Schizofrenia

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

L'articolo illustra le caratteristiche di questa psicosi, dal quadro conclamato alle forme attenuate e più benigne

Cos'è la schizofrenia

La schizofrenia è una condizione mentale a evoluzione remittente, persistente o peggiorativa, con la continuità di alcuni elementi di fondo, che è nelle prime fasi dominata da alcuni sintomi psicotici, quali allucinazioni e deliri (fase "produttiva"), e nelle fasi avanzate da sintomi quali abulia (cioè riduzione della volontà e dell'iniziativa), apatia (cioè assenza di inclinazione o desiderio per alcunché) e appiattimento e indifferenza affettiva (fase di impoverimento, o "deficitaria").

Attualmente la schizofrenia, rispetto alle altre condizioni con sintomi analoghi, si dovrebbe definire per la continuità dei sintomi nel corso dei primi due anni dall'esordio, anche se allo stato attuale è altamente improbabile che nessun intervento terapeutico alteri il decorso spontaneo per tutto questo periodo. Per il significato dei sintomi psicotici si veda l'articolo "psicosi".

Originariamente la schizofrenia aveva il nome di dementia precox (demenza dell'età giovane), cioè era inquadrata come una malattia a evoluzione demenziale, a esordio giovanile con sintomi psicotici dominanti. Si contrapponeva all'altro disturbo principale con sintomi psicotici, la malattia maniaco-depressiva o disturbo bipolare tipo I, proprio per il tipo di decorso, persistente anziché ciclico: lo schizofrenico insomma non torna mai "normale" con l'esaurimento delle fasi acute, ma anzi sviluppa una sorta di "deficienza" crescente nelle funzioni sociali, produttive e di accudimento personale.

In verità, da sempre sono risconosciute diverse forme, che non sono soltanto stadi evolutivi ma varianti: nella forma paranoidea dominano appunto i deliri e le allucinazioni, nella forma disorganizzata la destrutturazione della logica comportamentale, con perdita dell'armonica associazione tra le varie parti della vita psichica (atassia intrapsichica), nella forma catatonica dall'apatia, dall'indifferenza e dall'inibizione prevalente dell'iniziativa.

La psichiatria ha cercato però da sempre di trovare una linea comune, che tracciasse la natura di questa malattia nei suoi elementi essenziali, comuni a tutte le varianti.

Nel concetto di schizoidia, termine che attualmente è mantenuto per indicare una forma di personalità di tipo schizofrenico, e frequente come condizione pre-schizofrenica. Sono descritte personalità paranoidi, schizotipiche e schizoidi che non necessariamente evolveranno in schizofrenia, ma che rappresentano una versione attenuata e più stabile della schizofrenia (in particolare la schizoide).

Queste personalità sono indicate complessivamente come "odd", cioè "strane, bizzarre", nel senso di alienate, socialmente distaccate e non incentrate su emozioni condivise. Il tipo schizoide appare come un tipo isolato, che non si duole per tale situazione, ma anzi percepisce gli altri come un elemento di minaccia o di angoscia, ha interessi scarsi e spesso incomprensibili nel loro costrutto.

Il tipo schizotipico ha una capacità migliore di relazione, ma spesso limitata dalla bizzarria logica del pensiero. Il tipo paranoide può essere un soggetto adattato ma tende a sviluppare convinzioni e sospetti ingiustificati sul piano logico nei riguardi del prossimo, con conseguente ostilità e antagonismo.

 

Diagnosi

In presenza di uno stato psicotico, la schizofrenia quindi non si diagnostica attualmente in base a sintomi specifici, ma in base al decorso. In verità, la maggior parte degli psichiatri utilizza un'impressione basata sul concetto di "sintomi fondamentali" che riguardano la destrutturazione dell'asse affettivo-volitiva, il distacco disinteressato dall'ambiente, i rapporti affettivamente abnormi (giudizio ambivalente nei confronti di uno stesso oggetto senza una posizione affettiva riconoscibile), il carattere inderivabile (allentamento) dei nessi associativi.

In questa visione i sintomi dominanti (allucinazioni e deliri) sono in realtà sintomi accessori e meno specifici, cioè comuni anche ad altre malattie.

Meno utile è invece distinguere tra schizofrenia e psicosi maniacodepressiva in base alle caratteristiche dei sintomi psicotici quali allucinazioni e deliri, perché specialmente in contesti in cui vi sono fattori "nuovi" quali l'uso di sostanze, queste differenze sono meno attendibili.
L'impressione di "schizofrenia" a volte si basa anche su una sensazione nell'interazione con la persona da esaminare, descritta come "dissonanza di atmosfere tra i due interlocutori", cioè un distacco percepito come imbarazzante, un silenzio non interpretabile secondo una posizione affettiva o un atteggiamento, ma come incomunicabilità razionale e impenetrabilità sul piano affettivo.

Lo schizofrenico appare quindi freddo, non "provocabile" nella comunicazione e non in grado di comprendere la posizione affettiva dell'interlocutore (assenza di risonanza emotiva).

 

Prognosi

La prognosi della schizofrenia è di cronicità dei sintomi fondamentali, anche se la gravità dei sintomi accessori, l'evoluzione verso un quadro demenziale pieno sono invece più variabili. Si ritiene oggi che le forme più benigne siano quelle ad esordio "produttivo", a patto che siano trattate tempestivamente. Ancora oggi, il soggetto con storia di schizofrenia pluriennale, anche se contenuto e protetto dai sintomi principali mediante la terapia, è in genere risconoscibile per le conseguenze dei sintomi di fondo, cioè rapporto di isolamento, diffidenza o interazione superficiale con la realtà circostante, con una ridotta autonomia produttiva e di organizzazione della vita quotidiana, con assenza o frammentazione degli scopi e delle iniziative.

 

Terapia

Le terapie disponibili inizialmente sono state messe a punto per risolvere sintomi accessori, che erano anche quelli più problematici (allucinazioni, deliri e aggressività). L'insieme degli effetti collaterali di questi farmaci tuttavia riproduceva in parte i sintomi "negativi" della schizofrenia, cioè quelli evidenti in fase tardiva o nelle forme "deficitarie". L'impatto dei primi farmaci su queste forme, o su persone malate da molti anni, era quindi minore e in parte peggiorativo di alcuni aspetti.

Data pubblicazione: 24 ottobre 2010

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

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