Colite indeterminata: una controversa IBD (malattia infiammatoria cronica intestinale)

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Dr. Francesco Quatraro Gastroenterologo, Colonproctologo

Nell’ambito delle IBD (Inflammatory Bowel Disease), in italiano MICI (Malattie infiammatorie Croniche Intestinali), l’istopatologo, in genere, è in grado di distinguere istologicamente la Colite Ulcerosa ed il Morbo di Crohn (a localizzazione colica). Tuttavia, nel 10%-20% dei casi non è possibile fornire una sicura diagnosi istologica, talora neanche sul pezzo operatorio, ovvero sul colon dei pazienti per i quali si è resa necessaria l'asportazione chirurgica (colectomia). In tali casi si utilizza il termine di Colite Indeterminata (IC, Indeterminate Colitis),che potrebbe rappresentare un’entità nosologica autonoma, cioè un altro sottogruppo distinto di IBD

Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali

Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI o IBD, Inflammatory Bowel Disease) rappresentano un gruppo di patologie infiammatorie dell'intestino, la cui etiopatogenesi non è ancora completamente conosciuta. Per il decorso cronico e per la natura dei sintomi che le caratterizzano le IBD risultano particolarmente debilitanti e severe. Si contraddistinguono, inoltre, per la compromissione della qualità di vita e per il rischio, ancor più rilevante nei casi ad esordio in età pediatrica, di complicanze a lungo termine (deficit di crescita, cancerizzazione, necessità di interventi chirurgici, anche demolitivi).

Distinguiamo:

  • Morbo di Crohn (MC o CD, Crohn's Disease): noto anche come "ileite terminale" o "enterite regionale" o "enterite segmentaria". La malattia è caratterizzata da un processo infiammatorio cronico che può riguardare tutto lo spessore della parete intestinale (flogosi transmurale) e che, pur prediligendo l'intestino tenue, può colpire qualsiasi tratto del canale alimentare, dalla bocca all’ano. La malattià è probabilmente legata ad un difetto della barriera mucosa, con successiva disregolazione dei meccanismi di difesa che coinvolgono sia l’immunità innata che quella acquisita (o immunità adattativa o immunità specifica). In Italia il morbo di Crohn colpisce 2-3 persone ogni 100.000 abitanti, di età compresa tra i 20 e i 30 anni ed un secondo picco di incidenza intorno ai 60 anni; con un rapporto femmine:maschi di 1:1.
  • Rettocolite Ulcerosa (RCU o UC, Ulcerative Colitis): si tratta di una malattia infiammatoria cronica, caratteristicamente ed esclusivamente limitata al colon, prevalentemente a livello del sigma-retto; limitata prevalentemente alla mucosa intestinale (quindi non transmurale). Probabilmente è legata a fattori genetici e/o autoimmunitari. L'incidenza della rettocolite ulcerosa è considerata lievemente più alta di quella del morbo di Crohn: 2-5 persone ogni 100.000 abitanti, di età compresa tra i 30 e i 40 anni.
  • Colite Indeterminata (CI o IC, Indeterminate Colitis): si tratta di una malattia di acquisizione relativamente recente, nella quale la flogosi è limitata al colon, con caratteristiche istologiche, cliniche, radiologiche ed endoscopiche tali da non permettere una classificazione, poichè non riconducibili nè al MC nè alla RCU; nel 13-20 % dei casi si tratta di forme iniziali di una delle due. Al pari di MC ed RCU, la malattia può insorgere a qualsiasi età, con una predilezione per i primi decenni di vita ed, ancora, con un secondo picco di incidenza, dai 55 ai 65 anni.

 

Definizione

Nell'ambito delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali è di fondamentale importanza poter distinguere e differenziare la Colite Ulcerosa dal Morbo di Crohn. La diagnosi differenziale delle varie forme solitamente è basata su un insieme di evidenze cliniche, laboratoristiche, radiologiche, endoscopiche ed istologiche. Tuttavia, questa differenziazione non è sempre possibile, a causa della presenza di caratteristiche istologiche di sovrapposizione; ciò accade in circa il 10-15% (a seconda delle statistiche) dei pazienti; tale percentuale, nonostante i progressi compiuti dalla medicina e dalle tecniche diagnostiche, negli ultimi 30 anni, è rimasta invariata. Questi casi sono solitamente definiti come "Colite Indeterminata". Questa definizione, inizialmente solo istologica, è stata utilizzata da patologi, chirurghi e gastroenterologi per definire un'entità clinica a se stante, ingenerando confusione e controversie.

La CI rappresenta una realtà emergente, in questi anni, nell'ambito delle IBD, essa fu descritta per la prima volta da Price (St. Mark's Hospital, Londra, UK) nel 1978, il quale affermò che l'esame istologico, in una percentuale variabile tra il 10% ed il 20% dei pezzi operatori di colon affetti da IBD, non consentiva una sicura diagnosi distintiva tra Colite Ulcerosa e M. di Crohn.

Nel 2005, il gruppo di lavoro del Congresso Mondiale di Gastroenterologia di Montreal ha raccomandato di utilizzare il termine IBD-U (inflammatory bowel disease, type unclassified), ovvero IBD di tipo non classificata, per quei casi in cui, dopo biopsia perendoscopica, l'esame istologico non è suggestivo nè per MC nè per RCU, e di riservare il termine Colite Indeterminata solo quando, a seguito di colectomia, non si ottiene una diagnosi definitiva.

La maggior parte dei casi di CI alla fine evolvono (prevalentemente) verso una RCU, altre verso un MC, anche se per una percentuale di pazienti permane una diagnosi di CI per molti anni, senza alcun segno di viraggio verso le caratteristiche tipiche di una delle due malattie.

Questo riscontro suggerisce che la CI potrebbe rappresentare un sottogruppo distinto, a se stante, di IBD. Va però precisato che, ad oggi, non esitono criteri istologici o riscontri diagnostici specifici per la diagnosi di CI, che, quindi, resta una diagnosi di esclusione.

 

Epidemiologia

La reale incidenza delle IBD non è ben definita, visto che in molti studi non viene presa in considerazione la Colite Indeterminata, la cui incidenza, a seconda delle casistiche, andrebbe da un minimo del 4% fino ad arrivare ad un massimo del 20%. La prima manifestazione della malattia avviene, nel 20–30% dei casi, in età pediatrico-giovanile.

Le IBD hanno una maggiore incidenza nei paesi industrializzati, con una un’incidenza più alta nei paesi del Nord America, Australia e Nord Europa rispetto al Sud Europa. Alcuni gruppi etnici (come gli ebrei ashkenaziti) hanno tassi di incidenza significativamente più alti della media, suggerendo il coinvolgimento di fattori genetici nella patogenesi delle MICI.

I picchi di incidenza del Morbo di Crohn si hanno nella tarda adolescenza e nei giovani adulti (fino a 25 anni) mentre nella RCU il picco si ha fra i 10 e 18 anni. Per entrambe le patologie c’è un secondo picco nella sesta decade di vita.

 

In Italia l’incidenza delle due entità principali viene stimata pari a 6,8 casi/100.000 abitanti per la RCU, e di 2,8 casi/100.000 abitanti per il Morbo di Crohn. I più alti tassi di incidenza età-specifici sono stati tra i 30 e 39 anni per le RCU e tra i 20 ei 29 anni per i CD. L’incidenza in età pediatrica in Italia, nel 2003, è stata stimata pari a 4.6 bambini ogni 100.000 per il MC e 3,2 per la RCU.

 

Caratteristiche Macroscopiche della CI

La CI è generalmente caratterizzata dal risparmio del retto e dalla presenza di lesioni segmentarie; altri elementi macroscopici comprendono ulcere estese, il possibile coinvolgimento del colon destro, anche se la compromissione del colon distale (colon sinistro) è più severa, la presenza di una infiammazione estesa a più del 50% della superficie mucosa, con eventuale dilatazione del colon associata con megacolon tossico.

 

Caratteristiche Microscopiche della CI

Dal punto di vista istologico la RCU è caratterizzata da:

  • infiltrato infiammatorio delle cripte e severa distorsione architetturale degli elementi ghiandolari,
  • diffusa diminuzione della densità numerica delle ghiandole stesse,
  • aspetto “villoso”, ossia irregolare, talora con erosioni o ulcere della superfice epiteliale,
  • densa e diffusa infiltrazione infiammatoria della lamina propria,
  • severa deplezione dell’attività mucipara.

Il MC è invece caratterizzato da:

  • infiammazione transmurale,
  • infiltrato infiammatorio, fibrosi,
  • formazione di tipici granulomi epiteliodi,
  • aggregati linfoidi, dilatazioni e sclerosi dei vasi linfatici,
  • distorsione discontinua degli elementi ghiandolari,
  • infiammazione discontinua,
  • focale criptite.

Nella CI è proprio tale distinzione istologica che viene a mancare.
Gli elementi microscopici sono caratterizzati dalla presenza di ulcere profonde ed estese, infiammazione transmurale priva di aggregati linfoidi (tipici del MC) e di granulomi epitelioidi transmurali, mentre si può osservare la perdita di cellule muscolari liscie (miocitolisi) e la presenza di congestione vascolare, oltre che di microgranulomi nelle aree di flogosi, di distorsione delle cripte e di monociti nella muscolaris propria.

 

Sintomi

La sintomatologia, nella grande maggioranza dei casi (95%), è contraddistinta da alvo diarroico all’esordio, nel 72% dei casi vi è presenza di diarrea ematica e nel 74% dolore addominale; una minima percentuale di pazienti presenta perdita di peso (44%) e febbre (26%).

Circa un terzo (Rudolph, 2002) dei pazienti affetti da CI può presentare manifestazioni extraintestinali, con interessamento di numerosi organi ed apparati, tra cui fegato e vie biliari (colangite sclerosante primitiva), cute (eritema nodoso, pioderma gangrenoso), apparato oculare (uveite, episclerite), articolazioni (artropatia periferica, spondilite anchilosante, sacro-ileite).

Per approfondire:Sangue rosso nelle feci: è un tumore o altro?

Diagnosi

La diagnosi di IBD, quindi, non può basarsi sull’esito di una sola indagine, ma sulla valutazione complessiva dello stato clinico e dei risultati dei diversi esami laboratoristici e strumentali.

Di fondamentale importanza, anche per la diagnosi differenziale fra IBD, sono:

  • gli esami endoscopici (gastroscopia e colonscopia) con prelievi bioptici perendoscopici per la diagnosi istologica,
  • l'ileoscopia tramite videocapsula endoscopica, che consente di rilevare lesioni che fanno propendere la diagnosi di M. di Crohn,
  • il dosaggio degli anticorpi pANCA (antineutrophil cytoplasmic autoantibody) ed ASCA (anti‐Saccharomyces cerevisiae antibody), che sono rispettivamente associabili a RCU (60-80%) ed a MC (79-88%); in tal senso una sieronegatività farebbe propendere per CI,
  • l'utilizzo di nuovi marcatori anticorpali come gli Anti-Omp C IgA (anticorpi diretti verso una proteina di membrana di E. Coli), gli Anti-C Bir1 (anticorpi diretti contro una flagellina, una proteina dei flagelli batterici del Clostridium Phylum) e gli Anti-I2 (che riconoscono una proteina di membrana di Pseudomonas Fluorescens): sarebbero predittivi di MC. La presenza di questi anticorpi confermerebbe l’ipotesi che nei malati di M. di Crohn vi è una perdita di tolleranza nei confronti di agenti microbici presenti nel lume intestinale a causa di un deficit del sistema immunitari,
  • tests radiologici ad alta definizione come la Entero-RM con gadolinio, che permette uno studio approfondito delle anse intestinali ed una valutazione indiretta delle ulcere nella mucosa o delle alterazioni parietali, sia nel piccolo che nel grande intestino.

Altri tests che potrebbero rivelarsi utili:

  • Emocromo + formula, VES, PCR, protidogramma, albuminemia, test di funzionalità epatica. Un basso valore dell'emoglobina, la presenza di piastrinosi, l'incremento degli indici di flogosi e ridotti livelli di albumina sono suggestivi per IBD.
  • Esami microbiologici per escludere cause infettive. Coprocoltura (per Campylobacter, Yersinia, Salmonella, Shigella), ricerca tossine del Clostridium Dfficile, ricerca di Giardia Lamblia ed Entamoeba histolytica.
  • L'ecografia addominale può permettere di evidenziare: i movimenti intestinali, l'eventuale presenza di anse distese, lo spessore della parete intestinale, la presenza di versamenti e/o di ascessi, oltre che di eventuali linfoadenopatie.
  • La scintigrafia con globuli bianchi marcati (99m TcHMPAO) è un’ulteriore indagine diagnostica di notevole importanza, che permette di identificare le sedi di malattia.
  • La radiologia tradizionale, come una radiografia diretta dell'addome senza m.d.c. (mezzo di contrasto), può essere di utilità nell'escludere una dilatazione del colon e/o una perforazione intestinale. L’esame del piccolo intestino, tramite tenue seriato, ci aiuta ad identificare le alterazioni del lume intestinale e ci permette, soprattutto, di identificare eventuali restringimenti (stenosi), complicanza piuttosto frequente del MC.
  • La TAC permette di evidenziare di ascessi e/o fistole.

Per la diagnosi differenziale della CI resta, perciò, indubbia l'importanza di una valutazione globale (clinica, endoscopica, radiologica, istologica). Nemmeno l'esame istologico, da solo, è sufficiente allo scopo, perché alcune lesioni pur essendo più tipiche di una delle due malattie principali, RCU e MC, possono a volte riscontrarsi anche nell'altra; inoltre non c'è una sola caratteristica istologica che sia sempre presente o sempre assente nelle due malattie.

 

Terapia

Come per RCU e MC, anche per la Colite Indeterminata non si può affermare che la dieta abbia rilevanza nel migliorare e/o peggiorare la sintomatologia e/o il decorso della malattia. E' comunque opportuno, nelle fasi acute della malattia, evitare tutto ciò che può causare diarrea (latticini e cibi ricchi di scorie) o aggravare l'infiammazione (cibi piccanti, cioccolato, alcolici); non esiste però una dieta particolare di riferimento.

Il trattamento medico della CI è simile a quello comunemente usato per RCU e MC. La natura cronica ed intermittente delle IBD impone trattamenti a lungo termine, condotti il più delle volte con l’alternanza o l’associazione di diversi farmaci. Per quanto concerne la risposta terapeutica, quella della CI risulta più bassa rispetto alla RCU e, per contro, risulta migliore rispetto al MC.

Corticosteroidi (Idrocortisone, Prednisone e Metilprednisolone, Budesonide, Beclometasone dipropionato) 
Agiscono sul sistema immunitario e riducono la proliferazione dei linfociti e dei monociti-macrofagi, come anche la migrazione dei neutrofili nei siti di infiammazione.
Nutrizione enterale (NE)
Serve ad ottenere il miglioramento dello stato nutrizionale e, probabilmente, attraverso la riduzione del carico antigenico orale si ottiene una (positiva) modificazione della flora batterica endoluminale.
Aminosalicilati (Mesalazina, Salazosulfapiridina o Sulfasalazina, Balsalazide)
Il meccanismo d’azione degli aminosalicilati non è completamente noto, ma si ritiene sia di tipo antinfiammatorio (e non antidiarroico).
Immunosoppressori (Azatioprina, 6-Mercaptopurina, Methotrexate,Ciclosporina A, Micofenolato Mofetile, Tacrolimus)
La 6-Mercaptopurina (6-MP) e l'Azatioprina (AZA), il suo profarmaco, sono analoghi purinici che vengono convertiti in 6-tioguanina. I metaboliti attivi interferiscono con la sintesi degli acidi nucleici, ottenendo effetti antiproliferativi ed apoptotici sui linfociti attivati.
Il Methotrexate (MTX) E’ un analogo dell’acido folico ed è inibitore competitivo irreversibile dell'idrofolatoriduttasi. Interferisce con la sintesi del DNA ed ha effetti anti-infiammatori, quali la riduzione di citochine pro-infiammatorie e l’apoptosi dei linfociti.
La Ciclosporina A è un peptide lipofilo con molteplici effetti antiinfiammatori, tra cui la down-regolazione di IL-2 e l’inibizione della proliferazione e dell’attivazione dei linfociti T-helper.
L'acido micofenolico o meglio dei suoi derivati perfezionati (micofenolato mofetil) è un antimetabolita che riduce la proliferazione linfocitaria attraverso l’inibizione della sintesi delle purine. Può essere considerato una discreta alternativa, qualora i trattamenti standard siano falliti, ma il suo impiego può essere limitato dagli effetti collaterali, in particolare gravi coliti.
Il Tacrolimus (anche noto come FK-506) è un antibiotico macrolide che attraverso il legame alla calcineurina sopprime la trascrizione di IL-2, TNFα, IFNγ e induce l’apoptosi dei linfociti T. Viene impiegato nella prevenzione del rigetto dopo trapianto ma può essere utile anche nel trattamento delle forme fistolizzanti di MC, o di RCU non responsive ad altre terapie.
Antibiotici (Metronidazolo, Ciprofloxacina, Ornidazolo)
Il coinvolgimento della flora microbica nella patogenesi delle MICI offre il razionale per la somministrazione di antibiotici attivi contro gli anaerobi intestinali, in particolare nelle malattie attive perianali e nelle complicanze settiche.
Il metronidazolo sembra portare beneficio solo nelle localizzazioni coliche ma non in quelle ileali.
La ciprofloxacina viene spesso somministrata in associazione al metronidazolo, ma la sua efficacia appare inferiore rispetto a quella degli steroidi.
L’ornidazolo, un antibiotico a largo spettro si è dimostrato in grado di ridurre in un anno le ricadute cliniche di 5 volte e di 3 volte quelle endoscopiche.
Farmaci biologici (Infliximab, Adalimumab)
Sembrano rappresentare la soluzione futura per il trattamento di molte patologie infiammatorie grazie alla loro elevata specificità d’azione molecolare, ma sono economicamente molto onerosi. I primi farmaci biologici impiegati nella terapia delle MICI sono stati gli antagonisti del TNF-α come l’Infliximab, anticorpo monoclonale chimerico (75% murino, 25% umano) anti-TNFα. In Italia viene utilizzato anche l’Adalimumab, anticorpo monoclonale ricombinante umano di classe IgG1 che lega con alta specificità ed affinità il TNF-α.

Circa 1/3 dei pazienti con Colite Ulcerosa e circa il 75% dei pazienti con Malattia di Crohn richiedono un trattamento chirurgico per il controllo della malattia. Secondo alcuni studi la prognosi della CI risulta peggiore rispetto a quella delle altre IBD, in particolare alla RCU, constatandosi nella CI un maggior numero di recidive ed anche un maggior rischio operatorio e di complicanze postoperatorie.

Il trattamento chirurgico di Proctocolectomia totale ed anastomosi ileo-pouch anale (IPAA) è diventato il trattamento chirurgico di scelta per un gran numero di pazienti con RCU. Offre completo sollievo dei sintomi in pazienti che non rispondono al medico trattamento o che ne manifestano i possibili gravi effetti collaterali, inoltre elimina il pericolo di carcinogenesi, preservando la normale funzione dello sfintere e la defecazione. Questo trattamento richiede un'attenta selezione dei pazienti; non è generalmente raccomandato nel MC a causa di alti tassi di insuccesso (30-50%), che porta alla rimozione della pouch, con significativa perdita di tratti del piccolo intestino, inoltre comporta gravi complicanze postoperatorie come infezioni pelviche e formazione di fistole.

Per quanto riguarda il ruolo di IPAA in pazienti con CI i dati sono piuttosto controversi. Alcuni studi hanno evidenziato un maggior tasso di insuccessi nei pazienti con IC in confronto ai pazienti affetti da RCU, mentre studi più recenti mostrano risultati più favorevoli, con percentuali sovrapponibili. L'aumento dell'incidenza di complicanze post-operatorie, dopo IPAA, nei pazienti con CI, segnalate in diversi altri studi, supporta l'opinione che tali pazienti siano a maggior rischio di complicanze, come la sepsi pelvica e formazione di fistole. Il tasso di pouchite, ad esempio, è molto più alto nei soggetti con Colite Indeterminata (19%) che in quelli con RCU (5-8%). Occorre quindi garantire ad ogni paziente con CI, candidato alla IPAA, una doverosa ed ampia informazione circa l'elevato rischio di complicanze; inoltre dev'essere esperito ogni sforzo (prima di giungere all'intervento) nella diagnosi differenziale, al fine, soprattutto, di escludere la possibilità di una mancata diagnosi di MC.

 

Approfondimenti

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  • The Montreal classification of inflammatory bowel disease: controversies, consensus, and implications
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  • Frequency and clinical evolution of indeterminate colitis: a retrospective multi-centre study in northern Italy. GSMII (Gruppo di Studio per le Malattie Infiammatorie Intestinali).
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    Rudolph WG, Uthoff SMS, McAuliffe TL et al.
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  • RCU ed IPAA, F. Quatraro, MedicItalia
Data pubblicazione: 14 novembre 2013

Autore

francescoquatraro
Dr. Francesco Quatraro Gastroenterologo, Colonproctologo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1986 presso Università degli Studi di Bari.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Bari tesserino n° 8211.

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