Come posso ritrovare me stessa?

Sono sempre stata una bambina timida, ma felice di sé stessa.
Per anni mi sono dedicata alla scrittura, al disegno, ai videogiochi e a tutto ciò che è arte.
Ho sempre avuto problemi ad interagire con i compagni di classe, ma non ne ho mai sofferto troppo: quando tornavo a casa e mi dedicavo ai miei hobby, tutto andava bene.
I professori mi ritenevano intelligente, così arrivato il momento di iscrivermi al liceo mia madre mi spinse a scegliere lo scientifico per avere maggiori possibilità in futuro (nonostante fossi più interessata ad altre discipline).
Non ho comunque avuto problemi (mi sono maturata con il massimo dei voti), ma i miei compagni mi prendevano in giro spesso e sono diventata anoressica.
Finivo spesso per stare sola, con la differenza che non potevo più ritirarmi nel "mio mondo" di hobby perché lo studio era tanto e occupava la maggior parte delle mie giornate.
Credo di essere stata depressa per qualche anno, ma la prospettiva di terminare il percorso scolastico e avere una seconda chance all'università mi dava una grande speranza.
Dopo la maturità ho scelto una facoltà informatica con la speranza di riavvicinarmi ad una vecchia passione (i computer) e con il sogno di incontrare nuove persone.
Inutile dire che, dopo anni passati in solitudine, non ero aggiornata su gran parte della "cultura sociale" del momento e ho dovuto fare una lunga strada per adattarmi alle conversazioni, ma ho dato il mio meglio e, almeno per i primi mesi, tutto è andato a meraviglia.
Mi svegliavo ogni giorno felice di avere finalmente qualcuno che non mi ritenesse diversa e non mi giudicasse.
Molti di loro mi invitavano ad uscire insieme, addirittura uno di loro è diventato il mio ragazzo.
Ero così presa dall'entusiasmo, però, che ho cominciato a trascurare lo studio, arrivando a fallire un esame cinque volte.
Alla fine l'ho superato, ma pagando un caro prezzo: ho cominciato a sviluppare una specie di complesso di inferiorità.
Dopo tutti quei fallimenti non facevo che paragonare le mie capacità intellettive a quelle degli altri, giungendo sempre alla conclusione di essere stupida e "incapace" di eccellere nella mia disciplina.
Questo complesso mi ha perseguitato per molto tempo, estendendosi pian piano anche ad altre aree (umorismo, conoscenze...) e ho dovuto allontanarmi da tutti.
Il mio ragazzo, per aiutarmi, cercava di insegnarmi ciò che sapeva in più di me, arrivando al punto di evitare le attività in cui eccelleva per non farmi "sentire inferiore", ma ciò ha avuto conseguenze sul suo umore e oggi siamo entrambi da uno psicologo (solo 2 sedute finora).
Mi sembra ormai di non avere più interessi, di non poter provare meraviglia.
Non trovo più l'ispirazione che un tempo mi spingeva a studiare.
Non ho energia, autostima, amici.
Sono preoccupata per il mio ragazzo.
Vedo i risultati altrui e mi pento di non aver realizzato nulla.
Perchè?
Smetterò mai di soffrire attorno a chiunque abbia un minimo di esperienza in più su qualcosa?
Come smetto di paragonarmi?
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Dr.ssa Arcangela Annarita Savino Psicologo 49 3
Gent. Le utente la sua lettera è molto particolare. Sebbene abbia descritto attentamente i periodi della sua vita dall'altro manca un'analisi profonda del suo sé e dei modelli genitoriali interiorizzati. Si può essere abili in tante cose ma se non si ha il collante dell'autostima il tutto si vanifica. La fase anoressica è la massima rappresentazione di rifiuto di parti di sé.
Ottima la scelta del percorso psicologico anche se non ho inteso se essere individuale o di coppia. Sottolineo l' importanza di un percorso individuale. Si coglie chiaramente lo stato di paura e di ansia in cui si trova ma solo un cammino profondo interiore può aiutarla a sdradicare degli stati depressivi che conserva.

Il suo cammino deve iniziare da aver fiducia nel percorso che ha intrapreso perché significa iniziare ad avere fiducia in sé stessa.

Cordialmente, dott.ssa Arcangela Anna Rita Savino

Dr.ssa Arcangelaannarita Savino

[#2]
dopo
Utente
Utente
Grazie per la risposta.
Non so bene cosa intenda per "analisi profonda del suo sè e dei modelli genitoriali interiorizzati", ma se parla del mio rapporto con i genitori, posso dirle che il mio unico tasto dolente è mia madre.
Mio padre è molto estroverso, generoso, sensibile. Mi ha sempre fatto ridere e riempito di regali. Durante la mia adolescenza si preoccupava a causa della mia timidezza, voleva che uscissi di più e aveva molta paura di piccoli comportamenti dovuti al mio carattere introverso, come il vergognarsi di parlare ad un negoziante o di ordinare una pizza davanti ad altre persone. Ho avuto qualche momento di disguido con lui quando appunto mi forzava ad uscire dal mio guscio facendo leva sui suoi sentimenti di rabbia: mi sentivo spesso in colpa per il mio modo di essere e mi vergognavo, ma senza cedere, cercando di superare questi "ostacoli" a modo mio. Un'altra sensazione che ricordo di aver sentito spesso in sua presenza è quella di essere sottovalutata, anche se non espressamente, nei campi di sua competenza. Ho spesso pensato che proiettasse su di me una specie di "sorpresa" ogni volta che non conoscevo qualcosa di molto basilare. Ho inoltre due ricordi molto forti che lo riguardano, entrambi negativi: nel primo sono molto piccola e mio padre mi chiede di accompagnarlo da qualche parte, io rifiuto per giocare con una vicina di casa (che però poi scopro non essere a casa) e, sulla via di ritorno, intravedo mio padre e gli chiedo, urlando, di fermare l'auto per accompagnarlo. Mio padre mi guarda, accende l'auto e parte. Gli corro dietro per un po', piangendo, ma non si ferma.
Nel secondo ricordo entra in camera mia e molto pacatamente mi domanda perché sia rimasta a casa invece di uscire. Mi chiede se ho intenzione di restare sola tutta la vita, sottolineando che "non ho amici" e che non è una cosa normale, poi se ne va.
Con questo non voglio creare una brutta immagine di lui, ma solo darne un quadro completo e inserire episodi che mi hanno colpito emotivamente.

Mia madre ha invece un carattere più severo. Ho già detto che a causa sua ho dovuto iscrivermi ad un liceo scientifico: questo perché ha sempre avuto la tendenza a controllare la mia vita scolastica e a non condividere i miei hobby artistici (una volta, nel mezzo di una crisi, mi strappó un disegno a cui tenevo molto dicendo che "ero solo capace di disegnare stronzate"). Ha passato anche lei dei periodi di difficoltá nei quali mi chiedeva un maggiore aiuto in casa, ma appena rimandavo o sbagliavo qualcosa reagiva esageratamente e mi ripeteva che ero incapace, che non avevo un futuro, che ero una "senza cervello" e tanti altri epiteti. Ricordo litigi pieni di urla, schiaffi, oggetti che si rompono. Spesso arrivava ad un punto di non ritorno in cui si comportava "da pazza" e ripeteva che era colpa mia se stava diventando isterica, che l'avrei mandata al manicomio e che non poteva più vivere in quel modo. Quando diventai più grande e cominciai a tenerle testa fisicamente, prese l'abitudine di fare scenate in presenza di mio padre per farlo preoccupare e chiedergli di picchiarmi, convincendolo di quanto stessi diventando "maleducata" ed "egoista". Ho bene in mente una di queste occasioni, nella quale pensavo che fosse particolarmente ingiusto che venissi picchiata e mi feci parecchio male; mi è rimasta impressa anche perché mia sorella, ancora piccola, guardava la scena piangendo disperatamente e chiedendo a papà di fermarsi.
Ripensandoci a quest'età, mi rendo conto che i motivi dietro questi scleri erano davvero ridicoli, spesso riguardanti la cura della casa o dell'igiene personale - diciamo tutte quelle piccole cose che da bambini/ragazzi si tende a trascurare perché molto presi dai propri amici, hobby o semplicemente perché si è un po' pigri e disordinati.
Un altro argomento che faceva imbestialire mia madre era la mia selettività nelle amicizie. Come già scritto, ero una bambina sensibile e dal carattere introverso, non mi trovavo troppo bene con i miei compagni e spesso venivo invitata ad uscire per poi essere presa in giro tutta la sera. Per questo motivo, quando succedeva, cercavo una qualsiasi scusa per rifiutare l'invito - ma se mia madre veniva a sapere da un genitore di una certa festa, allora mi imponeva in tutti i modi di andarci. Era preoccupata per la mia vita sociale e non mi ascoltava davvero quando le dicevo di non trovarmi bene. Moltissime volte ero costretta a partecipare e tornavo a casa piangendo per questo o quell'altro scherzo di cattivo gusto, ma le mie lacrime dopo una festa erano solo un'altra "stranezza" di me che non capiva nè sopportava. Crescendo trovai un gruppetto di ragazze che mi trattavano normalmente, ma in quel periodo, come ho già scritto, credo di essere stata depressa - pensavo solo a studiare, a dimagrire, non volevo vedere nessuno e non volevo uscire per paura di dover mangiare piatti calorici. Di conseguenza evitavo anche queste ragazze, e mia madre (sempre per preoccupazione) finiva per peggiorare le cose. Venivo controllata, si lamentava di me di nascosto con parenti e amici, mi definiva una "malata", "asociale", parlava senza interruzione per ore ed ore di quanto stessi "rovinando la famiglia", mi costringeva ad uscire... insomma la sua strategia era quella di farmi sentire in colpa per farmi smettere. Arrivai ad avere crisi proprio come le sue, in cui sbattevo i pugni sul letto, piangevo e la spingevo via. Ho avuto momenti orribili in cui mi odiavo così tanto da perdere il controllo e, proprio come lei, reagivo in maniera esagerata, fino ad avere il battito talmente accelerato da non riuscire più a parlare, ma solo a tossire.
Fortunatamente anche questo periodo è finito e, con il tempo, i suoi "momenti" sono diventati sempre di meno. Oggi si lamenta spesso, ma le esagerazioni sono rare - al massimo, nei brutti momenti, si riferisce a me con la stessa saccenza o fa qualche scenata con mia sorella. Credo stia cercando di cambiare, adesso che si rende conto del "complesso" che ho sviluppato.
Quando è tranquillia, mia madre è una persona molto comprensiva, quasi remissiva.
Ho sempre pensato, com'è ovvio, che molti dei miei problemi di insicurezza possano derivare da lei, ma non mi sento di darle davvero una colpa - con il tempo ci ho fatto l'abitudine e non le porto alcun rancore.

Spero di aver inserito qualcosa di utile e aspetto un suo parere sulla mia ipotesi.
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Dr.ssa Arcangela Annarita Savino Psicologo 49 3
Quello che ha raccontato è importante e indice dell'immagine che ha avuto e ha in famiglia.

Questi aspetti richiedono elaborazione, analisi e trattamento per liberarli perché hanno avuto una parte considerevole su di sé.

Il sentimento contenuto, ed ora latente, di rabbia verso i suoi genitori, sentimento lecito e sequenziale alla modalità supportiva ed educativa avuta dai suoi genitori, ha un suo peso dentro di se che la porta a bloccarsi.

Penso che sia importante iniziare dal piccolo.

Individui un aspetto di sé che vuole migliorare o potenziare e si concentri su quello.

Per il resto questo spazio per quanto può essere una grande opportunità è sempre limitativo per poter trattare e approfondire il tutto.

Anche noi esperti pur mossi dalla volontà di offrire più aiuto e intervento siamo limitati.

Pertanto prendi in considerazione di rivolgersi ad uno specialista pubblico o privato per affrontare quello di cui ha bisogno.

Spero di essere riuscita a darle un piccolo spunto.

Cordialmente, Arcangela AnnaRita Savino