Info sulla terapia breve strategica

Dottori buonasera!
Ho deciso di scrivere qui invece che continuare a cercare in internet testimonianze di persone che in un momento mi convincono e in quello dopo mi spiazzano (so che è normale perché ognuno ha le proprie esperienze e reazioni).

Vorrei chiedervi secondo voi se la psicoterapia breve strategica possa essere un valido aiuto per un disturbo da attacchi di panico che non presenta più attacchi di panico ma semplicemente la paura della paura che possano riverificarsi (ho letto due libri di Nardone)
Mi spiego meglio: passo la maggior parte della giornata a fantasticare su qualsiasi situazione possa succedermi (dalla più sciocca come andare a comprare le sigarette alla più consistente come intraprendere un nuovo lavoro) ed in tutte queste situazioni mi vedo stare male ed avere paura (agorafobia, dissociazione, voglia di fuggire, vertigini, senso di instabilità), tanto che, quando le intraprendo, sto veramente male e i sintomi fra parentesi arrivano tutti.
Mi sono licenziato già due volte ed il fatto che abbia riniziato a lavorare e sia stato male a lavoro ha secondo me rafforzato la paura, tanto che solo l'idea di fare un colloquio e superarlo e dover stare fermo a lavoro 8 ore in un posto mi mette addosso un'ansia anticipatoria terrificante, pur avendo 30 anni ed essendo assiduo lavoratore da 10.
Mi sento prigioniero della mia stessa paura ed ovviamente, un po' come tutti, credo che la mia testa sia andata in tilt e non possa più farmi vivere come prima.
Sono diventato una specie di reietto che resta sempre in casa ed ha paura di uscire e di vivere.
Una delle cose che mi mettono più paura e sconforto è il fatto di non riconoscermi, quasi fisicamente, materialmente mi sento assente mi sento distaccato, non mi sento partecipe e protagonista della vita come prima.
Io so cosa non ha funzionato e cosa tuttora non funziona della mia vita, tuttavia i sintomi è come se fossero un deterrente a darmi la lucidità per affrontare queste cose (forse anche una scusa?).
Assumo lo xanax (che ormai non ha più effetto a mio parere e lo assumo solo per paura) e mi sento già abbastanza dipendente, non ho pregiudizio sui farmaci ma vorrei evitarne altri, visti gli effetti collaterali che ho avuto quando alcuni mesi fa il mio medico di base ha tentato di curarmi con la paroxetina.

Vi ringrazio per qualsiasi prezioso consiglio vogliate riservarmi.
Con gratitudine.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 182
Gentile utente,
la cosa fondamentale credo sia smettere di consultare Internet, che origina confusione in chi non è del mestiere; altrettanto importante, se non di più, è non prendere nessun farmaco che non le sia stato prescritto da specialisti.
A questo proposito si faccia prescrivere una visita psichiatrica, per capire se ha bisogno di farmaci, quali e in quali dosi. Lo psichiatra stesso potrà suggerirle una psicoterapia.
Soprattutto se non sta lavorando, è il caso di intervenre con le cure idonee.
Qui su Medicitalia i miei colleghi hanno scritto degli articoli interessanti al riguardo.
Ci tenga al corrente; auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#2]
dopo
Utente
Utente
Grazie dottoressa per il suo apprezzato interessamento.

Lo Xanax mi è stato prescritto dal mio medico di base in fase acuta e ammetto di essermici appoggiato parecchio. Mi ha poi dato la paroxetina ma non ho resistito agli effetti collaterali iniziali e l'ho interrotta (col suo benestare), ed ho iniziato psicoterapia.

A proposito della sua affermazione che internet confonde chi non è del mestiere sono d'accordo ma mi permetta di porgerle una domanda genuinamente da ignorante: io ho visto 3 psichiatri e le cure che mi sono state proposte non si somigliavano neanche lontanamente l'una con l'altra. Chi mi ha prescritto un cocktail di 5 farmaci con dentro un antipsicotico, chi un antiepilettico, chi un farmaco che cura il bipolarismo.. chi mi ha detto che soffro di depressione e per questo ho gli attacchi di panico, chi mi ha detto il contrario, eppure io sono arrivato da tutti e 3 raccontando la stessa storia con gli stessi sintomi e le stesse paure. Mi rendo conto che le patologie psichiatriche non siano un diabete o un'insufficienza cardiaca, ma, Lei, se non fosse un medico, non sarebbe altrettanto confusa e titubante?
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 182
Gentile utente,
sulle plurime risposte che ha ricevuto non posso fare altro che darle ragione.
Fin da quando ero giovane, all'università (parliamo letteralmente dello scorso millennio!) si spiegava che la relazione medico-paziente dev'essere chiara, perché quest'ultimo si curi.
Se il paziente non capisce perché ha ricevuto una certa prescrizione, cosa deve aspettarsi dalla cura, come mai gli effetti positivi tardano e perché ha determinati effetti collaterali negativi, chiaramente la terapia non verrà assunta.
Oggi molti medici hanno capito e agiscono di conseguenza, ma ce n'è ancora di quelli che pretendono di lasciare il paziente all'oscuro, procedimento che rendeva tutto problematico anche quando il medico era uno solo, impossbile quando gli specialisti sono tanti.
In realtà alcuni dei farmaci che le hanno prescritto sembrano destinati a curare cose diverse, ma agiscono su principi simili. Certamente dev'essere cura del professionista accertarsi che il paziente abbia capito per quanto è in sua facoltà. Da parte sua, il paziente dovrebbe porre domande e anche insistere, anziché diffidare subito del professionista.
In quest'ultima comunicazione comunque lei afferma che ha già cominciato una psicoterapia. Chi meglio del suo terapeuta potrà aiutarla ad uscire dai dubbi? A proposito, di che orientamento è?
Auguri.
[#4]
dopo
Utente
Utente
Dottoressa, mi crederebbe se le dicessi che non lo so? La terapeuta mi è stata consigliata da un'amica e mi ci sono trovato subito bene, in confidenza ma con professionalità. È una donna che non consola ma sprona, che mi ha aiutato molto a migliorare il rapporto conflittuale con mio padre a causa dell'omosessualità, che mi sta facendo capire che qualcosa non va nella mia realizzazione personale e nella coppia. Dopo qualche seduta le ho chiesto se si trattasse di cognitivo comportamentale e mi ha risposto "non proprio" e io sono andato avanti fidandomi. Ma nonostante consideri questa "collaborazione" produttiva a livello interno i miei sintomi fisici non migliorano. La paura non mi passa. È come se volessi fare ma fossi troppo spaventato dai sintomi fisici. Lei mi dice sempre che è una questione di poca maturità e poco coraggio nel prendersi le proprie responsabilità, come se i miei sintomi fossero una scusa che escogito. io sono d'accordo, ma da dove inizio se fisicamente non riesco neanche a prendere una metropolitana da solo? È vero che il vero viaggio è interiore ma esiste anche la vita e quella è reale ed è fatta di cose, di situazioni da vivere e io mi sento congelato. Per questo sto cominciando a pensare a qualche soluzione più pratica da affiancare, da qui mi sono avvicinato a "studiare" la tbs o a rivalutare i farmaci.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 182
Gentile utente,
che la sua psicologa non abbia dichiarato un preciso orientamento potrebbe essere un modo per esprimere il fatto che un bravo terapeuta utilizza gli strumenti validi di tutti gli orientamenti, purché ne conosca gran parte e purché non abbia preclusioni ideologiche verso l'uno o l'altro orientamento scientificamente validato.
Meno mi convince quanto segue: "nonostante consideri questa "collaborazione" produttiva a livello interno i miei sintomi fisici non migliorano. La paura non mi passa. È come se volessi fare ma fossi troppo spaventato dai sintomi fisici. Lei mi dice sempre che è una questione di poca maturità e poco coraggio nel prendersi le proprie responsabilità, come se i miei sintomi fossero una scusa che escogito".
Caro ragazzo, per le paure che cita (prendere la metro, etc.) si fanno esercizi specifici, concordati col proprio terapeuta. Si chiamano eserci anti-paura, anti-vergogna e così via. Non è necessaria, per questo, la pur ottima Terapia Breve Strategica: qualunque corso di Terapia Cognitivo-Comportamentale comincia proprio con l'affrontare sintomi di questo tipo, e del resto quale terapeuta, oggi, preferirebbe rimproverare il paziente perché non sa prendere l'ascensore, senza avergli offerto le strategie specifiche (cognitive, emotive, comportamentali) per farlo?
Ne parli specificamente con la sua terapeuta; può darsi che non vi siate capiti?
Buona giornata.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 182
Gentile utente,
ho dimenticato di chiederle la cosa fondamentale: si è accertato, cercando il nome e cognome della sua curante sull'Albo Nazionale degli Psicologi (è online) di essere seguito da una vera psicologa?
Ci faccia sapere.
[#7]
dopo
Utente
Utente
Buongiorno Dottoressa
La ringrazio per le sue risposte che ho letto con interesse. Per quanto riguarda la psicologa mi sono accertato dell'iscrizione all'albo degli psicologi e psicoterapeuti della mia regione e concordo anche sulla possibilità che stia usando i princìpi che considera migliori di ogni tipo di terapia. Quello che vorrei dirle è che il problema principale del mio malessere, è la sensazione di aver perso la razionalità, di essere fuori controllo quando sono in mezzo alle situazioni che le ho descritto, di non avere la lucidità mentale di affrontarle, come se mi si annebbiasse il cervello (e questa sensazione assume poi un peso proprio fisico, non è solo mentale), per questo motivo quello che mi manca è imparare a poter gestire questi sintomi con degli esercizi, con delle strategie, con un programma di recupero di quelle che erano delle abitudini normalissime. Io non mi sono mai fatto problemi a fare nulla, anzi, dai 20 ai 30 anni ho sempre fatto tutto da solo e con coraggio (ho cambiato città per lavoro da solo, ho viaggiato ed ho sempre trovato dentro me stesso un alleato con cui vivere, che in questo momento mi sembra assente e mi sembra vinto) e per questo motivo per me la paura di tornare a lavoro o di fare delle cose veramente "sciocche" (andare al supermercato, andare dal barbiere, fare un aperitivo) viene visto come una sconfitta. La terapeuta mi dice sempre che non si sofferma tanto sulla mia sintomatologia in quanto secondo lei è una scusa per non fare. Dice che sto comodo della mia ansia e nella mia agorafobia perché queste mi permettono di evitare responsabilità, cambiamenti, crescita ed io potrei anche essere d'accordo, ma a volte mi chiedo: se così fosse starei "bene" nel mio malessere, ed invece ogni mattina mi sveglio e penso: cosa mi sto perdendo oggi? Come è possibile che a 30 anni io mi sia licenziato ed abbia paura anche a fare solo un colloquio? È questo che mi ha fatto avvicinare alla teoria della TBS, la quale non agisce su aspetti che sto già discutendo e cercando di migliorare con la psicoterapia attuale quali fantasmi del passato o problematiche grosse ed esistenziali, bensì potrebbe dare un aiuto più pratico per dare un po di sollievo da questa maledetta paura che mi prende in qualsiasi situazione.
La ringrazio e le auguro buona domenica.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 182
Gentile utente,
cerchiamo di fare chiarezza, intanto, circa l'"albo degli psicologi e psicoterapeuti".
Un tale albo non esiste.
Esiste, come vedrà se vorrà verificare online, un Albo nazionale degli psicologi, sul quale cercando per cognome e nome viene indicata la regione in cui la persona esercita e l'appartenenza alla sezione A (psicologo) o B (dottore in Tecniche Psicologiche, che non è psicologo). Viene indicato anche se è psicoterapeuta (che è una specializzazione) ed eventuali altre specializzazioni.
Cercando poi sull'albo regionale viene spesso indicato l'orientamento: psicoanalista, cognitivo-comportamentale, sistemico-relazionale e altro, e il campo d'intervento: bambini, adulti, coppie, famiglie etc.
Si può essere psicoterapeuti non psicologi, ma medici: in questo caso è sull'albo dei medici che dovrà cercare se la dottoressa che la segue ha acquisito anche la specializzazione in psicoterapia.
Fatta questa ricerca, per lei è necessario, parlandone con chi la segue, accertare quali criteri state adottando, dal momento che lamenta la conversione del disagio mentale in sintomi fisici e specifica: "quello che mi manca è imparare a poter gestire questi sintomi con degli esercizi, con delle strategie, con un programma di recupero".
Queste cose vengono fornite dalla maggior parte delle terapie, ad escusione della psicoanalisi classica, e mentre il paziente sperimenta le varie strategie emergono con chiarezza i motivi che hanno determinato e continuano a determinare i "blocchi" che lo paralizzano, molto più chiaramente ed efficacemente di quanto non possa farlo il continuare a parlare di "fantasmi del passato o problematiche grosse ed esistenziali".
Ora, lei ci dice che la sua terapeuta continua a ripeterle "che non si sofferma tanto sulla mia sintomatologia in quanto secondo lei è una scusa per non fare. Dice che sto comodo della mia ansia e nella mia agorafobia perché queste mi permettono di evitare responsabilità, cambiamenti, crescita".
In altre parole, la sua curante non segue il metodo cognitivo-comportamentale, perché non le fa riformulare le idee disfunzionali e non le suggerisce idee, comportamenti e controlli emotivi per opporsi ai momenti di crisi; ma non segue nemmeno quello psicoanalitico, perché non aspetta che dall'analisi condotta col metodo classico (il paziente che parla sdraiato sul lettino) possa emergere il motivo inconscio del disagio. La psicologa sostiene che già lo conosce: consiste nel suo aver scelto ansia e agorafobia per evitare le responsabilità.
A questo punto, quale metodo esattamente sta adottando perché lei abbandoni la sua ambigua comfort-zone, visto che esistono, come terza via, anche le tecniche persuasorie, ipnosi compresa, ma il sistema di continuare semplicemente a rimproverare il paziente non mi pare sia contemplato dai manuali?
Questa è la domanda alla quale occorre ottenere una risposta... se la sua terapeuta non gliel'ha già fornita, come ho suggerito a suo tempo, e lei, per una ragione o per l'altra, ha resistito ad accoglierla.
Provi ad affrontare ancora questo punto. E' già un esercizio di coraggio, e nella zona protetta del setting terapeutico.
Se poi, per difficoltà a dialogare con la curante o resistenza al compito che le viene proposto, ciò non le sarà proprio possibile, la TBS o qualunque altra terapia cognitivo-comportamentale potrà aiutarla a sbloccare la situazione.
Sempre ricordando, però, che l'invocato cambiamento passa attraverso la volontà del paziente di cambiare.
Auguri.
[#9]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dott.ssa, intanto la ringrazio con sincerità per il tempo che mi sta dedicando. Ho controllato e la dottoressa risulta iscritta come psicologa e psicoterapeuta. Non vorrei aprirle un sipario gigantesco sulla mia vita, ma per carattere io sono molto restio e vergognoso ad esprimere qualsiasi cosa di negativo nutra nei confronti delle persone che considero più informate, più colte e più preparate di me. In poche parole sono un po' vigliacco sull'esprimere malessere o poca fiducia nei confronti di questa psicoterapeuta, più che altro perché per molte cose mi è stata molto d'aiuto (scoprire la vera essenza di mio padre, accettare e comprendere alcune sue reazioni sulla mia omosessualità, farmi rivalutare da un'altra prospettiva il rapporto col mio compagno) e perché con lei ho instaurato un ottimo rapporto di confidenza, le dico cose che a volte stento anche solo a dire a me stesso. Tuttavia però pur mi sia messo nelle sue mani il fatto che non ci sia stato in 5 mesi uno sblocco della sintomatologia fisica mi rattrista, mi mette addosso negatività e poca voglia di combattere ancora. Le ripeto che quando ho ripreso a lavorare, dopo essermi licenziato la prima volta, l'agorafobia e la paura di stare in giro da solo si erano affievolite tantissimo, tuttavia a lavoro restavo 8 ore con addosso dei sintomi fisici e mentali devastanti e per di più nei giorni di riposo in cui stavo a casa e uscivo da solo non riuscivo a fare quasi nulla con coinvolgimento, anzi, la paura di fare le cose era sempre li dietro l'angolo. Quindi ho mollato, glielo dico con un po di rammarico ma è così, non ho resistito perché mi continuavo a ripetere che andare a lavoro cosi era inaccettabile. Non scarto la probabilità che questa condizione creatasi sia comoda per me in un momento nel quale effettivamente sono stufo delle responsabilità che mi sono sempre preso e di tante cose che ho affrontato da solo fin da giovanissimo, ma ho sempre pensato che fossero proprio queste cose ad avermi rafforzato e reso indipendente, adesso mi sento disabile, mi dispiace usare un termine così forte ma è questa la sensazione e non ce la faccio a non pensare che sia tanto tanto strano che io sia così resistente al migliorare e all'uscire da questa prigione. In caso contrario, forse, non ne capisco il motivo e non ho ancora trovato la persona giusta che mi aiuti a capirlo. Faccio tesoro di quello che mi ha scritto. Grazie ancora.
[#10]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 182
Caro utente,
ho letto le sue parole immedesimandomi nella sua terapeuta come se fossi io.
Ebbene, non sarei contenta se lei non mi dicesse, all'inizio di ogni seduta, cosa non è andato bene nella settimana e cosa si aspetta dalla terapia, intesa come processo da costruire in due, ciascuno per la sua parte, e non come colpo di bacchetta magica che ha risolto ogni cosa una volta per tutte.
Lei ha fin qui apprezzato, della sua psicologa, il fatto di averle fatto vedere alcune cose in una nuova ottica rasserenante e il fatto di poterle parlare con una sincerità che non aveva mai avuto nemmeno con sé stesso.
Bene, tutto questo è il miracolo iniziale della terapia. Capisco che lei sia grato alla persona che a suo giudizio lo ha prodotto, ma ora si tratta di cominciare il lavoro vero, invece lei vuol fuggire verso un'altra terapia, un altro terapeuta, senza nemmeno accennare, con la sua, alle richieste che sono nate dall'aver superato i primi scogli.
Per quale ragione?
Cerchiamo di vederlo attraverso le sue parole: "per carattere io sono molto restio e vergognoso ad esprimere qualsiasi cosa di negativo nutra nei confronti delle persone che considero più informate, più colte e più preparate di me".
E poi: "sono un po' vigliacco sull'esprimere malessere o poca fiducia nei confronti di questa psicoterapeuta, più che altro perché per molte cose mi è stata molto d'aiuto".
Due timori diversi: dalla prima frase sembra che lei tema, facendo osservazioni a chi ne sa più di lei, di provocare una reazione che può ferirla come un boomerang. Dalla seconda appare invece la preoccupazione di perdere un bene che le è ancora utile.
Due timori diversi che insieme però rimandano a ciò che può essersi stratificato nella mente di un bambino ferito: "Ho paura che tu mi umili, mi picchi e poi mi lasci solo".
Ma un altro punto fondamentale è nel fatto che questo bambino sembra essersi abituato a bloccare preventivamente le proprie richieste, che considera alla stregua di offese, dichiarazioni di incapacità e di sfiducia. Valuti lei i termini: "restio e vergognoso ad esprimere qualsiasi cosa di negativo" e poi "un po' vigliacco sull'esprimere malessere o poca fiducia".
Ma la richiesta di una strategia di coping per affrontare una fobia paralizzante è forse un giudizio negativo, un indizio di malessere, una manifestazione di poca fiducia? Se chiedo ad un professore di spiegarmi di nuovo qualcosa che non ho capito, sto forse accusandolo di non avermelo saputo spiegare la prima volta?
Lei potrebbe rispondere: "Sì, se gliel'ho chiesto più volte e lui ha sempre ripetuto gli stessi concetti incomprensibili".
Ma lei ha l'impressione di avere esternato chiaramente le sue richieste alla psicologa, con tutta la disperazione che accompagna ogni suo fallimento, ed è certo che la sua domanda sia stata delusa per ragioni che sicuramente sono indice di qualche irrimediabile carenza della psicologa stessa?
Potrebbe perfino darsi che le cose stiano proprio così, ma ci sono molte altre possibilità, prima di questa, che potrebbero fornire un'interpretazione meno drastica.
Le faccio qualche esempio.
Primo esempio. Vinto dal miscuglio dei suoi timori e dalla sua tendenza a considerare ogni richiesta un attacco, lei ha accennato con tale confusa timidezza la richiesta di una strategia di coping, che la sua curante non l'ha nemmeno colta.
Secondo. La curante sta perseguendo un preciso fine terapeutico escludente le strategie di coping e pensa che lei lo condivida - le ho detto in un'altra risposta che ci si deve accordare anche col medico o non si seguono le prescrizioni - perché lei non fa domande e apparentemente non si oppone.
Terzo. Chi sta male vorrebbe guarire subito, annullare gli eventi negativi della propria vita e trovarsi subito nell'eden, ma la psicologa sa che il benessere è un conquista lenta, non il flash della droga, quindi non anticipa soluzioni che se usate intempestivamente potrebbero fallire il loro scopo e deludere il paziente.
Quarto. Lei può aver manifestato, anche raccontando episodi della sua vita, una tendenza allo stile oppositivo, polemica e resistenza, e la psicologa sta smontando queste tendenze col farle sperimentare un rapporto in cui questo stile non ottiene effetti; per questo elude le richieste volte a opporsi alla procedura stabilita.
Le ho fatto solo quattro esempi; ce ne possono essere molti altri. Concludendo, la situazione le offre la possibilità di sperimentare il suo coraggio proprio nella zona protetta del setting terapeutico. Se ha accettato l'ipotesi che lei formula male le richieste perché teme di offendere e teme di essere, in risposta, offeso e abbandonato, lavori su questa idea irrazionale e strutturi la richiesta esponendo sinceramente per prima cosa i suoi timori alla psicologa. Le dica poi quanto si sente male quando non riesce a compiere gli atti più semplici della vita, e le chieda ancora come pensa di aiutarla.
Altro, da qui, non è possibile fare.
Auguri infiniti. Ci faccia sapere.
Ansia

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