Omosessualità e solitudine

Salve,
ho 25 anni e sono omosessuale.
Vivo la mia omosessualità come una condanna, non tanto perché la consideri un problema di per sé, quanto per le implicazioni che essa comporta.

Non mi riferisco all’omofobia della società o al fardello del coming out: sono dichiarato con le persone a me più vicine e non sono mai stato oggetto di omofobia.
Piuttosto mi riferisco alla solitudine, una vera e propria piaga del mondo gay.

Gli omosessuali hanno molta più difficoltà a conoscersi rispetto agli etero nella vita quotidiana, perché in termini numerici sono una minoranza, e perché in questa minoranza c’è una sotto-minoranza (o maggioranza?) di repressi o non dichiarati.

La difficoltà del conoscersi nella vita quotidiana impone agli omosessuali di usare canali specifici per conoscersi, come app di incontri e locali.

E qui sorgono altri problemi: i locali sono nella maggior parte dei casi discoteche e non luoghi normali di incontro come bar o pub; le app di incontri sono più che altro finalizzate al fast sex e non a una normale conoscenza.

Insomma, tutte queste difficoltà circoscrivono una vera e propria "epidemia della solitudine gay" (titolo di un articolo di Michael Hobbes).

Vivo tutto ciò sulla mia pelle.
A 25 anni suonati non ho mai avuto una storia.
Sono stato innamorato due volte, ma di due eterosessuali.
Il primo era un compagno di classe al liceo, il secondo un uomo di 40 anni; il secondo innamoramento in particolare è stato devastante e ne riporto ancora gli strascichi.

La solitudine è la mia condizione passata, presente e (temo) futura.

Ed è proprio questo il problema: la solitudine non è un problema quando è circoscritta a periodi di tempo limitati, lo diventa quando diventa la propria condizione esistenziale, il proprio ideale di vita.

Ho cercato di compensare la solitudine con la mia realizzazione personale, ma non c’è stato verso.
Gli uomini non sono isole, sono vasi comunicanti.
Il benessere della persona non può coincidere esclusivamente con lo stare bene con se stessi, implica necessariamente un rapporto intimo e profondo con l’altro.

Io sono la dimostrazione di tutto ciò: sono almeno 5 anni che penso al suicidio e non escludo che quella sarà la mia strada.
Non credo però di essere un caso anomalo tra gli omosessuali, i quali, statistiche alla mano, soffrono maggiormente di depressione e sono più esposti a tendenze suicide rispetto agli eterosessuali.

Ho anche affrontato un percorso di psicoterapia, che però purtroppo è servito fino a un certo punto.
Scrivo dunque qui per avere un consiglio o un’opinione a cui appigliarmi per cercare di andare avanti.

Grazie in anticipo,
Cordiali saluti.
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Dr.ssa Daniela Sabbadini Psichiatra, Psicoterapeuta 59 3
Credo che il percorso di psicoterapia sia l'unica soluzione. Non ho capito da quel che scrive se vi stia ancora sottoponendo, oppure se l'abbia interrotto.
Se con quel terapeuta sentiva che la terapia non stava procedendo e dando frutti, può sempre tentare con un altro professionista.
Credo che alla sua età, pensare che la conclusione più probabile della propria vita sia il suicidio sia affliggente e disfunzionale, e che ci siano sicuramente ampi spazi di miglioramento se decide di ricominciare un percorso di cura.

Buona serata

Dr.ssa Daniela Sabbadini
Brescia
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