità lavorative e di adattamento, futuro lavorativo soddisfacente).

L'invito in questi casi è di valutare con attenzione (in modo autonomo o assieme ad un professionista) in che modo fare tesoro delle esperienze lavorative finora intraprese, al fine di giungere alla formulazione di aspettative sul mercato del lavoro e sul proprio futuro lavorativo che risultino sia realistiche che non demotivanti per raggiungere gli obiettivi che vorrà porsi.

La salutò cordialmente,

Dr. Alessio Congiu

Dr. Alessio Congiu
Psicologo-Psicoterapeuta
T. +39 345 465 8419
alessio.congiu@hotmail.it
alessiocongiupsicologo.it

[#2]
dopo
Utente
Utente
Prima di tutto la ringrazio per la sua risposta molto esaustiva.

In fin dei conti penso sia come dica lei.
Non ho chissà quali grandi obiettivi, la mia unica aspirazione è trovare un lavoro che mi piaccia o comunque mi soddisfi, più a livello di felicità interiore che a livello economico, e che mi permetta di vivere una vita tranquilla.
I miei genitori mi hanno detto che non ho capacità di adattamento e che devo responsabilizzarmi, che in tutti i lavori ci sono aspetti positivi e negativi, che non troverò mai un lavoro in cui mi vada tutto bene.
Ma io mi rendo pienamente conto di questo, del fatto che a quasi 27 bisogna essere in grado di assumersi le proprie responsabilità.
Sento di avere come una sorta di blocco nel superare le difficoltà che mi ritrovo davanti nel fare qualcosa che non mi piace. Però non voglio che passi per un capriccio.
Non riesco ancora ad accettare l'idea di dover adattarmi a fare un qualcosa per cui non ho entusiasmo e che mi soddisfa.
Più che adattarsi io lo vedo più come rassegnarsi.
[#3]
Dr. Alessio Congiu Psicologo, Psicoterapeuta 83 6 16
Gentile utente,

cercare attivamente un lavoro e aver sperimentato diverse attività sono chiare testimonianze dell'impegno che sta mettendo per trovare un'attività lavorativa di suo interesse.

Rassegnarsi a vivere una vita poco soddisfacente non appare la soluzione migliore, come giustamente ha sottolineato, se non altro in quanto la si vivrebbe attualmente come un "rassegnarsi" a vivere una vita nella quale si immagina preclusa la possibilità di essere felici e soddisfatti di se stessi e del proprio lavoro. Vissuta in questo modo, infatti, l'attività lavorativa rappresenterebbe qualcosa di particolarmente frustrante ed impattante in modo negativo il proprio equilibrio, pena il rischio di sviluppo di problematiche emotive (es., ansia, depressione).

Questo non esclude tuttavia l'importanza del doversi anche adattare alla realtà lavorativa, a patto che tale adattamento venga vissuto in modo attivo (es., adattarsi ad un lavoro che non dà grandi soddisfazioni personali per vedere comunque soddisfatti bisogni raggiungibili grazie ad un'indipendenza economica) e non passivo (es., rassegnarsi a svolgere con fatica un lavoro che non da soddisfazioni senza che a tale sforzo corrisponda la soddisfazione di un bisogno altro rispetto a quello puramente economico).

Letta in quest'ottica, la questione potrebbe quindi chiamare in causa tanto il riuscire a trovare un'attività lavorativa di interesse, quanto il riuscire a coltivare interessi altri rispetto a quello lavorativo (ed anzi, funzionali a rendere il lavoro più accettabile in quanto utile a vedere gli stessi soddisfatti). In breve, non rassegnarsi ad accettare un lavoro che non da alcuna forma di soddisfazione, ma non aspettarsi al contempo che tutta la propria soddisfazione pervenga dal lavoro, specie laddove non si vive una passione specifica.

Bisogna comunque sottolineare che la famiglia in questo può giocare un ruolo non secondario, specie quando si è vincolati ad essa a livello affettivo e/o economico. Il desiderio dei propri familiari di vedere il proprio figlio realizzato ed indipendente potrebbe infatti influenzare le scelte di quest'ultimo al punto da portare lo stesso a compiere scelte distanti dai propri interessi per riconoscenza o per puro senso del dovere.

Non escluda di rivolgersi nuovamente alla terapeuta dalla quale è stato seguito per ricevere un valido supporto in questo periodo di forte stress, oltre che di crescita personale e professionale, anche eventualmente coinvolgendo i suoi familiari se da lei e dal terapeuta ritenuto di qualche utilità.

Cordialmente,

Dr. Alessio Congiu