Le fratture dell'astragalo: domande e risposte

Le fratture dell' astragalo , nonostante la loro relativa rarità , costituiscono da sempre una sfida per l'ortopedico. Il loro riconoscimento insieme ad un preciso inquadramento diagnostico ed un'attenta pianificazione del trattamento costituiscono i punti principali per limitare l'alta percentuale di complicanze connesse a questo tipo di lesioni

Perchè parlare delle fratture dell’ astragalo?

Le fratture dell' astragalo rappresentano un evento non frequente nella pratica traumatologica ma gravato da molte insidie.

Infatti, le peculiarità anatomiche e funzionali di quest'osso rendono il trattamento di queste lesioni una vera e propria sfida per l'ortopedico il cui scopo è limitarne l'impatto disabilitante derivante dall'alta percentuale di complicazioni. Inoltre, sebbene non esitano dati satisticamente significativi in merito, è noto che alcune fratture dell' astragalo possono passare misconosciute per rendersi poi responsabili di sindromi dolorose persistenti a carico della caviglia e del piede. I motivi per cui non vengono diagnosticate in prima battuta sono diversi. Innanzitutto, la rima cioè la fessura che separa i monconi dell' osso fratturato può essere posizionata in modo da non risultare visibile con le radiografie convenzionali e richiedere proiezioni specifiche o indagini supplementari come la TC. Altre cause sono rappresentate da una scarsa qualità tecnica della lastra o da una insufficiente correlazione clinica come nel caso di traumi apparentemente banali o in soggetti politraumatizzati o in stato di incoscienza. Per questo, di fronte ad un trauma acuto della caviglia e del piede soprattutto qualora sia presente una sintomatologia dolorosa importante accompagnata da tumefazione ed ecchimosi, occorre sempre sospettare una frattura dell'astragalo, anche in presenza di un esame radiografico negativo. D’altra parte, se non tempestivamente riconosciute e adeguatamente classificate e trattate, queste lesioni possono provocare invalidità importanti.

 

Dove è situato l’astragalo ?

L’astragalo, detto anche “talo “o “talus” è un osso di modeste dimensioni, simile al guscio di una tartaruga che si trova nella porzione posteriore del piede dove insieme al calcagno costituisce il cosiddetto “retropiede”.

Rispetto alla sua morfologia viene suddiviso in tre parti: anteriormente abbiamo la testa che si articola con lo scafoide (articolazione astragalo-scafoidea), in mezzo il collo, e posteriormente il corpo che si articola superiormente con la tibia e il perone (articolazione tibiotarsica) ed inferiormente con il calcagno (articolazione sotto-astragalica).

Quest’osso occupa quindi una posizione "strategica" in quanto rappresenta il principale ”connettitore” tra piede e gamba. Ne consegue che oltre ad avere insieme al calcagno una funzione di supporto rispetto al carico derivante dal peso del corpo, risulta fondamentale affinchè possano realizzarsi quei movimenti della caviglia e del piede che sono necessari per una normale deambulazione. In termini tecnici si può dire che la biomeccanica del passo non può prescidere dai movimenti articolari dell' astragalo.

Inoltre va ricordato che l’astragalo è l’unico segmento dello scheletro rivestito quasi completamente da cartilagine articolare ed anche l’unico sprovvisto di inserzioni muscolari. Pertanto, non essendoci ampia disponibilità di aree idonee alla penetrazione di vasi sanguigni, la sua vascolarizzazione presenta delle criticità.

Cio rende ragione del perchè alcune fratture dell' astragalo possono presentare delle difficolta di guarigione o addirittura produrre un grave danggiamento dell' osso fino ad un suo riassorbimento. Infatti, con un limitato apporto sanguigno reso ancor piu precario dalla frattura, l'osso fatica a formare un buon callo riparativo ( Ritardo di consolidazione e/o Mancata consolidazione ) o addirittura le cellule dell'osso muoiono (Necrosi Avascolare) con evidenti ripercussioni sul movimento del piede, della caviglia e più in generale sulle condizioni posturali del paziente.

 

Come si verificano le fratture dell’ astragalo?

Le fratture dell’ astragalo per lo più avvengono per traumi violenti (“ ad alta energia “) come ad esempio incidenti stradali, cadute dall'alto o atterraggi bruschi, tutte condizioni in cui questo segmento scheletrico può rimanere “ schiacciato “ tra il peso del corpo, trasmesso dalla tibia, e la resistenza opposta dal calcagno o comunque dal piede vincolato al terreno.

La posizione del piede al momento del trauma condizionerà la sede della rima di frattura dalla quale, come vederemo, dipende il tipo di trattamento e le possibili complicanze.

 

Quali sono i sintomi e quali le indagini strumentali necessarie per la diagnosi?

La sintomatologia varia a seconda della gravità della lesione. Nelle fratture periferiche o marginali i sintomi coincidono con quelli di un trauma distorsivo di caviglia con cui spesso vengono confuse. Viceversa nelle fratture del collo o del corpo, per lo più conseguenti a traumi particolarmente violenti, la sintomatologia è più eclatante: dolore molto acuto sulla zona compromessa dal trauma, impotenza funzionale assoluta, evidente edema e / o ecchimosi esteso dalla caviglia al piede.

Per la diagnosi occorre comunque eseguire un esame radiografico della caviglia e del piede in 2 o 3 proiezioni (anteroposteriore – laterale – obliqua). Nei casi dubbi o al fine di meglio identificare l’entità della spostamento (scomposizione) dei frammenti di frattura è necessario un approfondimento diagnostico con un esame TC da eseguirsi, se possibile, già in PS.

Scintigrafia ossea e /o Risonanza magnetica sono esami da prendere in considerazione solo in una fase successiva, al fine di diagnosticare precocemente un eventuale necrosi ossea o comunque per individuare una frattura misconosciuta in pazienti che, a seguito di un trauma del piede e/o della caviglia, continuano a manifestare una sintomatologia dolorosa.

 

Esiste una classificazione per le fratture dell’ astragalo?

Qualsiasi attività clinica deve basarsi su dati concreti espressi chiaramente, prontamente accesibili e condivisibili. Da qui la necessità di una classificazione anche per le fratture dell' astragalo, che non solo interessa il chirurgo ortopedico ma da cui può trarre vantaggio anche il paziente. Le classificazioni infatti oltre a fornire indicazioni prognostiche, permettono di inviduare la procedura più adatta al trattamento di ogni a singola lesione rispetto alle sue caratteristiche .

Diverse sono le classificazioni proposte per le fratture dell’astragalo. Certamente la più facile e la piu seguita è quella che fà riferimento ad un criterio prettamente anatomico per cui queste fratture si possono distinguere in:

  • Fratture “ periferiche “ o " marginali "
  • Fratture della testa
  • Fratture del collo
  • Fratture del corpo

Le fratture “periferiche“  consistono in piccoli distacchi ossei che interessano le porzioni più marginali dell’ astragalo: “ processo laterale “ , “processo posteriore” . In questi casi, una semplice radiografia può essere insufficiente per fare la diagnosi a meno che non si effettuino proiezioni particolari per cui le scansioni TC diventano necessarie per una definizione completa della lesione che altrimenti potrebbe passere misconosciuta.

Le fratture della testa sono rare e anche queste non sempre sono diagnosticabili con le radiografie standard per cui , qualora il quadro clinico induca il sospetto, occorre richiedere un approfondimento diagnostico con una TC o una RMN.


 

La buona vascolarizzazione di questa porzione dell’ astragalo riduce al minimo il rischio di una necrosi avascolare (AVN). I problemi derivano piuttosto dalla percentuale di superficie della testa interessata dalla frattura o da un eventuale associata lussazione (cioè perdita dei reciproci rapporti articolari) tra astragalo e scafoide (articolazione astragalo-scafoidea). In questi casi, infatti, se la frattura non viene riconosciuta e adeguatamente trattata il rischio di una artrosi postraumatica rimane elevato. 

A destare le maggiori preoccupazioni sono le fratture del corpo  ma soprattutto quelle che interessano il collo dell’astragalo. Esse, infatti, possono accompagnarsi ad una grave compromissione vascolare che ritarda o impedisce la guarigione della frattura fino a determinare una necrosi dell’osso (AVN).

A questo proposito vogliamo ricordare che per le fratture del collo esiste una specifica classificazione (Classificazione di Hawkins) che fornisce delle utili indicazioni prognostica soprattutto in merito rischio di una successiva necrosi avascolare dell' osso.

Questa classificazione prevede i seguenti scenari:

Le lesioni di tipo I includono tutte le fratture del collo dell’ astragalo con minimo spostamento. L’ astragalo cioè mantiene la sua posizione nell’ambito del mortaio tibio-astragalico (articolazione tibio-tarsica). In questi casi il rischio di necrosi avascolare è minimo (AVN < 10%)

Le lesioni di tipo II sono simili alle precedenti ma l’articolazione sotto-astragalica, cioè quella che connette l'astragalo al sottostante calcagno, risulta parzialmente dislocata mentre la caviglia rimane allineata. Il rischio di necrosi avascolare è più alto (30% dei casi )

Le lesioni di tipo III, identificano le situazioni in cui la frattura del collo si associa ad un evidente dislocazione dei frammenti sia rispetto all’articolazione tibio-tarsica sia rispetto alla sotto-astragalica. In questi casi l’interruzione di tutti i principali vasi sanguigni nutritizi dell’ astragalo è probabile se non certa ed il rischio di una necrosi avascolare è molto elevato 

Infine, già nel lontano 1978, Canale e Kelly suggerivano di completare la classificazione di Hawkins inserendo un IV tipo comprendente tutte quelle fratture del collo che si associano ad una lussazione completa dell’ astragalo cioè ad una perdita dei rapporti articolari con tutti i segmenti ossei ad esso connessi (articolazione tibio-tarsica, articolazione sotto-astragalica, articolazione astragalo-scafoidea ). Questo scenario è certamente il più grave in quanto oltre all'elevato rischio di necrosi avascolare dell' osso vi è un probabiltà quasi assoluta di un artrosi postraumatica 

Come vanno trattate le fratture dell’ astragalo?

Le fratture dell’ astragalo possono essere di diverso tipo e pertanto richiedere trattamenti differenti.

Qualora si tratti di fratture “ periferiche “ cioè di piccoli distacchi parcellari, la prognosi è generalmente buona ed è sufficiente un trattamento conservativo che prevede l’utilizzo di un tutore o di un gambaletto in gesso o in vetroresina per almeno 45 gg, evitando il carico sul piede traumatizzato. 

Lo stesso vale per le fratture della testa e in linea generale per le fratture composte del corpo.

In tutti gli altri casi il trattamento prevede una Riduzione Anatomica e una Sintesi Stabile . Occorre cioè riposizionare i frammenti fratturati in modo da ricostruire la morfologia originale dell' astragalo. I frammenti vanno poi "fissati " tra di loro cioè con dei mezzi di sintesi (Viti, Fili metallici e/o Placche) per evitare scomposizioni successive. In parole piu semplici, avete presente un vaso di ceramica che si rompe? se vogliamo riutilizzarlo dobbiamo ricomporre (Riduzione) esattamente (Anatomica) tutti i pezzi e incollarli (Sintesi) per bene (Stabile). D’ altra parte riduzione e sintesi stabile rappresentano il principale presupposto per ridurre i rischi della più temibili complicanze di queste fratture: la necrosi avascolare (AVN), la ritardo o la mancata consolidazione, l'artrosi postraumatica

La riduzione deve essere attuata il più presto possibile. Se la frattura non viene ridotta in urgenza aumenta il rischio di una compromissione dei tessuti molli e della cute. Inoltre più a lungo viene mantenuto lo spostamento dei frammenti e/o la dislocazione articolare maggiore è la possibilità che il complesso apporto di sangue all’ astragalo venga ulteriormente compromesso.

La riduzione può essere ottenuta a cielo chiuso, cioè con manovre “ esterne “ da eseguirsi in anestesia generale o locale e con il supporto di un amplificatore di brillanza cioè di apparecchio radiologico che ci permette di controllare quanto stiamo facendo. 

In caso di successo sarà il controllo radiologico a dimostrare il ripristino dell‘anatomia normale. Qualora questa non venisse ottenuta, non è consigliabile effettuare ripetuti tentativi perchè potrebbero compromettere ulteriormente i tessuti molli e/o l’apporto vascolare..

Se a cielo chiuso si ottiene una riduzione soddisfacente il passo successivo può limitarsi all'applicazione di un gambaletto gessato. Oggi , comunque, si preferisce una fissazione dei frammenti di fratttura con fili metallici (di Kirshner) o viti cannulate inserite per via percutanea cioe attraverso mini-incisioni chirurgiche.

 

 

La chirurgia “a cielo aperto”: quando e come?

Quando le manovre a cielo chiuso falliscono è necessario eseguire una riduzione “ a cielo aperto “ cioè dobbiamo effettuare una incisione chirurgica più o meno ampia per raggiungere, visualizzare e ridurre e sintetizzare la frattura.

Esistono diverse vie di accesso chirurgiche che ci permettano di esporre al meglio l’astragalo. La scelta dipende dalla sede della frattura, dal tipo di scomposizione, e dalla eventuale concomitante presenza di ferite cutanee o fratture interessanti segmenti ossei confinanti con l’astragalo. 

Talvolta al fine di ottenere una visione più ampia dell'astragalo è prevista la possibiltà di eseguire una osteotomia del malleolo tibiale o peroneale. In altre parole questi vengono "tagliati" con un apposita sega, per essere poi spostati in modo da visualizzare meglio le componenti fratturate dell' astragalo. Ovviamente, dopo la riduzione e la sintesi della frattura astragalica, l'osteotomia malleolare deve essere riparata con un apposita placca o delle viti. Questi mezzi di sintesi quindi andranno ad aggiungersi a quelli impegati per trattare la frattura dell' astragalo e che a seconda dei casi potranno essere rappresentati da viti, fili metallici (fili di Kirshner) e placche.

Abbiamo voluto fare questa breve digressione tecnica in quanto, il paziente deve essere a conoscenza delle possibili e variabili opzioni legate alla chirurgia a cielo aperto di queste lesioni. Infatti, sia  le vie di acesso che i mezzi di sintesi possono modificarsi in rapporto alla " personalità " della frattura. Nessuna frattura è uguale a se stessa e quindi anche le modalità di trattamento possono variare da caso a caso! Proprio per questo motivo l'esperienza e quindi la curva di apprendimento del chirurgo è un elemento fondamentale nel trattamento delle fratture piu complesse dell' astragalo.

Di seguito riportiamo un caso recentemente giunto presso il nostro Ospedale. 
Si tratta di un giovane che a seguito di un incidente stradale ha riportato una frattura del collo dell’ astragalo. Dopo aver eseguito i tradizionali esami radiografici e la TAC la lesione è stata inquadrata come Tipo II secondo la classificazione di Hawkins. Ciò significa che la frattura del collo dell’ astragalo si associava ad una lussazione dell’articolazione sotto-astragalica mentre la caviglia rimaneva allineata. In questo caso non essendo stato possibile ottenere la riduzione manualmente ci si è avvalsi dell’ applicazione di un Fissatore Esterno anche perché le condizioni cutanee non erano ottimali e sconsigliavano una procedura a cielo aperto. Il Fissatore Eserno è un particolare strumento che , dopo l'applicazione di alcuni fili metallici (cosidette Fiches) sulla tibia e sul calcagno, permette di distrarre cioe di allontanare tra di loro questi segmenti ossei facilitando la riduzione e il riposizionamento dei frammenti fratturati del calcagno . Una volta ridotta a " cielo chiuso " la frattura-lussazione e controllata con l’amplificatore di brillanza, la lesione è stata stabilizzata con 2 fili di metallo (Fili di Kirshner) provvisori per ottenere poi una sintesi finale con due viti inserite per via percutanea 

Come comportarsi nel postoperatorio?

Dopo l’intervento chirurgico l’arto deve essere tutelato in un apparecchio gessato con piede a 90 gradi o in un tutore tipo Walker. Se la sintesi è soddisfacente e l’articolazione è stabile il carico può essere concesso dopo 30 – 40 gg altrimenti andrebbe posticipato sulla base dei riscontri radiogafici. 

Quando è indicata l’artroscopia nelle fratture dell’ astragalo?

L' artroscopia, è un piccolo intervento chirurgico, che ci consente di visualizzare un'articolazione grazie ad uno strumento particolare (artroscopio) che viene introdotto attraverso una mini-incisione (" portale "). Questa tecnica mininvasiva permette sia di effettuare diagnosi che operare al tempo stesso molte patologie ortopediche e traumatologiche riducendo al minimo i problemi che si manifestano con la chirurgia convenzionale, come infezioni e dolore. Inoltre, a fronte del minor danno tessutale subito, i pazienti possono essere in grado di iniziare la riabilitazione più rapidamente tornando molto prima al lavoro e all’attività sportiva.

L’artroscopia, da sola o in associazione alla chirurgia tradizionale, puo trovare indicazione anche nella riparazione di alcune fratture dell’ astragalo. I vantaggi sono: una valutazione più precisa della accuratezza della riduzione, la possibilita di individuare eventuali corpi mobili intrarticolari o di mostrare difetti cartilaginei conseguenti al trauma e non evidenziabili con le tradizionali tecniche radiologiche. Inoltre, in alcuni casi questa procedura consente di evitare quelle osteotomie malleolari mediali o laterali talvolta utilizzate per ottenere un'esposizione piùampia dell’ astragalo. Il che significa ridurre il trauma a carico dei tessuti molli che possono contribuire alla necrosi cutanea, all'infezione, all'artrite post-traumatica e alla necrosi avascolare dell' osso (AVN).

E' bene comunque ribadire che l'impiego dell' artroscopia nelle fratture dell' astragalo presenta delle potenziali limitazioni e complicazioni soprattutto se viene utilizzata da sola senza cioè un concomitante approccio a cielo aperto. Ad esempio, i pazienti con gravi alterazioni artrosiche o con pregresse gravi deformità della caviglia non possono beneficiare delle procedure artroscopiche. Inoltre utilizzata da sola puo presentare delle difficolta sia nella riduzione dei frammenti di frattura sia nella loro sintesi. Pertanto, il nostro parere è che essa possa essere utilizzata nel trattamento delle fratture dell’astragalo solo se effettuata da mani esperte e solo per alcuni tipi di fratture: fratture del processo laterale, fratture marginali della testa, fratture del corpo non gravemente scomposte.

Quale è il ruolo della fisioterapia e come deve essere condotta?

Indipendentemente dal fatto che la frattura dell’ astragalo per le sue caratteristiche abbia richiesto un trattamento conservativo o un intervento chirurgico, il trattamento fisioterapico e la riabilitazione motoria sono fondamentali per non rischiare complicanze e ripristinare il corretto movimento di piede e caviglia.

In quest’ottica, anche al fine di prevenire eventuali conseguenze associate ad una postura “ scorretta “, è necessario che il percorso riabilitativo comprenda innanzitutto una serie di esercizi mirati a recuperare il movimento articolare, la propriocettività e la forza muscolare.Tutto cio, ovviamente, nei limiti consentiti dalla stabilità e dal processo di guarigione della frattura che può essere valutato tramite controlli radiografici seriati.

E' sempre consigliabile l'esercizio in acqua che, consentendo lo scarico del peso corporeo, offre maggiori garanzie per una ripresa articolare e muscolare precoce

Per le fasi piu avanzate del trattamento riabilitativo, oggi sono disponibili delle apposite pedane baropodometriche che, con l’ausilio di un computer, permettono di effettuare esercizi personalizzati in grado di accelerare i tempi di recupero migliorando i risultati finali.

Infine, la cosiddetta terapia fisica (Tecarterapia, Laser Yag...) in molti casi rappresenta un ulteriore strumento che possiamo mettere in atto per risolvere problemi infiammatori e favorire la riparazione dei tessuti compromessi dal trauma. Nelle situazioni a rischio di necrosi vascolare (AVN) è indicato l'impiego dei cosidetti Campi Magnetici Pulsati (CEMP) in virtù dei loro potenziali effetti sulla stimolazione dei processi riparativi dell' osso

I tempi della riabilitazione dipendono molto dalla reattività di ogni singolo paziente. In genere quattro-sei mesi sono sufficienti per ristabilirsi completamente. E’ comunque fondamentale che la riabilitazione proceda con regolarità fino alla totale scomparsa del dolore e al completo recupero dell’articolarità, sottoponendosi a controlli periodici per verificare che tutto stia andando per il meglio

“.

CONCLUSIONI

Le fratture di astragalo costituiscono da sempre una sfida per il chirurgo nonostante la loro relativa rarità.

Un preciso inquadramento diagnostico della lesione e un'attenta pianificazione del trattamento chirurgico o conservativo oltre che adeguata riabilitazione sono i punti principali per limitare complicanze ed esiti talvolta molto invalidanti.

 

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Data pubblicazione: 23 novembre 2018

Autore

formica.alessandro
Dr. Alessandro Formica Ortopedico

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1988 presso Università .
Iscritto all'Ordine dei Medici di Roma tesserino n° 41668.

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