Nuovo libro: Lontano dall'ansia e dalla psicoanalisi?

giuseppesantonocito
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta

Segnalo l’uscita di un lavoro del collega De Vincentiis, che indaga sulla validità della psicoterapia psicoanalitica dei disturbi d’ansia.

Molte sono le discussioni informali che con Armando abbiamo avuto sull’argomento, insieme a colleghi psicoanalisti e non. Alcune più accese, altre più pacate. Alla fine però ciascuno rimaneva del proprio parere. Già, perché allo stato attuale non tutti gli indirizzi psicoterapeutici concordano sulla necessità di protocolli validati, di solidi canoni metodologici capaci di far luce in modo empirico su ciò che è valido e affidabile in terapia, e per quale tipo di disturbo.

È però un fatto che alcune classi di disturbi, ad esempio i disturbi d’ansia gravi e invalidanti come le ossessioni e il panico, si mostrano più resistenti ai trattamenti non specifici, cioè quelli in cui il lavoro terapeutico non prevede azioni dirette alle manifestazioni del problema: i sintomi e le tentate soluzioni messe in atto dal paziente per cercare di farvi fronte. Davanti alla sofferenza acuta dal paziente, che s’impone concretamente come uno schiaffo su chi gli sta di fronte, due sono gli atteggiamenti che si possono adottare. Il primo è impegnarsi subito per cercare di ridurre il disagio, rivolgendosi alla natura del problema, come quando una casa brucia e si corre a spegnere l’incendio. Si avrà tempo dopo, per indagare sulle cause che lo avevano provocato. L’altro atteggiamento consiste nel mettere in secondo piano l’urgenza (la casa brucia, ma non è poi così grave) privilegiando invece la ricerca delle cause e le interpretazioni. La prima posizione è quella delle terapie attive e focalizzate, mentre la seconda è la preferita delle terapie cosiddette umanistiche e psicoanalitiche.

Il libro di De Vincentiis è un contributo per cercare di far luce, mettendo la psicoanalisi alla prova dei fatti. È articolato come una perizia tecnica composta da cinque interrogativi, ai quali l’autore dà altrettante risposte traendo informazioni da ciò che allo stato attuale si sa su psicoterapia e psicoanalisi. Non c’è alcuna pretesa epistemologica, è privilegiato l’aspetto pragmatico/empirico. Le domande sono le stesse che potrebbe porsi un potenziale paziente. Questa terapia per il mio problema funziona o non funziona? In quanto tempo? Ce ne sono altre che funzionano meglio? E soprattutto, perché funziona o non funziona? È lo spirito pragmatico di una vera e propria perizia, nessuna critica all'onestà intellettuale di Freud o sulla sua moralità, come nella maggior parte dei testi critici sulla psicoanalisi, solo un approfondimento al microscopio delle tecniche e del loro valore terapeutico.

Il testo, anche in formato e-book, sarà disponibile entro la fine di gennaio presso le maggiori librerie online o direttamente dall'editore, all’indirizzo: info@libellulaedizioni.com.

Cover del libro:

Cover Lontano dall'ansia e dalla psicoanalisi

Data pubblicazione: 26 gennaio 2012

71 commenti

#1
Utente 219XXX
Utente 219XXX

Saranno così "solidi" questi canoni metodologici? O la solidità è semmai un' illusione, un bisogno frutto dell'inquietudine che proviamo di fronte alla variabilità dei fenomeni psichici?

#3
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

>>> un bisogno frutto dell'inquietudine che proviamo di fronte alla variabilità dei fenomeni psichici?
>>>

Chi, specificamente, proverebbe inquietudine di fronte ai fenomeni psichici?

#4
Utente 219XXX
Utente 219XXX

Il punto non è il chi, ma il come la scienza possa essere al servizio di nostri bisogni irrazionali.

#5
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

Ah, se è per questo ne sta avendo una prova eccellente proprio qui: lei sta esprimendo bisogni irrazionali in un servizio informatico online. Cosa c'è di più scientifico e tecnologico di un sistema informatico?

Irrazionalità e scienza si possono coniugare benissimo.

#6
Utente 219XXX
Utente 219XXX

Si possono coniugare, ma possono anche portare ad una sopravvalutazione di alcune posizioni scientifiche come il sostenere l'esistenza "solidi" canoni metodologici.

#8
Utente 219XXX
Utente 219XXX

Chi afferma che in psicologia la variabilità dei fenomeni psichici e soprattutto l'individualità entro cui si collocano sfuggano a solidi canoni metodologici.

#9
Dr. Armando De Vincentiis
Dr. Armando De Vincentiis

Gentile utente, se si ha la convinzione che "l'individualità" non possa essere sottoposta a controllo scientifico allora non si deve avere la pretesa di effettuare un intervento terapeutico orientato a "curare" una psicopatologia.
In psicologia clinica non si può pretendere di filosofeggiare con la sofferenza di un individuo, per cui si deve avere il dovere di distinguere tra cure che funzionano e sottoposte a criteri metodologici e scientifici, per garantire dei risultati a chi ne fa richiesta e cure che, non sottoposte a controlli metodologici, non garantiscono la soluzione di un problema psicologico. Il resto è filosofia, se quest'ultima può essere utile per la riflessione e per il piacere intellettuale, di certo non cura le psicopatologie.

#10
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

Se la variabilità dei fenomeni psichici e l'individualità sfuggono a solidi canoni metodologici, allora anche i suoi commenti possono essere altrettanto sfuggenti, poco solidi e poco fondati.

#11
Utente 219XXX
Utente 219XXX

Secondo me vi prendete un po' troppo sul serio. Lo dico senza nessun intento polemico, anzi, leggo spesso i vostri interventi e li apprezzo per intelligenza e rigore.
"In psicologia clinica non si può pretendere di filosofeggiare", era un accusa rivolta a Jaspers quando invitava gli psichiatri a "imparare a pensare", e Jaspers è stato un magnifico psicopatologo proprio grazie alla sua attitudine alla riflessione filosofica.
Del resto non stiamo facendo filosofia in questa discussione? Non è indispensabile un approccio filosofico quando ci si interroga sullo statuto epistemologico di una pratica psicoterapica?
"... se si ha la convinzione che "l'individualità" non possa essere sottoposta a controllo scientifico..." L'individualità può essere sottoposta a controllo scientifico, ma fino ad un certo punto! Non tutto è quantificabile e classificabile. E' proprio per questa ragione che ad oggi non ci sono pratiche psicoterapeutiche che sono sempre efficaci e valide per tutti. Magari esistessero! Ma non dobbiamo considerare quello che è un nostro bisogno alla stregua di fatti.

I miei commenti sono sfuggenti, poco solidi e poco fondati ? I miei commenti esprimono semplicemente una legittima diffidenza di fronte a pretese assolutizzanti.

#12
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

>>> E' proprio per questa ragione che ad oggi non ci sono pratiche psicoterapeutiche che sono sempre efficaci e valide per tutti.
>>>

Chi sta sostenendo il contrario?

>>> L'individualità può essere sottoposta a controllo scientifico, ma fino ad un certo punto!
>>>

Chi sta sostenendo il contrario?

Persino la "realtà" fisica può essere sottoposta a controllo scientifico solo fino a un certo punto, perché dovrebbe fare caso a parte la psiche?

La questione non è se esistano o meno approcci miracolosi, ma molto più terreno, ovvero VALIDARE EMPIRICAMENTE quelli che lo sono più di altri. Per lo meno per certe patologie.

Il "frutto dell'inquietudine", per usare le sue parole iniziali, è quello che fa fuggire dall'umiltà, ovvero dall'ammissione che non può esservi indagine scientifica senza validazione empirica.

>>> I miei commenti sono sfuggenti, poco solidi e poco fondati ? I miei commenti esprimono semplicemente una legittima diffidenza di fronte a pretese assolutizzanti.
>>>

Al contrario, l'atteggiamento umile del vero scienziato, quello disposto a rinunciare alle proprie certezze pur di cercare di capire come stanno "davvero" le cose, è molto relativo e poco assoluto. Assoluto è dire: "Tutti gli approcci sono uguali" cioè, mi corregga se sbaglio, quello che sta sostenendo lei.

Perciò forse è lei che si sta prendendo un po' troppo sul serio.



#13
Utente 219XXX
Utente 219XXX

"Il "frutto dell'inquietudine", per usare le sue parole iniziali, è quello che fa fuggire dall'umiltà, ovvero dall'ammissione che non può esservi indagine scientifica senza validazione empirica", insieme all'ammissione che la pratica terapeutica con le innumerevoli variabili specifiche e non specifiche del caso è refrattaria a "solidi canoni metodologici capaci di far luce in modo empirico su ciò che è valido e affidabile in terapia". Non che sia contro un approccio scientifico e una razionale metodologia d'indagine, ma parlare di "solidi canoni" mi sembra davvero prendersi troppo sul serio ;). Parliamo semmai di metodologie d'indagine che tengano conto dell'inevitabile approssimazione dovuta alla natura particolare della ricerca.

#14
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

>>> la pratica terapeutica con le innumerevoli variabili specifiche e non specifiche del caso è refrattaria a "solidi canoni metodologici capaci di far luce in modo empirico su ciò che è valido e affidabile in terapia"
>>>

E questo chi lo dice?

#15
Dr. Armando De Vincentiis
Dr. Armando De Vincentiis

(..)è refrattaria a "solidi canoni metodologici (..)

sarebbe interessate comprendere da dove derivi una idea del genere.

in un contesto scientifico, se si vuole avere il controllo delle variabili, (per non scambiare fischi per fiaschi) bisogna isolarle, prevedere e considerare gli effetti di variabili indesiderate, nascoste ecc. e dare un significato concreto ai concetti.

se parliamo di psiche, ad esempio, dobbiamo stabilire, in termini concreti cosa intendiamo, (mediante definizioni operative costruite per poter operarci sopra).

alcune branche della psicologia lo fanno e si avvicinano il più possibile a "solidi canoni metodologici".

alcune, invece, governate da un senso utopistico di "complessità" e "unicità" dell'essere umano, non lo fanno e, infatti, fanno filosofia. La differenza tra queste è che le prime funzionano di più e ciò lo dimostra la ricerca empirica.

tuttavia si è sempre liberi di filosofeggiare ma con la consapevolezza che chi ha un problema psicopatologico non ha bisogno di filosofia ma di risultati per alleviare la sofferenza

#17
Utente 219XXX
Utente 219XXX

"(..)è refrattaria a "solidi canoni metodologici (..)

sarebbe interessate comprendere da dove derivi una idea del genere."

Glielo dico subito da dove deriva: dall'esperienza dell'insegnamento. Sa quante volte ho cercato solide metodologie di valutazione, solide metodologie d'insegnamento, nonché precise tecniche docimologiche? Mi sono state d'aiuto sia per una valutazione più attenta sia per approntare interventi didattici più consapevoli, ma allo stesso tempo mi rendevo conto della loro insufficienza. Questo accadeva di fronte alla consapevolezza dell'unicità di ogni mio alunno e al suo particolare modo di essere e di esprimersi che mettevano in discussione i "protocolli validati" e minavano "i solidi canoni metodologici". Certo sarebbe comodo incasellare la realtà umana che ci circonda con etichette e affrontare problemi con "protocolli validati". Purtroppo non bastano, non che siano inutili. Ogni classe, ogni alunno è diverso dall'altro e la pratica educativa serve proprio a condurre l'alunno verso la scoperta di se stesso della propria unicità, non solo ad acquisire competenze e ad entrare nel mondo del lavoro. Purtroppo l'unicità è fuori dalla logica, ma questo non comporta la sua non esistenza. Io invito spesso i ragazzi, in modi più o meno espliciti, a diventare quello che sono. Ciò sfugge dalla logica, ma spesso le verità esistenziali sono paradossali.

Ma torniamo alla pratica terapeutica e alle "definizioni operative". Mi chiedo come si possano adottare criteri operativi per i cosiddetti fattori terapeutici non specifici in psicoterapia o per concettualizzare l'abilità di uno psicoterapeuta di adattare la sua pratica ad un determinato paziente e a determinati problemi. Molto spesso è proprio l'incontro con una persona empatica e non giudicante a fare la differenza. Per non parlare poi della provvisorietà e della relatività delle diagnosi in psichiatria. Quante volte ho sentito parlare di alunni affetti dalla "sindrome" di iperattività che soddisfaceva tutti i criteri operativi del DSM IV. Il più delle volte sono alunni che hanno bisogno di un diverso approccio didattico e che in situazioni adatte a loro danno il meglio nonostante i solidi criteri metodologici di valutazione.

La ricerca empirica in psicologia è davvero molto insidiosa perché ogni disturbo si manifesta a seconda della singolarità del paziente e ogni situazione terapeutica non è replicabile, ma unica. Quindi sarei molto cauto prima di parlare di "solidi canoni ecc., ecc.".

Comunque vi ringrazio per l'opportunità di questa riflessione su tematiche nello stesso tempo ardue e affascinanti.

#18
Dr. Armando De Vincentiis
Dr. Armando De Vincentiis

(..)Ma torniamo alla pratica terapeutica e alle "definizioni operative". Mi chiedo come si possano adottare criteri operativi per i cosiddetti fattori terapeutici non specifici in psicoterapia (..)

è qui che, come si suol dire, casca l'asino caro signore. Dall'idea radicata su un vero e proprio mito. ossia i fattori aspecifici della psicoterapia. I fattori aspecifici, quali la relazione, l'empatia, il non giudizio, lo scambio emotivo, sono solo un fattore coadiuvante di una cura ma non l'elemento sufficiente della cura.
Ecco dove sta la differenza tra terapie validate empiricamente e non. Quelle che fanno affidamento sui fattori aspecifici (perchè credono che si la relazione a curare) danno risultati non controllabili, diluiti nel tempo e non quantificabili.

Quelle che si basano su fattori specifici (basati su solidi canoni) danno risultati oggettivabili, quantificabili e ripetibili.

qui non si sta parlando di insegnamento ma di malattie psicologiche. Una cosa è affrontare un disagio esistenziale, dove relazione, ascoloto ed empatia ci stanno tutte, un'altra è parlare di sintomi gravi e invalidanti tipici di disturbi come le compulsioni ossessive, le rimuginazioni ossessive, l'agorafobia, il panico.
qui c'è podo di aspecifico o di empatico. Se non entri nello specifico del sintomo avoglia a stare anni ad empatizzare e/o relazionarsi in modo non giudicante con il paziente.
Qui facciamo i clinici non gli educatori.

#19
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

Mi perdoni, ma era abbastanza evidente che lei non si occupa di psicoterapia.

L'insegnamento non è psicoterapia. Un paziente la cui vita è gravemente limitata dagli attacchi di panico ha pochissimo a che vedere con lo studente che va a lezione per imparare una materia. La motivazione è diversa, il vissuto mentale è diverso, le emozioni sono del tutto diverse. E inoltre relazionarsi con una persona o una famiglia NON è la stessa cosa che interagire con una classe.

Uno dei "solidi canoni" su cui si basano le terapie focalizzate, come la comportamentale e la breve strategica, è che il funzionamento dei disturbi psicopatologici, come i disturbi d'ansia, è in realtà abbastanza semplice da descrivere formalmente. È *questo* che rende possibile la messa a punto di protocolli terapeutici efficaci in un'altissima percentuale di casi.

Se un ansioso è evitante, dall'ansia si potrà farlo uscire SOLO interrompendo gli evitamenti. Hai voglia a spiegare, parlare, "insegnare", empatizzare, non giudicare. Ti dice: "Sì, sì, giusto, lei mi capisce proprio bene" ma l'ansia rimane. Inducendolo invece a interrompere gradualmente il comportamento che mantiene in vita il problema, il processo di cambiamento s'instaura da sé.

>>> Molto spesso è proprio l'incontro con una persona empatica e non giudicante a fare la differenza.
>>>

La relazione terapeutica è condizione necessaria, ma spesso NON sufficiente al cambiamento. La relazione terapeutica (nel caso in esempio) serve a *indurre* la persona a mettere in atto la prescrizione, ossia l'interruzione degli evitamenti stabilita dal protocollo. L'abilità del terapeuta sta allora nel far sì che il paziente metta in atto quanto previsto, NON nell'empatizzare tanto per il gusto di far sentire l'altro a proprio agio o magnificarne l'ego.

Altre volte invece serve proprio questo. Ad es. in terapia breve strategica, nei disturbi di personalità la relazione è prioritaria rispetto alle prescrizioni comportamentali ma, di nuovo, tale fatto fa parte del protocollo! È previsto e attuato strategicamente. Si modula il modo di rapportarsi alla persona a seconda di ciò che la situazione richiede. E le garantisco che lo psicoterapeuta formato e allenato può benissimo tenere sotto controllo le variabili decisive. Ad esempio il tono di voce, i gesti, le espressioni, lo sguardo, le parole adoperate. Anzi, è anche questo che gli si insegna al corso di specializzazione.

>>> le verità esistenziali sono paradossali
>>>

È vero, e in TBS il paradosso è usato continuamente in modo terapeutico, per spezzare l'altro paradosso, quello patologico portato dal paziente.

Insomma, facendo un paragone con un chirurgo, è evidente che ci sono chirurghi bravi e chirurghi meno bravi. Ma i protocolli seguiti sono identici. Se si deve operare un paziente con alluce valgo secondo il metodo Chevron, si dovrà necessariamente eseguire la sequenza di macrooperazioni prevista dal metodo Chevron. Ma ovviamente, il paziente operato dal chirurgo bravo starà meglio e avrà un decorso migliore di quello operato dal chirurgo meno bravo.

>>> La ricerca empirica in psicologia è davvero molto insidiosa
>>>

L'insidia sta soprattutto nel fatto che l'importanza della ricerca empirica, in psicoTERAPIA, non è condivisa da tutti gli addetti ai lavori. Questo è il suo vero limite.

Grazie a lei per darci modo di precisare meglio i termini della questione.



#20
Utente 179XXX
Utente 179XXX

Arrivo un po’ tardi nella conversazione, cercherò dunque di inserirmi in una sintesi tra gli interventi proposti. Chiedo la pazienza di leggerlo fino infondo, ahimè non posso che recuperare il filo per non cadere nell’equivoco.

Scrive il Dr. De Vincentiis “In psicologia clinica non si può pretendere di filosofeggiare con la sofferenza di un individuo, per cui si deve avere il dovere di distinguere tra cure che funzionano e sottoposte a criteri metodologici e scientifici, per garantire dei risultati a chi ne fa richiesta e cure che, non sottoposte a controlli metodologici, non garantiscono la soluzione di un problema psicologico.”

Filosofeggiare con le sofferenza di un individuo è quello che hanno fatto molti autori, a cui siamo, o dovremmo essere, profondamente debitori. Pensi a dove si sono spinte le grandi trattazioni esistenzialiste di Heidegger o Sartre, sicuramente più profondamente dei nostri DMS o ICD. Ma per restare nel campo la rimando ai contributi del già citato Jaspers o di Binswanger, oppure restando nel panorama italiano le ricordo i nomi di Borgna e Benedetti. Autori dal contributo inestimabile, ma non così empirico come lei auspica, che tuttavia sono scesi nel dramma dell’umano molto più dei manuali di psicodiagnostica. D'altronde lei, dottore, abbraccia un’antropologia scientista, che rimanda al neutrale raziocinio della ragione strumentale (così come l’ha chiamata Taylor) post moderna l’ultimo verdetto sull’umana sofferenza. Riportiamo dunque la questione ad un problema di correlazioni, regressioni lineari o campioni rappresentativi. È interessante vedere come nella bibbia del DSM le cose entrano ed escono a seconda delle tendenze, ricordo il ’73, quando l’omosessualità è stata eliminata come disturbo, a fronte delle richieste di alcuni membri - omosessuali - dell’APA. Poveri questi “psicologi col camice” che da Pinel cercano di emulare un modello medico di cui non riescono a soddisfare i criteri. Mi permetta poi di dire che la riflessione epistemologica che lei reclama con ortodosso rigore non è altro che una branca della riflessione filosofica, dalla quale, a dirla tutta, la psicologia non ne esce bene. Questo lo sapeva bene Skinner, che si era ben guardato dal parlare di psiche. Un epistemologo le ricorderebbe che siamo una scienza logos, eretta su costrutti linguistici che di tanto in tanto cerchiamo di correlare all’organismo, nella cartesiana diatriba mente-corpo. Su questi presupposti i metodi che avvalorano l’efficacia dei trattamenti non possono che vacillare, come l’Utente ha ben ricordato. I risultati che dovrebbero garantire qualcosa non sono altro che un’interpretazione di dati grezzi, su disegni di ricerca che nascono già impregnati di giudizi e valori, ma che tuttavia servono per legittimare scientificamente (visto che oggi è così che si legittima) i propri argomenti.

Scrive il Dr. Santonocito “Se la variabilità dei fenomeni psichici e l'individualità sfuggono a solidi canoni metodologici, allora anche i suoi commenti possono essere altrettanto sfuggenti, poco solidi e poco fondati.”

La natura di un commento, o se vogliamo la natura di una retorica non è certo quella dell’univocità delle proposizioni scientifiche. Dunque, in un’opinione, cosa significano solidità e fondatezza? Forse la stessa della scienza? Ma se così fosse, dottor Santonocito, lei per primo pone le natura delle sue proposizioni in un campo retorico piuttosto che scientifico. Se non mi sono spiegato, la natura dei commenti dell’Utente non ha ragion d’essere della stessa solidità e fondatezza a cui lei allude, quella della scienza. La prego di fare chiarezza con gli ambiti epistemologici di cui si avvale.

Dice molto bene l’Utente “Ma non dobbiamo considerare quello che è un nostro bisogno alla stregua di fatti.”

In quanto fatti non ci sono, solo interpretazioni, la psiche in primis. L’interpretazione (della quale la Psicoanalisi si è fatta esplicitamente carico) è l’atto di partenza da cui muove ogni sapere, scientifico che sia. L’oggettività del dato o del fatto è da sostituirsi con l’intersoggettività dell’accordo su di esso. Paradossale è che questo sia stato ormai compreso e accettato da una scienza solida come la fisica (vedi il principio di indeterminazione di Heisenberg), ma non ancora dalla psicologia, che anche solo dal pluralismo che all’interno di essa regna, non dovrebbe essere dentro nessuna scienza! Dunque cos’è sofferenza e cos’è aiuto è tutto da rimettere in discussione.

Concludo questa prima parte di risposta. Spero che non mi si additi dell’antiscientista o antimodernista. Credo che una metodologia sia utile, purché illuminata da una riflessione - filosofica ad esempio - che la precede. I protocolli sono ormai routine senza sapere come e perché si sono formati. L’MMPI è ancora uno dei test di personalità più usati al mondo, nonostante gli stessi autori ne abbiano smentito l’efficacia a distanza di anni (Hathaway disse: “Se il lettore sostiene la tesi che lo sforzo degli ultimi quarant'anni abbia prodotto test e inventari di personalità di sicura efficacia, lascio a lui il compito di provarlo... Devo ammettere che posso impiegare solo deboli argomenti a favore della validità pratica dei test... Se mi chiedessero di esibire un' evidenza convincente che, in un'ora, un determinato intervistatore non può fare bene e meglio, non esiterei ad accettare la sfida”), e con lo stesso automatismo pensiamo la ricerca. Trovo molta più sapienza (il significato medievale di scienza) negli studi single case, come i casi clinici di Freud, pur non esaurendo il significato di campione rappresentativo. Allo stesso modo l’empirismo nasce come primato dell’esperienza, ed è proprio al sapere dell’esperienza, umanamente intesa, cha va riconsegnato l’insegnamento di cos’è sofferenza e cos’è cura.

#21
Utente 179XXX
Utente 179XXX

Caro Dr. De Vincentiis, mi sento fortemente sollecitato ad evidenziare l’inconsistenza delle sue affermazioni.

“in un contesto scientifico, se si vuole avere il controllo delle variabili, (per non scambiare fischi per fiaschi) bisogna isolarle, prevedere e considerare gli effetti di variabili indesiderate, nascoste ecc. e dare un significato concreto ai concetti.
se parliamo di psiche, ad esempio, dobbiamo stabilire, in termini concreti cosa intendiamo, (mediante definizioni operative costruite per poter operarci sopra).
alcune branche della psicologia lo fanno e si avvicinano il più possibile a "solidi canoni metodologici".
alcune, invece, governate da un senso utopistico di "complessità" e "unicità" dell'essere umano, non lo fanno e, infatti, fanno filosofia. La differenza tra queste è che le prime funzionano di più e ciò lo dimostra la ricerca empirica.”

La complessità è appunto complessa, da qui il suo vano liquidarla ad utopistica o a mera disquisizione filosofica. Purtroppo l’atteggiamento di alcune branche della psicologia è quello di riduzione a variabile. Riduzione da laboratorio, preferirei dire, che tradisce la fedeltà all’ambiente reale, per sua natura complesso. La solidità scientifica di cui parla fa le spese di uno snaturamento del reale-complesso-essere-umano (detta alla Heidegger con i trattini). Allora il protocollo è facilmente validabile laddove la variabili in gioco sono poche. L’esperimento variabile dipendente - variabile indipendente, che elimina bias del ricercatore - il contesto - la cultura, sarà metodologicamente sempre più comprovabile di una disciplina esegetico - ermeneutica dell’essere umano. Allora si rende conto dell’ipocrisia del suo meccanismo? Noti il circolo vizioso:

1. Operazionalizziamo la psiche in termini che già sappiamo di poter misurare, trascurando tutto ciò che non è quantificabile, ma tuttavia fa parte dell’esperienza (es. misuro la condotta in quanto osservabile ma tralascio i sentimenti che comunque si esperiscono).
2. Ridotto l’umano o la psiche a variabile, cioè creati gli oggetti e i fatti, mi si dà possibilità di osservare - misurare - replicare - prevedere.
3. Ora la disciplina che ha fatto questo si è riadattata funzionalmente a ciò che le serve per poter essere legittimata o convalidata. Questo rende possibili dei risultati, e il fatto stesso che dei risultati ci siano rende tale approccio più valido di quelli per cui né fatti né risultati sono stati prodotti.

Faccio notare che in tutto questo non stiamo ancora dicendo nulla sulla cura, ma l’approccio terapeutico sia auto-legittima innanzitutto a partire dai canoni che adotta. Sto proprio affermando che questo modo di fare ricerca altro non è che autoreferenzialità. Alcuni approcci funzionano non perché funzionano, ma perché si adattano ad un protocollo di analisi, il cui senso è dire, scientificamente, cosa passa e cosa no. Lei purtroppo, come troppi altri colleghi, è ancora bloccato al problema neopositivista di far rientrare la psicologia alla stregua del fisicalismo delle scienze naturali. Dr. De Vincentiis, la scienza, così come l’epistemologia, sono andate avanti in quest’ultimo secolo. La complessità, così come il primato del soggetto sull’oggetto e non il contrario, sono ormai conquiste di quasi tutti gli ambiti del sapere, pensi addirittura alla fisica e al principio di indeterminazione di Heisenberg. Lei dice che dobbiamo dare significato concreto ai concetti, ma, vede, noi non abbiamo concetti, costrutti semmai, ma non concetti. E questa esigenza di assegnare significato concreto è l’esigenza di chi non riesce a trascendere il materialismo e l’empirismo, che tanto sembrano dare sicurezza e certezze.

Continua poi in risposta all’Utente “qui non si sta parlando di insegnamento ma di malattie psicologiche. Una cosa è affrontare un disagio esistenziale, dove relazione, ascoloto ed empatia ci stanno tutte, un'altra è parlare di sintomi gravi e invalidanti tipici di disturbi come le compulsioni ossessive, le rimuginazioni ossessive, l'agorafobia, il panico.
qui c'è podo di aspecifico o di empatico. Se non entri nello specifico del sintomo avoglia a stare anni ad empatizzare e/o relazionarsi in modo non giudicante con il paziente.
Qui facciamo i clinici non gli educatori.”

Davvero non comprendo in nome di cosa lei opera questa disgiunzione tra lo psicopatologico e il disagio esistenziale, se non della stessa fredda chirurgia psichica con cui separa le variabili dell’umano. Clinico, dal greco klinikòs, era colui che si accostava al letto del malato, e oltre al letto si accostava a tutto il suo mondo e modo di viversi e vivere la malattia. Con la nascita dei nosocomi però la clinica ha tradito il suo significato originario, votandosi alla patologia oggetto piuttosto che alla malattia del soggetto, per arrivare con la stessa neutralità strumentale anche nella psicologia. La psicoterapia è innanzitutto atto educativo, anzi ri-educativo. Lei si guarda bene dai sintomi o dalle patologie che riporta. Alla luce dei drammi delle schizofrenie, dei disturbi borderline o delle depressioni, mi chiedo quando la sofferenza esistenziale o relazionale possano essere cosa altra. Certo plausibile un’esclusione di tutto questo, magari lasciando il posto all’egemonia del farmaco.

#22
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

>>> Allo stesso modo l’empirismo nasce come primato dell’esperienza, ed è proprio al sapere dell’esperienza, umanamente intesa, cha va riconsegnato l’insegnamento di cos’è sofferenza e cos’è cura.
>>>

La sua conclusione mi trova abbastanza d'accordo, dato che alla parola "empirismo" sono affezionato in modo particolare. Tuttavia mi pare in contraddizione con gran parte di quanto ha affermato sopra. E tralascia inoltre di aggiungere una parte fondamentale: "...riconoscendo e individuando ciò che funziona, riapplicarlo in casi simili e abbandonare ciò che non funziona". Fare questo è scienza, non qualcos'altro. È ciò che contraddistingue il professionista dall'improvvisatore. È ciò che amici, parenti e consiglieri vari non riescono a fare per il proprio caro sofferente, pur se animati dalle migliori intenzioni, perché le buone intenzioni di per sé non curano le psicopatologie.

Non esistono solo psicoanalisi e DSM in psicologia clinica. Perciò non si capisce perché contrapporre rigidamente l'una all'altro - creando un falso dilemma - se non per mancanza di opzioni. Ossia, per mancanza di conoscenze di prima mano nella ricerca e nella prassi in campo psicologico/psicoterapeutico.

Dal punto di vista della psicologia, è la filosofia a uscirne forse un po' malandata. Di sicuro tanta filosofia venuta prima del costruttivismo. Le posizioni più moderne rifuggono infatti dalle interpretazioni a ogni costo, dalla ricerca delle “verità”, dei significati "nascosti" o "inconsci", a favore di una co-costruzione di modelli percettivi, comportamentali ed emotivi più funzionali, insieme al paziente.

Ma lo psicoterapeuta moderno deve OVVIAMENTE saper coniugare la freddezza del chirurgo con il tatto e l'accoglienza di chi fa un lavoro tanto delicato. Ed è solo una mancanza di opzioni, di nuovo, che può far ravvisare anche qui un dilemma.

Quanto alla retorica le faccio presente che essa fa parte dei comuni strumenti di lavoro di molti orientamenti terapeutici, non solo quelli basati sulla comunicazione e sul costruttivismo. Non c'è incompatibilità fra retorica e scienza, dal momento che anche la retorica può essere utilizzata in modo pragmatico per ottenere effetti concreti. Se determinati artifici retorici ottengono effetti che statisticamente vanno nel senso terapeutico desiderato, essi possono essere usati e riusati.

La scienza moderna, psicologia compresa, si basa su assunti di verità statistiche, non verità apodittiche, alle quali ormai sono rimasti in pochi a credere. Perciò, se mi permette, la forzatura è sua e dell'utente precedente nel momento in cui cercate di riproporre la solita, vecchia dicotomia fra psiche e scienza: la prima non può essere trattata in modo scientifico perché l'individualità, perché l'umana sofferenza, perché ecc. ecc. ecc.

Non è vero. Si può benissimo coniugare l'una all'altra, purché 1) si sappia che è possibile farlo, 2) si sia effettuato un percorso di studi che dia gli strumenti per farlo e 3) si abbia la volontà e la costanza per imparare a farlo.


>>> La psicoterapia è innanzitutto atto educativo, anzi ri-educativo
>>>

No, questo significato glielo sta dando lei. Psicoterapia significa "cura della psiche" (o "cura con la psiche", come preferiscono alcuni). La psicodeucazione, che pure appartiene alla pratica psicoterapeutica, è solo UNO degli strumenti utilizzabili in terapia, ma non l'unico e spesso non il più utile, per lo meno da solo.


Se posso permettermi un commento poco riverente nei confronti di entrambi gli utenti, direi che siete troppo concentrati sugli aspetti cognitivo-filosofici della questione, perdendovi quelli concreti. Al paziente importa poco di tutte le discussioni che gli addetti o i non addetti ai lavori possono o possono non fare, importa solo di guarire o migliorare. E per aiutarlo in ciò, si possono raggiungere efficacia ed efficienza maggiori facendo alcune cose e non altre.




#23
Utente 179XXX
Utente 179XXX

Se posso permettermi un commento poco riverente nei suoi confronti credo che dovrebbe rileggersi a fondo i miei interventi.

Buonasera

#24
Utente 219XXX
Utente 219XXX

Innanzitutto voglio ringraziare l'Utente per avermi dato man forte in questa difficile discussione ;)

"Dal punto di vista della psicologia, è la filosofia a uscirne forse un po' malandata." Ma dott. Santonocito qui nessuno vuole contrapporre filosofia e psicologia come se ci fosse la volontà di far prevalere l'una sull'altra. La filosofia però dà fastidio! La capisco, dà fastidio spesso anche a me. E' quel tarlo che correre quelle che sono le nostre certezze e le fa apparire sotto una diversa luce. Non solo, non se ne può fare a meno! Anche quando la sottovalutiamo stiamo facendo filosofia.

"Al paziente importa poco di tutte le discussioni che gli addetti o i non addetti ai lavori possono o possono non fare, importa solo di guarire o migliorare." Purtroppo il concetto di malattia in psicologia, per non parlare poi di quello di guarigione, sono entrambi molto vaghi. Un disturbo d'ansia non è come avere un alluce valgo. L'alluce valgo è un disturbo tangibile, quello d'ansia è il riflesso di criteri diagnostici che dalla medicina hanno mutuato le sigle ma non l'univocità.

#25
Dr. Armando De Vincentiis
Dr. Armando De Vincentiis

(..)Dunque cos’è sofferenza e cos’è aiuto è tutto da rimettere in discussione (..)
gentile utente dovrebbe porre questa domanda ad un ossessivo compulsivo grave o ad un panicante con agorafobia ed evitamento.

Si renderebbe conto, forse, che in quella situazione la sua filosofia, gratificante sotto l'aspetto intellettuale, si trasformerebbe semplicemente in inutile inchiostro su fogli bianchi. Uno psicoterpaeuta pragmatico, proprio come il medico-chirurgo vuole ottenere dei risultati e curare (eliminare la malattia) in chi, da questa, ne è invalidato.

La clinica può fondare alcune radici nella filosofia (che ben venga) ma all'atto pratico e di fronte ad un paziente deve vagliare il risultato e tale risultato (sempre in clinica) non è dato solo da parametri condivisi dallo sperimentatore, ma dalle reazione del paziente, dalla sua capacità di tornare a fare ciò che faceva prima della malattia e, forse, a farlo meglio.

Ma tale risultato, deve essere esteso alla maggioranza per far si che diventi patrimonio dell'intera comunità dei pazienti. Ed è qui che i protocolli, l'analisi delle variabili, la formulazione dei costrutti deve entrare in scena. E deve farlo proprio per il bene della collettività. Se si rifiuta il parametro scientifico, se si insiste nel fare filosofia su disquisizioni del tipo: cos'è la sofferenza? si cade nella stessa disquisizione sull'universo finito o infinito e si lascia il paziente a bollire nella sua sofferenza.
Io sono un clinico pragmatico ed ho il pallino della cura e dell'eliminiazione della sofferenza(malattia) lei?

Purtroppo, chi non fa clinica certe cose non può comprendere.

#27
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

Innanzitutto vorrei ringraziare entrambi gli utenti per continuare a darmi modo di precisare ancor meglio i termini della questione.

>>> La filosofia però dà fastidio!
>>>

Si sbaglia anche qui. A me non dà fastidio, tant'è vero che le ho detto, e le ripeto, che le correnti psicologiche e psicoterapeutiche più recenti si basano pressoché tutte su filosofie costruttiviste.

Nomi come Wittgenstein, von Foerster, von Glasersfeld dovrebbero dirle qualcosa. Ma per estensione anche Popper, Bateson, Piaget, Maturana e Varela, Watzlawick.

Anche qui, lei denota una modalità argomentativa rigida, basata tutta sulle dicotomie e i dilemmi insanabili.

La filosofia non "dà fastidio" e non è "tutta giusta" o "tutta sbagliata", esiste un pensiero filosofico che si attaglia molto bene alla psicologia moderna. La psicologia, per chiarire, non rifiuta la filosofia, ma la USA come strumento per definire meglio se stessa, la sua epistemologia e i propri metodi d'intervento.

>>> il concetto di malattia in psicologia, per non parlare poi di quello di guarigione, sono entrambi molto vaghi
>>>

Sono molto vaghi per chi non li conosce.

Sono meno palpabili e meno tangibili di un unghia incarnita o di un'appendicite, ma perfettamente utilizzabili operativamente dall'addetto ai lavori.

Chi ha scelto di darsi un certo modo di lavorare, continua a sentire i pazienti molto tempo dopo la fine della terapia, per verificare che i risultati terapeutici acquisiti siano mantenuti.

E quanto alla "vaghezza del concetto di malattia", la invito ad andarlo a proporre a un panicante, un ossessivo grave o una borderline e poi ad ascoltare che cosa le rispondono.

La differenza fra chi fa filosofia (non necessariamente filosofo) e lo psicoterapeuta è tutta qui: il primo non è abituato a usare i concetti in modo operativo, si stacca dalla realtà e rischia costantemente di prendere fischi per fiaschi. Il secondo invece ha un repertorio concettuale deliberatamente più limitato, ma quei pochi concetti riesce a mantenerli agganciarli alla "realtà" pragmatica e a UTILIZZARLI per ottenere effetti altrettanto pragmatici.



#29
Utente 219XXX
Utente 219XXX

Penso a questo punto che l' Utente 179808 abbia espresso meglio di me ed in modo esaustivo quello che è il mio parere, per questa ragione non voglio prolungare ulteriormente questa discussione.
Sento però il bisogno di ringraziare l'Utente, di cui non ho il piacere di conoscere il nome, e i dottori De Vincentiis e Santonocito per il proficuo scambio di idee. Voglio anche sgombrare il campo da eventuali equivoci. Ho stima della categoria degli psicologi e nel mio lavoro mi sono spesso affidato al loro consiglio e il loro intervento è stato sempre utile per me e per i ragazzi. Io stesso quando mi accorgo di disagi e malesseri non transitori in alunni e famiglie non ho esitazioni a consigliare l'intervento dello psicologo. E' evidente quindi che reputo la psicologia una scienza valida, ma nello stesso tempo umana troppo umana :).

#30
Utente 179XXX
Utente 179XXX

Mi perdoni, ma era abbastanza evidente che lei non si occupa di filosofia. (Tanto per riprendere una sua espressione)

Le correnti psicologiche a cui fa riferimento (Costruttivismo, Costruzionismo, Interazionismo Simbolico ...) non sono che un’esigua fetta di un panorama molto più vasto. Non parliamo poi delle psicoterapie, e a come proliferano in termini di sedi e di modelli. Parlando di quest’ultimi, i modelli, ormai vanno di moda quelli ‘integrati’ che spesso vedono un accostamento di orientamenti e antropologie antinomiche tra loro, però giustificate da quel risvolto pragmatico e operativo che a lei, e al suo collega, sta tanto a cuore. La psicologia è diventata un gran pentolone in cui si riversa un po’ di tutto, e a farne le spese sono gli sprovveduti psicologi. Le correnti a cui lei fa riferimento, oltretutto, data la derivazione filosofica che correttamente sottolinea, sono proprio quelle che trovano più resistenza a protocolli scientifici. Capirà che quando si parla di schemi di credenze e costruzioni di significati diventa difficile una convalida empirica. Da qui la ragione, economica, di ‘integrarsi’ a modelli come il Comportamentismo, dal quale mutuare qualcosa di oggettivabile, ma quest’ultimo nasce con un retroterra filosofico diverso. In questo senso intendo il caos epistemologico dietro i modelli, specialmente quelli integrati.

Utente: “il concetto di malattia in psicologia, per non parlare poi di quello di guarigione, sono entrambi molto vaghi”

Dr. Santonocito “Sono molto vaghi per chi non li conosce.”

Mi riporta dunque i concetti di “malattia” e “guarigione” , lei che li conosce? In 5 anni alla facoltà di Padova ho sentito grandi docenti, di diversi orientamenti, sostenere proprio il contrario, mettendo costantemente in discussione cos’è malattia e cos’è guarigione, in quanto solo in un continuo confronto su questi significati se ne può comprendere la profonda ragione. Capisce come le sue posizioni siano sbrigative, e a scanso di equivoci, per lei e per il collega, scrivo con cognizione di causa di clinica e ricerca. Aspetto dunque le sue definizioni, che sicuramente sottoporrò anche al parere di alcuni brillanti colleghi.

“La differenza fra chi fa filosofia (non necessariamente filosofo) e lo psicoterapeuta è tutta qui: il primo non è abituato a usare i concetti in modo operativo, si stacca dalla realtà e rischia costantemente di prendere fischi per fiaschi.”

No, questo significato glielo sta dando lei. (Tanto per riprendere un’altra sua espressione)

Se lei ha letto (e non citato da wikipedia) gli autori che ha nominato, si renderà conto che la filosofia è tutto tranne che distacco dalla realtà (non parlo della realtà fisica). Fischi per fiaschi li prendono forse gli psicologi, magari discutendo su cos’è malattia e cosa guarigione, ma non certamente la filosofia, disciplina che si erige sul rigore delle argomentazioni.

Cosa significano “realtà pragmatica” e “clinico pragmatico”?

La pragmatica fa parte di ogni atto terapeutico, in quanto tale, e dunque in quanto relazione con un individuo, tesa ad un fine. Ma nel modo da voi declinato la pragmatica richiama ad un senso operativo di immediatezza, che si può concedere il lusso di prescindere gli interrogativi e la riflessione. Un mio vecchio docente, tra l’altro interazionista simbolico, sosteneva di diffidare dai terapeuti troppo preoccupati dal fare, perché probabilmente non hanno un buon apparato teorico con cui pensare! Se pragmatica significa questo allora ben vengano anche gli interrogativi filosofici, in quanto non può essere l’urgenza la direttrice dell’intervento terapeutico. Quando si parla di psicoterapie brevi, è importante sottolineare che ‘breve’ sia da intendersi soggettivamente da paziente a paziente, in quanto sarebbe disumano pianificare il numero di sedute, poiché ad ognuno spetta il tempo che chiede. Ma ormai, nel tempo del tutto e subito, alcune psicoterapie hanno saputo mercificarsi, proponendosi con soluzioni operative e rapide, proprio come si vende un computer.

Credo sia giunto anche per me il tempo di chiudere questo confronto, ringraziando gli interlocutori per la disponibilità, al di là del bene e del male ;)

#31
Dr. Armando De Vincentiis
Dr. Armando De Vincentiis

(..)Capisce come le sue posizioni siano sbrigative, e a scanso di equivoci, per lei e per il collega, scrivo con cognizione di causa di clinica e ricerca.(..)

da come scrive mi andrebbe di dubitare, ma prendendo per buono ciò che scrive aspetto che risponda ad una mia domanda, io le ho già detto di essere un clinico con un interesse prioritario, quello di eliminare la sofferenza curando le malattie psicolgiche. lei di cosa si occupa?

mi dispiace se ancora una volta la riporto sul pratico ma ci sono molti clinici che affrontato la malattia mentale con un buon bagaglio teorico e filosofico alle spalle, la cosa triste è che anche nel loro studio, al cospetto del paziente, continuano a fare filosofia e sa con quali conseguenze? Che il paziente non guarisce. Questa è la differenza tra pratica e teoria.
E come faccio a sostenere questo, be se ha cognizioni di clinica e ricerca dovrebbe conoscere la lettaratura sulle terapie efficaci e quelle non efficaci..sempre che lei, a colpi di filosofia non voglia metterla in discussione. Nel frattempo ci sono terapie che guariscono certe patologie e terapie che non lo fanno. A dimenticavo, lei si chiede cos'è la guarigione e la sofferenza? e io la invito ancora una volta a porre questa domanda ad un panicante, ossessivo compulsivo in piena patologia e ad un paincante ossessivo compulsivo uscito dal problema. Le sapranno rispondere meglio di qualsiasi epistemologo.
Eppure se si occupa di clincia avrebbe già dovuto incontrarne qualcuno.

#33
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

Lei sta facendo solamente altra confusione. Sembra quasi si sia preso un po' di tempo per andarsi a leggere qualcosa, per provare a chiarirsi un po' le idee, ottenendo purtroppo l'effetto contrario.

(oltretutto ben protetto dall'anonimato: ma la capisco)

Il fatto che un modello terapeutico sia costruttivista, non implica IN ALCUN MODO che non possa basarsi su protocolli. Un conto è riconoscere che la "realtà" del paziente - e, per estensione, quella di chiunque - sia in larga parte frutto di una costruzione, altra cosa completamente diversa è AGIRE su quella "realtà" per modificarla.

Sta confondendo la soggettività con l'intersoggettività, e basterebbe questo per capire che lei non è del mestiere.

Lei può continuare a fare filosofia finché vuole, ma non è con la filosofia (da sola) che si curano i pazienti. Le ripeto: vada da un ossessivo o un panicante, con la filosofia, con i discorsi, con l'empatia, a convincerlo a uscire dal buco in cui si trova, e vediamo se ci riesce. E se poi ci riesce me lo faccia sapere, sarò il primo a esserne interessato.

A questo punto la prego, vada avanti, la cosa si sta facendo sempre più divertente.



#37
Psicologo
Psicologo

Mi accodo soltanto adesso alla discussione, per chiedere agli utenti che sono intervenuti se, al di là delle considerazioni di carattere teorico-astratto, i concetti ed i paradigmi cui fanno riferimento hanno trovato un'applicazione efficace ed efficiente nella risoluzione di problemi clinici.

Perchè, altrimenti, si rischia di parlare di parole mentre le navi affondano...

#39
Utente 219XXX
Utente 219XXX

Se "i concetti ed i paradigmi cui fanno riferimento hanno trovato un'applicazione efficace ed efficiente nella risoluzione di problemi clinici" ? Sicuramente no, ma nemmeno le psicoterapie cosiddette "efficaci" visto che il Tavor è il farmaco più venduto in Italia.

#43
Psicologo
Psicologo

Gentile utente (sarei più a mio agio se avessi anche solo un nome di battesimo con cui chiamarla...), ritiene che il consumo di farmaci sia un indicatore di efficacia ed efficienza delle psicoterapie? Io credo che sia un indicatore della tendenza prescrittiva, che a sua volta può dipendere da molti fattori. Le ricordo inoltre che la prescrizione di farmaci è un atto medico, mentre qui parliamo di psicoterapie (anche se, ad onor del vero, una piccola percentuale di psicoterapeuti è composta anche da medici e gli psichiatri possono praticare la psicoterapia).

Inoltre, l'AIFA riporta che i dati di vendita dei farmaci che agiscono sul Sistema Nervoso Centrale sono al terzo posto come categoria, dietro ai farmaci che agiscono sui sistemi cariovascolare, gastrointestinale e sul metabolismo, per cui la sua ipotesi sembra mancare delle "gambe" del dato di realtà!

Chi adotti una metodologia di indagine "empirica" valuta i dati e formula ipotesi, che "reggono" finchè altri dati non li smentiscono, o altre ipotesi non funzionano meglio o sono più "economiche".

Il fatto che le terapie "efficaci" non si sarebbero mostrate efficaci o efficienti nella risoluzione di problemi clinici è per lei una ipotesi o un fatto?

#44
Psicologo
Psicologo

Una precisazione: il principio attivo del Tavor (il Lorazepam) non risulta nemmeno tra i primi 30 principi attivi a maggior consumo territoriale nel 2010; anzi, a dirla tutta tra i primi 30 non risulta nessun principio attivo dei cosiddetti "psicofarmaci".

Di una due: o la sua ipotesi regge, per cui il consumo di psicofarmaci è un buon indicatore dell'efficacia delle psicoterapie "efficaci" (e allora sono efficaci, perchè non si consumano tutti questi psicofarmaci!), oppure la sua argomentazione non regge. Lei che dice?

#45
Utente 179XXX
Utente 179XXX

Dottor Santonocito, abbia pazienza, ma non le ho detto io di iscriversi al sito pubblicamente ;)

“Il fatto che un modello terapeutico sia costruttivista, non implica IN ALCUN MODO che non possa basarsi su protocolli.”

E chi mai ha detto il contrario? Anche l’andare al bagno può basarsi su protocolli. Ho parlato di resistenza e non di ‘inprotocollabilità’, resistenza a quelli che lei professa.

Ha ragione, la cosa si fa divertente, tristemente divertente, un po’ come quelle barzellette che si raccontano per sdrammatizzare. Continuerei volentieri, ma non vedo altrettanto impegno nei vostri interventi. Lancio molte sollecitazioni alle quali non rispondete (mi dice si o no i concetti di “malattia” e “guarigione”?! Lo vede che lei non risponde!), e trovo che così non si abbia uno scambio paritario. Non parliamo poi dell’incessante ridondanza delle vostre argomentazioni. Credo di essermi garantito a sufficienza l’appartenenza al “settore”, sempre che non sia uno che per diletto passa le giornate tra volumi di psicologia e filosofia.

Dr. Santonocito, mi tolga solo una curiosità, lei è sposato?

Prima di congedarmi trovo doveroso un saluto al Dr. Cali’, ultimo saggiatore di questi scambi. Vede, uno dei paradigmi a cui faccio riferimento ha fatto chiudere i manicomi in Italia nel ’78, valuti lei se è un risultato attendibile nella sua ortodossia. Mi scusi, ma trovavo corretto rivolgere qualche attenzione anche a lei e mi perdoni se non le dedicherò lo stesso tempo dato ai colleghi.

Credo che per me il tempo sia ormai giunto. Spero che questi scambi non cementino le differenze, ma promuovano reciproci approfondimenti.

Psicosaluti carichi di speranza.

#47
Dr. Armando De Vincentiis
Dr. Armando De Vincentiis

(..)mi dice si o no i concetti di “malattia” e “guarigione”?! Lo vede che lei non risponde (..)

mi perdoni ma non riesco ad uscire dalla mia condizione pragmatica ed operativa. Davvero vuole fare filosofisa su ciò che è definibile come malattia e guarigione?

ma ha mai visto un paziente psichiatrico in vita sua? ci ha mai parlato? ha mai ascoltato i suoi vissuti?
ne ha curato qualcuno? hai mai ascoltato chi è uscito dal suo problema?
chi si pone domande del tipo "cos'è la sofferenza e non" o non ha mai fatto tutto ciò che ho scritto o non ha capito nulla.
con tutto il rispetto.
saluti

#48
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

>>> (mi dice si o no i concetti di “malattia” e “guarigione”?! Lo vede che lei non risponde!)
>>>

E secondo lei, io dovrei prendermi la briga di convincere del contrario un sedicente psicologo/psicoterapeuta che insinua che "la malattia non esiste", che molto probabilmente non ha mai curato un paziente in vita sua, e per giunta anonimo? Via, sia realista.

Se lei ha bisogno di qualcuno che le spieghi cos'è la malattia, e se è davvero psicoterapeuta, potrebbe aver sbagliato mestiere. Nulla di personale.

Facciamo così: lei mi prova che è davvero un collega e che vede attivamente pazienti (o che è stato paziente a sua volta) e poi ne riparliamo.

>>> Dr. Santonocito, mi tolga solo una curiosità, lei è sposato?
>>>

Non si faccia venire strane idee, sarei troppo lontano dalla sua portata persino se fosse donna.

Oltretutto, dato che per lei "malattia" e "guarigione" sono concetti tanto sfumati, ciò non costituirebbe propriamente garanzia a suo favore, come buon partito... Perciò, se LEI è sposato, se fossi sua moglie terrei gli occhi aperti.

Tante buone speranze anche a lei e, se vuole, continui pure, lei è proprio divertente.



#49
Ex utente
Ex utente

Cari dottori, mi accodo anche io alla discussione per esporre alcuni pensieri:

1. Ricordatevi sempre che L'UMILTA' E' LA VIRTU' DEI GRANDI. Gli uomini grandi, i più competenti, sono sempre molto umili. La vostra arroganza, SACCENTERIA mi disgusta. Siete incapaci di mettere in discussione le vostre opinioni. Gli utenti (oltre ad esibire un'evidente competenza e consapevolezza) sono molto più umili di voi. Mettetevi sempre in discussione finchè potete!

2. Soprattutto: veramente voi NON RISPONDETE a tutti i concetti esposti dal secondo utente!! Sembra non abbiate nemmeno letto! Io ho letto con molta attenzione tutto e voi proprio non rispondete! le cose sono due: o non avete tempo per leggere affondo i commenti degli utenti, o non siete in grado di capire ciò che dicono. A voi la scelta.

3. Scusate...ma dite sempre le stesse cose!!! : che la filosofia ha troppi concetti e confusi(ERESIA!Fischi per fiaschi???ERESIA!), che bisogna fare le domande ai panicanti e agli ossessivi (ma esistono solo questi due casi?), e che la vostra "scienza" è efficace. Siete in grado di rispondere a ciò che vi viene chiesto o no?

Vi prego cambiate argomentazioni perchè sennò mi viene una nevrosi e finire nelle vostre mani mi preoccuperebbe alquanto!

#51
Dr. Armando De Vincentiis
Dr. Armando De Vincentiis

A volte , chi si sopaccia per umile, per aperto mentalmente e cose simili ha una certa riluttanza per tutto ciò che appartiene alla scienza (metodo, rigore, evidenza) con tutti gli ovvi limiti che la scienza può avere. Quando la stessa persona ha poi un problema di salute ha di fronte due scelte. Affidarsi alla scienza o a qualcosa di alternativo.
Chi si affida alla scienza ha maggiori probabilità di risolvere il problema (e per i casi medici più gravi anche di continuare a vivere), chi si affida a pratiche che sono lontane dalla scienza, ha meno probabilità di risolvere il problema ( e dall'esperienza sappiamo anche che rischia la vita).
da questo si dovrebbe comprendere l'importanza del metodo, della statistica, della riproducibilità.

cos'è la mancanza di sofferenza in psicologia ? da un punto di vista clinico è la libertà da conflitti che ne impediscono la crescita personale e la capacità di adattarsi all'ambiete.
da cosa si valuta?
dalla possibilità di affrontare le normali attività quotidiane (lavoro, uscite, relazioni interpersonali ecc)
quando queste vengono intaccate possiamo parlare di sofferenza.
Quando si ridà al paziente la possibiltà di affrontare le sue attività privo di conflitti allora parlimo di guarigione.

Ma il parametro migliore è il feadbeek dello stesso paziente che ci dice, dottore sto bene, dottore ho risolto, dottore non ho più bisogno di lei.
Il resto è inutile speculazione filosofica.
soddisfatto?

Molti criticano la scienza ma, chissà perchè, quando soffrono e ad essa (ricerca medica) che si affidano. Bello filosfeggiare quando non si hanno problemi!

#52
Dr. Giuseppe Santonocito
Dr. Giuseppe Santonocito

>>> 1. Ricordatevi sempre che L'UMILTA' E' LA VIRTU' DEI GRANDI.
>>>

L'umiltà si dà a chi la merita, ovvero a chi mostra umiltà a propria volta. Altrimenti, arroganza agli arroganti.

>>> sennò mi viene una nevrosi e finire nelle vostre mani mi preoccuperebbe alquanto!
>>>

Beh, forse sta scambiando questa semplice discussione con qualcos'altro, ma in questo portale possiamo soltanto occuparci di problematiche "light". Perciò, nervi saldi e aspettative basse.

E poi bisognerebbe vedere se verrebbe accettato come paziente, il che non è così scontato.


#53
Psicologo
Psicologo

Gentile utente 179808, la ringrazio per l'attenzione che mi ha dedicato. Avrei preferito che mi rispondesse, ma mi accontento della sua attenzione.

Vede, personalmente non ho nulla contro l'esistenza di paradigmi che promuovono interventi senza dimostrare se sono efficaci. Nella pratica clinica, ai pazienti importa davvero poco se io mi riferisca alla prima o alla seconda cibernetica, se io sia costruttivista o razionalista, o se io adotti metodologie più deduttive o induttive.

Quello che importa loro è che io li aiuti a risolvere dei problemi, e per far questo serve definire con accuratezza qual è il problema da risolvere, e sopratutto come farà quel paziente a capire di aver risolto il problema.

Se una forma di terapia fa questo, e dimostra di poterlo fare, ed i suoi risultati sono replicabili, allora sopravviverà; altrimenti, probabilmente, prima o poi semplicemente "si estinguerà".

Utente 238216, le lezioni di umiltà le si accettano dagli umili. Mi sono inserito nel dibattito portando dati, non affermazioni di principio.

Accetto volentieri che si smentiscano i miei dati, se le fonti sono attendibili. Ma che si metta in dubbio la validità di quello che faccio parlando di parole, e non di fatti, è semplicemente inconsistente.

Chi lavora ogni giorno a contatto con la sofferenza delle persone (quelle vere, che piangono, soffrono, si ammazzano etc.) sa benissimo che non si può parlare a vanvera.

Per cui, invece di fare affermazioni gratuite e davvero poco fondate (tipo "La filosofia dà fastidio"), sarebbe utile, se si afferma che alcuni approcci che si definiscono "efficaci" in realtà non lo sono, portare dei dati a sostegno, non semplici affermazioni, per di più mantenendosi accuratamente anonimi; altrimenti, più che utenti impegnati in un dibattito, si rischia di passare per semplici Troll...

#54
Utente 219XXX
Utente 219XXX

Eccomi! Ieri purtroppo non avevo tempo e Le rispondo subito. Allora, qui c'è un problema: si sta perdendo il centro del dibattito e visto che l'ho iniziato io (ma quanto sono umile!!) mi sento anche legittimato a riprendere le fila ed evitare che si degeneri mettendola sul personale.

"Quello che importa loro [i pazienti] è che io li aiuti a risolvere dei problemi,"

Non lo metto in dubbio! Anzi dico per esperienza personale che la psicologia e la psicoterapia AIUTANO FATTIVAMENTE a risolvere i problemi di vario tipo. Ho spesso lavorato con gli psicologi e devo loro gratitudine.
Semplicemente contestavo l'esistenza di solidi canoni metodologici e via dicendo. Perché li contestavo? Perché ritengo che la natura del disagio psichico non si presti a fondamenti metodologici così solidi e scientifici, pur ribadendo la necessità di una riflessione metodologica.
Qui si sta adottando, secondo me impropriamente, il modello medico come se i "disturbi" d'ansia fossero circoscrivibili come una lesione o un'infiammazione. I "disturbi" d'ansia hanno sicuramente delle tipicità e dei vissuti che sono loro propri, ma vanno inscritti all'interno di una realtà molto più complessa della realtà fisica. Vanno infatti storicizzati e contestualizzati. Quante "diagnosi" psichiatriche che proliferavano in passato sono orami dei relitti. Pensiamo alle isteriche di Charcot o ai catatonici nei manicomi. Il disagio psichico è proteiforme e conseguentemente anche i protocolli e e le metodologie. Attualmente proliferano i disturbi d'ansia, e lo credo! Viviamo in una società nevrotica e non mi stupirei di scoprire che la maggior parte dei "disturbi" d'ansia si manifestino nelle grandi città.

"Ma il parametro migliore è il feadbeek dello stesso paziente che ci dice, dottore sto bene, dottore ho risolto, dottore non ho più bisogno di lei." Certo! Sono il primo a dire che l'intervento della psicoterapia è utile nella maggior parte dei casi, pur nella consapevolezza che la standardizzazione degli interventi è valida fino ad un certo punto e molto dipenda anche dalla capacità individuale dello psicoterapeuta di adattarsi al singolo paziente, sottolineo "singolo".

"E quanto alla "vaghezza del concetto di malattia", la invito ad andarlo a proporre a un panicante, un ossessivo grave o una borderline e poi ad ascoltare che cosa le rispondono."
Penso che sarebbe molto difficile la psicoterapia di un "panicante" senza il supporto farmacologico nonostante i solidi canoni metodologici ;). Gli ansiolitici sono infatti farmaci vendutissimi.

ps
Dimenticavo, mi chiamo Alessandro. Trovo disumanizzante essere chiamato come Utente n.1... :)

#55
Psicologo
Psicologo

Allora, Alessandro, molti punti di vista che lei esprime sono a mio avviso (internamente) coerenti: intendo, partono da alcune premesse e ne derivano logicamente alcune conseguenze.

Il metodo che adotto io prevede anche che le premesse siano poste al vaglio della realtà.

Le faccio alcuni esempi:

- ritengo che la natura del disagio psichico non si presti a fondamenti metodologici così solidi e scientifici

Questo se lei ammette che il disagio psichico abbia UNA natura. Se ammette invece che la definizione di disagio è operativa, ovvero funzionale alle operazioni cui prelude, il discorso cambia parecchio.

- Qui si sta adottando, secondo me impropriamente, il modello medico come se i "disturbi" d'ansia fossero circoscrivibili come una lesione o un'infiammazione. I "disturbi" d'ansia hanno sicuramente delle tipicità e dei vissuti che sono loro propri, ma vanno inscritti all'interno di una realtà molto più complessa della realtà fisica. Vanno infatti storicizzati e contestualizzati.

E chi dice il contrario? Sia io che i dott. De Vincentiis e Santonocito operiamo secondo paradigmi che sono tutt'altro che "medici". Un esempio banale: in terapia cognitivo-comportamentale non è metodologicamente corretto parlare di "diagnosi". Usiamo il concetto di "assessment" e di "formulazione del caso", ovvero un modello caso-specifico che adoperiamo come ipotesi "in progress" per progettare e condurre l'intervento. Ed è un modello ampiamente storicizzato e contestualizzato, mica astratto!

- Il disagio psichico è proteiforme e conseguentemente anche i protocolli e e le metodologie.

Su questo non sono proprio d'accordo. Neppure in medicina i corpi sono tutti uguali (i colleghi chirurghi lo sanno bene!), eppure si adottano metodologie che sono solide, seppur flessibili.

Nessun terapeuta che si dedichi alla clinica le proporrà un intervento ESATTAMENTE IDENTICO a quello messo in campo con altre persone. Per certi aspetti molto simile, ma non identico.

_ Quante "diagnosi" psichiatriche che proliferavano in passato sono orami dei relitti

Come le dicevo, è proprio il concetto di diagnosi categoriale che molte correnti di pensiero, che tendono ad un ideale di scientificità, non adottano. Preferiscono una modellizzazione che renda ragione delle differenze individuali.

- Penso che sarebbe molto difficile la psicoterapia di un "panicante" senza il supporto farmacologico nonostante i solidi canoni metodologici ;). Gli ansiolitici sono infatti farmaci vendutissimi.

Perchè, secondo lei una terapia qualsiasi non è "difficile"? Finora, ogni persona con cui ho lavorato presenta un problema difficile, spesso reso ancor più difficile dai tentativi di soluzione messi in atto per risolverlo.

"Difficile" non equivale ad "impossibile". E qui, gentile Alessandro, casca l'asino.

Perchè, come ogni bravo scolaretto sa, spesso gli ansiolitici che assumono le persone con una storia di attacchi di panico sono uno dei problemi con cui i clinici si confrontano.

Le potrei riferire di una certa casistica di persone con attacchi di panico che li hanno risolti in terapia, in pochi mesi, senza farmaci; così come esistono persone che ricevono un beneficio da un supporto farmacologico che rende POSSIBILE un intervento psicoterapeutico altrimenti ostacolato da una sintomatologia troppo florida. E come esistono situazioni in cui la dipendenza da farmaco diventa uno dei bersagli della terapia...

Come sottolineavo prima, un conto è dire "dai dati in mio possesso, dalla letteratura scientifica, dai casi che conosco, dalle mie personali esperienze" emergono ipotesi che contraddicono quello che dite; altro è dire "secondo me, è teo(reti)camente sbagliato".

Per farle un esempio faceto, anche i deliri hanno una forte coerenza interna, ma nessun conforto da parte della realtà...

#56
Ex utente
Ex utente

Salve a tutti,
ho avuto la pazienza di leggermi tutti i vostri scambi trovando ragioni in entrambe le fazioni, per cui non credo sia giusto rigettare in toto né le posizioni di uno né dell’altro.

Vorrei lanciare una domanda che credo stia a monte di molte questioni poste a valle. Ho sentito parlare di metodi, dati, rigore, protocolli ecc... Ma la psicologia in nome di cosa è una scienza? Perché in tal caso avrei due domande, le più banali da cui muove ciascuna disciplina scientifica:

1) Qual è il suo oggetto di studio? E data una definizione, questa è condivisa collettivamente?
2) Com’è possibile che vi sia un simile pluralismo all’interno della disciplina?

In merito a quest’ultima domanda ricordo un filosofo della scienza, Tomas Kuhn, credo molto noto, il quale sosteneva che in ogni scienza ciascun nuovo paradigma sostituisce quello precedente, ad es. il sistema tolemaico viene sostituito col sistema copernicano, ma di certo non coesistono. Nella psicologia invece coesiste di tutto e di più a quanto vedo e sento, un po’ come in filosofia, ma lì deliberatamente! Non aggreditemi però, chiedo per capire, e non mi sembra di chiedere male...

Credo che l’Utente 179808, facesse riferimento al lavoro di Franco Basaglia e a come il suo contributo ha portato a ripensare la malattia mentale, i manicomi e così via...perchè non è da considerarsi un risultato? Uno di voi ha sottolineato che il miglior feedback è il paziente, perché anche quando ci sono dei risultati evidenti, anche sono culturalmente, ma non protocollati, si deve metterne in discussione la solidità di quel lavoro? Io magari ormai ho qualche anno, ma un tempo sapete cos’era garanzia di efficacia? Il passaparola, quando qualcuno di fidato metteva la sua faccia per consigliarti di rivolgerti a qualcuno per un problema o un lavoro, certo potevi star tranquillo. Dubito che anche potendo ci si rivolgesse a qualcuno perché si avevano dati alla mano. Ma oggi forse tutto questo non ha più valore in mezzo a tanta scienza?

Non capisco questo rigetto per tutto ciò che non è provato, tante cose della nostra cultura non sono dimostrate in modo empirico ma le adottiamo, e siamo consapevoli che vanno bene. Un mio amico indiano una volta mi ha detto che noi occidentali spendiamo tempo e soldi per dimostrare l’ovvio, quello che un tempo i nostri padri davano per assodato, come dire una ricerca che mostri l’efficacia dell’ascolto. Capisco e condivido la necessità delle scienza, ma quello che sento qui, se il sentire ha ancora un valore, è una fede nella scienza, che nell’atteggiamento, e non solo, si connota come una fede tra le altre, con un pizzico di fondamentalismo e poca interculturalità. Vi prego di tenere conto delle mie parole, che sono quelle che potrebbe avere un paziente, che magari si aspetta anche una certa integrità e apertura dalla persona a cui si rimette.

Adriano

#57
Dr. Armando De Vincentiis
Dr. Armando De Vincentiis

signor Adriano, in ambito scientifico non esiste olo l'epistemologia di Khun, una lettura di Lakatos e Laudan potrebbe benissimo rispondere al suo quesito

(..)Nella psicologia invece coesiste di tutto e di più a quanto vedo e sento (..)

ossia diverse teorie possono convirvere, ciò che conta è la loro miglior capacità di risolvere i problmei meglio di quelle precedenti. Ma, per risolvere i problemi, devono essere validate. ed ecco che torniamo al metodo scientifico. Con esso si può comprendere davvero se un modello cura davvero cosa, onde evitare che altre variabili (suggestione, placebo, aspettative ecc) possano influenzare i risultati.

anche la torta ai mirtilli di mia nonna fa passare l'ansia (lei ne è convinta, ne ha esperienza) ma come possiamo esserne certi? ed ecco che la metodologia scientifica ci permette di capire se davvero la torta di mia nonna ha proprietà benefiche o se si tratta di effetto placebo.
Al di fuori del metodo scientifico tutto funziona ma questo tutto può essere pericoloso nella misura in cui sottrae il paziente ad una cura realmente validata.

l'oggetto di studio della psicologia?
essa è la scienza del comportamento ed il suo oggetto è il comportamento osservabile di un singolo, di un sistema e/o di un gruppo. Per valutare gli effetti di una variabile sul funzionamento di uno di questi oggetti si adoperano le stesse operazioni utilizzate per validare l'efficacia di un farmaco.
(gruppi di controllo, randomizzazione, valutazione in cieco) oppure, secondo i criteri della ricerca intervento di Kurt Lewin, si osserva in che modo cambia l'oggetto di osservazione un base agli stimoli a cui e sottoposto ottenendo, da questi cambiamenti, informazioni sul suo funzionamento e,quindi, altre informazioni sulle variabili da somministrare.

ecco in che modo la psicologia entra a pieno titolo tra le scienze empiriche.
Considerando il paragone con la torta ai mirtilli, spero sia chiara la necessità di sottoporre a controllo ogni presunta cura.

#58
Psicologo
Psicologo

Sig. Adriano, aggiungo qualche commento alle sue considerazioni.

>> Com’è possibile che vi sia un simile pluralismo all’interno della disciplina?

Perchè cambia l'approccio metodologico impiegato. Le faccio un esempio: per il comportamentismo l'oggetto di studio era il comportamento osservabile, e tutto il resto non oggetto di indagine scientifica (attenzione: non "non esisteva" o "non era oggetto di indagine", ma non lo era secondo i criteri che definiscono una indagine scientifica).

Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, davvero tanta.

Con l'aumentare dell'impatto della psicologia e della psicoterapia sulla cultura occidentale stanno man mano prendendo sempre più campo una serie di domande, credo legittime, che le Istituzioni, l'Utenza ed il mondo scientifico rivolgono sempre più spesso alla psicologia:

- di cosa ti occupi?
- come te ne occupi?
- quali risultati ottieni?
- sono replicabili?
- sono efficienti (cioè, più "economici" di altre metodologie in termini di tempo, denaro, risorse A PARITA' di risultato)?

Dal mio modesto punto di vista, gli approcci che riusciranno a rispondere a queste domande andranno avanti, gli altri pian piano o moriranno, o si ridurranno a circoli sempre più elitari ed esoterici per pochi, facoltosi eletti.

>>Credo che l’Utente 179808, facesse riferimento al lavoro di Franco Basaglia e a come il suo contributo ha portato a ripensare la malattia mentale, i manicomi e così via...perchè non è da considerarsi un risultato?

Certo, il riferimento era chiaro. Ma, se lo sfrondiamo dall'aspetto provocatorio, rimane una "frecciata" fuori bersaglio. Basaglia era uno psichiatra, e pertanto di psichiatria (che è una branca della medicina) si è occupato. Noi parliamo di "psicologia", che è una disciplina autonoma.

I risultati di cui parla sono sintetizzabili? Sono esito dell'applicazione di un metodo? Sono replicabili? Se sì, nulla in contrario; se no, li considero un movimento culturale, importantissimo, ma certamente non una metodologia di intervento psicoterapeutica.

>>Capisco e condivido la necessità delle scienza, ma quello che sento qui, se il sentire ha ancora un valore, è una fede nella scienza, che nell’atteggiamento, e non solo, si connota come una fede tra le altre, con un pizzico di fondamentalismo e poca interculturalità.

>>Io magari ormai ho qualche anno, ma un tempo sapete cos’era garanzia di efficacia? Il passaparola, quando qualcuno di fidato metteva la sua faccia per consigliarti di rivolgerti a qualcuno per un problema o un lavoro, certo potevi star tranquillo.

La psicologia ha ben studiato questo fenomeno. Si chiama "euristica dell'esperto", e consiste nell'adottare un criterio di scelta "economico", che si basa sul prestigio e sul "nome" di chi afferma qualcosa per decidere se fidarsi o meno.

Questo può aiutarla a scegliere tra due professionisti, non tra due approcci metodologici. "Lo faccio perchè lo ha detto Freud (o Beck, o Watzlawick, o chi per loro)" non è più considerata da molte correnti "garanzia di qualità". E, per fortuna, neppure da un numero sempre crescente di utenti...

>>Capisco e condivido la necessità delle scienza, ma quello che sento qui, se il sentire ha ancora un valore, è una fede nella scienza, che nell’atteggiamento, e non solo, si connota come una fede tra le altre, con un pizzico di fondamentalismo e poca interculturalità.

Beh, in qualcosa si deve pur credere... ^___^
Scherzi a parte, io la vedo in modo esattamente opposto. La psicoterapia cognitivo-comportmentale, che è tra gli approcci che professano maggiormente la necessità di una metodologia scientifica, ha ormai da tanti anni incorporato al suo interno prassi e modelli che provengono da culture millenarie e "non occidentali": ma questo solo dopo aver "testato" l'efficacia di queste prassi e di averne appurato la compatibilità di modello con la metodologia cognitivo-comportamentale.

Purtroppo, potrei citarle molti, moltissimi casi in cui un approccio "eclettico" o non validato ha avuto effetti iatrogeni sulla persona, con dispendio di soldi, energie, tempo, dolore.

Le cito soltanto un esempio: sa per quanto tempo le mamme dei bambini autistici si sono colpevolizzate perchè eminenti studiosi affermavano, senza alcuno straccio di prova, che l'autismo fosse una patologia su base relazionale, causata da un accudimento freddo e distaccato da parte della madre? Ha idea di quante mamme abbiano sofferto, alla vista di quei bambini, così belli e perfetti eppure così lontani e bizzarri, PER COLPA LORO?

Ed oggi, che sappiamo che le basi dell'autismo sono di natura biologica, e che l'accudimento non c'entra, che dicono questi signori? "Scusate, abbiamo scherzato, non è colpa delle mamme"? A me sembra di no...

#63
Ex utente
Ex utente

Caro dott. Santonocito,

“L'umiltà si dà a chi la merita, ovvero a chi mostra umiltà a propria volta.”

Assolutamente no! Chi è umile lo è sempre, in ogni situazione, al di là delle persone con cui ha a che fare. Se vuole torniamo ai tempi della legge del taglione, se si trova più a suo agio a ragionare così.

“E poi bisognerebbe vedere se verrebbe accettato come paziente, il che non è così scontato.”

Ah è così? Ora mi si è aperto un mondo! Capisco perché le vostre terapie funzionano così bene come sostenete: potete scegliervi i pazienti!!! Ecco perché nominate solo i casi di panicati e ossessivi! Facile essere efficaci potendo scegliere su chi agire. Come se un insegnante potesse scegliere gli studenti che vuole, quelli migliori, e poi si dicesse : “Come apprendono bene! Come sono bravo ed efficace!”. Così voi scegliete i pazienti su cui la vostra terapia è efficace (nella maggior parte dei casi)… La cosa non regge molto. E gli altri? Con un depresso? Con un ipocondriaco? Con un altro tipo di paziente cosa fate? Non lo accettate?

E poi dott. Santonocito, almeno il dott. De Vincentiis si è sforzato di rispondere (anche se, a mio parere, in modo poco esaustivo) alle sollecitazioni sollevate dagli altri utenti, ma lei proprio CONTINUA A NON RISPONDERE! Provi a rileggere TUTTE le questioni sollevate, invece di cadere in un umorismo poco sottile e per niente gradevole, come forse lei spera.

Dott De Vincentiis,

“A volte , chi si spaccia per umile, per aperto mentalmente e cose simili ha una certa riluttanza per tutto ciò che appartiene alla scienza”

Questo proprio no, mi dispiace: conosco persone umilissime che hanno a che fare con la scienza quotidianamente. La ringrazio comunque per il tentativo di rispondere (non completamente) all’altro utente.

Giulia

#64
Psicologo
Psicologo

Giulia, credo che sia abbastanza chiaro che lei non ha mai avuto in trattamento una persona con disturbo ossessivo compulsivo.

Il DOC è ritenuto infatti uno dei quadri più difficili da trattare in assoluto.

Ecco quello che intendevo: i ragionamenti si fanno meglio sui fatti, ovvero sui dati clinici. Altrimenti, rimangono parole vuote.

Ci sono pazienti che non gioveranno delle terapie. "Efficaci" non vuol dire "onnipotenti". Altri approcci, che hanno preteso di "curare tutto", non hanno mai dimostrato di poterlo fare.

"Efficaci" significa soltanto che hanno dimostrato di esserlo.
Infatti, non stiamo contrapponendo terapie "efficaci" e "non efficaci", ma approcci che hanno dato prove di efficacia ed altri che non lo hanno fatto.

Con un depresso o un ipocondriaco non so proprio cosa fare, così come con un ossessivo o un bulimico o un borderline.

Ma con i signori Mario, Luigi, Filomena, Martino e AntonPiero sì. Non sempre, non in tutti i casi. Ma in un numero consistente di situazioni, sì.

La invito a parlare di "cose", non di parole. Ovvero: si documenti. Lo prenda come un invito sincero. Io ho riflettuto tre anni, prima di scegliere in che orientamento teorico specializzarmi. E, da quello che dice, appare abbastanza evidente che lei non ha esperienza clinica, altrimenti non avrebbe MAI sostenuto che uno si sceglie un ossessivo per aumentare le proprie probabilità di successo...

#68
Dr. Armando De Vincentiis
Dr. Armando De Vincentiis

Gentile Giulia, quando la risposnta non è conforme con il proprio credo teorico non è mai esaustiva.

#71
Dr. Armando De Vincentiis
Dr. Armando De Vincentiis

Carissmi tutti, mi preme fare un doveroso chiarimento riguardante il mio lavoro sulla psicoanalisi dal momento in cui mi arrivano emali private di colleghi e/o osservazioni pesanti, anche su facebook, sul mio libro da gente che, non avendolo letto e completamente ignaro dei contenuti, tranne quelli carpiti da qualche recensione, emette sentenze sulla mia persona accusandomi di essere un ricercatore di parte o un detrattore cieco della psicoanalisi.

io non ho nulla ne contro la psicoanalisi in senso lato ne contro gli psicoanalisti tantè che i maggiori critici, di mia conoscenza, della psicoanalisi mi hanno addirittura accusato di essere stato "magnanimo" nei confronti di questa terapia a LORO DIRE superata.

il mio lavoro (chi lo ha letto può confermarlo) non è una critica all'intero apparato teorico psicoanalitico ma solo l'evidenziazione dello stato dell'arte sulla sua applicabilità clinica nei confronti delle specifiche patologie, evidenziandone efficacia e limiti sulla base dei suoi presupposti teorici e sulla presenza o meno di ricerche empiriche.

se avessi scritto il libro con il solo scopo di denigrarla non avrei mai risposto ad uno dei quesiti (avendo uno stile da perizia) che essa, in specifiche patologie, funziona!

Che poi si possa ergomentare, sulla base di visioni filosofiche differenti, il concetto di cura e guarigione è un'altro discorso.

purtroppo, noto, che il mio lavoro ha suscitato delle pesanti antipatie nei miei confronti soprattuto da parte di quelli che si sono limitati a leggere le recensioni piuttosto che approfondirne i contenuti.

Ciò che ho scritto rappresenta solo l'impegno di essere dalla parte del paziente mentre chi si sente offeso, spesso, è solo dalla parte del suo apparato teorico senza la minima accettazione di una critica che se integrata nel suo sitema operativo può solo essere costruttiva per i suoi pazienti.

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