Lo spazio ludico del gioco d'azzardo

albertomigliore
Dr. Alberto Migliore Psicologo, Psicoterapeuta

La civiltà sorge e si sviluppa attorno alla dimensione ludica della vita umana che mentre crea relazioni costruisce anche i presupposti per la crescita interiore e sociale di uomini e donne non condizionati esclusivamente dal lavoro. (Sforza, 2002, pag.1)

La civiltà sorge e si sviluppa attorno alla dimensione ludica della vita umana che mentre crea relazioni costruisce anche i presupposti per la crescita interiore e sociale di uomini e donne non condizionati esclusivamente dal lavoro.

(Sforza, 2002, pag.1)

Introduzione

Il gioco è un’espressione universale che caratterizza i viventi e, in quanto parte della vita collettiva, è un elemento della natura umana, della sua cultura e della sua stessa individualità e potenzialità. Il gioco è un momento essenziale dell’infanzia, è una delle esperienze formative attraverso cui il bambino può misurarsi con i propri limiti, prendendo coscienza delle proprie qualità e potenzialità. (Lavanco, Varveri, Lo Re, 2001). È lo strumento con cui l’individuo esplora e sperimenta, protetto dalla finzione e dalla fantasia, uno spazio dove «ogni bambino impegnato nel giuoco si comporta come un poeta: in quanto si costruisce un suo proprio mondo o, meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del suo mondo» (Freud, 1907, pag. 375 tr. it.).

Il gioco, pur essendo una fase importante dell’infanzia non è solo una prerogativa del bambino. Prendendo l'avvio dal lavoro dell’antropologo Huizinga, autore del celebre Homo ludens (1938), viene reso noto come l’attività ludica sia una delle esperienze fondamentali per l’uomo, che lo attraversa per tutta la sua esistenza. Un evento non più inteso come una forma antagonista del lavoro o un elemento secondario della cultura, ma acquisisce per il soggetto una funzione produttiva e adattiva, assumendo infinite forme e aspetti (biologici, sociali, relazionali, culturali), arrivando così ad affermare come non esista alcun’attività della persona in cui il gioco non svolga, sotto forme diverse, un proprio ruolo.

Dal concetto di Huizinga del gioco come aspetto funzionale nell’uomo ha origine e matura, con questo lavoro, l’interesse per un’area del vasto mondo dell’attività ludica, una categoria che lo studioso Callois (1962) identifica come Alea, giochi basati sul caso, di cui il rappresentante più famoso e contraddittorio appare il gioco d’azzardo. Tale attività è una modalità molto antica che non è stata scalfita dal passare del tempo e delle mode, le prime scommesse, infatti, risalgono agli antichi egizi, trovando nell’epoca attuale, con i mutamenti sociali e culturali, la sua più alta diffusione.

La capacità del gioco d’azzardo di sorvolare le diverse epoche storiche, rimanendo ancora oggi uno dei giochi più diffusi, ci invita alla riflessione su cosa induca il soggetto a scegliere di dedicare parte del suo tempo a questa attività e di quale sua esigenza venga soddisfatta attraverso la sfida della sorte, ad esempio, scommettendo sull’estrazione di numeri o su una corsa di cavalli. Si può così ipotizzare, partendo dalla letteratura sul gioco d’azzardo, come tale pratica, nella sua dimensione sociale o normale (Dickerson, 1984), solleciti nel giocatore una qualche risposta a una serie di bisogni e di funzioni, come la stimolazione emotiva e l’acquisizione di bisogni di ruolo, dando allo stesso tempo l’opportunità di ritrovarsi in uno spazio creativo, con la possibilità, attraverso il processo dell’illusione (in-lusio: essere nel gioco), di allontanarsi dalla quotidianità pur senza perdersi nella sofferenza dei dinamismi patologici. Il gioco d’azzardo può venire così descritto, in quanto attività libera, frivola, slegata dai vincoli della vita quotidiana, come “un’oasi della gioia” (Fink, 1957), un alleggerimento dal peso della realtà, con la speranza più o meno remota di migliorare la propria esistenza.

Ora, quello che per molti si configura come un’attività ricreativa innocua, una forma di svago ampiamente accettata e socialmente approvata, per alcune persone, però, può configurarsi come una malattia psichica grave, nota con il nome di gioco d’azzardo patologico.

Il gioco d’azzardo patologico è un comportamento persistente, ricorrente e maladattivo di gioco d’azzardo che compromette le attività personali, familiari o lavorative caratterizzato da una perdita continua o periodica del controllo dell’impulso al gioco, un coinvolgimento nel gioco globale e totalizzante, un’irrazionalità di pensiero e una perseverazione nel comportamento, nonostante le gravi conseguenze, individuali e sociali (Guerreschi, 2003).

Il gioco può, così, in alcuni casi, trasformarsi da fonte di sensazioni positive in un’attività di cui il giocatore non ha più il controllo. Un continuum che prende avvio da un approccio inoffensivo al gioco d’azzardo, quale spazio ricreativo fondato sul divertimento e sulla socializzazione, sino a giungere ad un atteggiamento abusante dello stesso da parte del soggetto che, in tal modo, compromette totalmente la sua esistenza (Lavanco, Varveri, 2001). Tale passaggio dalla modalità ludica a quella problematica o patologica del gioco d’azzardo trova una sua possibile spiegazione attraverso una prospettiva pluridimensionale, rilevando l’influenza che diversi fattori di rischio, vale a dire fenomeni la cui incidenza può precorrere, mediare o determinare comportamenti problematici o devianti, hanno nel prendere parte al transito verso la dipendenza dal gioco d’azzardo.

Attraverso l’analisi del movimento che porta da una condizione di gioco sociale alla condizione patologica, e con la consapevolezza della complessità che caratterizza questo passaggio con i suoi diversi approcci all’azzardo che si è andata delineando, per questo lavoro, l’idea di un’indagine atta ad accrescere le conoscenze sul gioco d’azzardo sociale, un’attività “popolare” che, seppure per definizione, rientra nella categoria di gioco d’azzardo non è considerato, nell’immaginario collettivo, caratterizzato da giochi “rischiosi” né per l’individuo né per la comunità. Ciò li rende accettati dalla comunità, autorizzati e incentivati, facilmente fruibili e soprattutto in grado di aggregare forme di dipendenza se, nel frattempo, non si progettano interventi di prevenzione atti a limitare l’influenza di fattori di rischio, che possono rendere pericoloso il loro usufruirne (Lavanco, Varveri, 2001). L’indagine nasce dal proposito di ottenere una maggiore comprensione in un ambito non ancora approfonditamente indagato, superando la prevalente attenzione al gioco patologico, con lo scopo di riscontrare un maggiore numero di elementi nella descrizione dell’ampio spettro delle modalità di avvicinamento al gioco sociale, integrando i dati ottenuti con le conoscenze già diffuse di coloro che sono rimasti coinvolti in forme di dipendenza per il gioco d’azzardo.

 

Ricerca

La ricerca, ha coinvolto un campione di 116 giocatori di cui 65,4% uomini e il 34,6% donne, si è svolta entro le numerose ricevitorie del Lotto di Torino, quali bar e tabaccherie, mediante la somministrazione di un protocollo di indagine psicosociale, costituto da trenta domande suddivisibili in quattro sezioni:

1. la prima caratterizzata da una raccolta di notizie socio-anagrafiche (età, genere, stato civile, titolo di studio e professione);

2. la seconda da approfondimenti sul gioco. In questa sezione ritroviamo domande sulla motivazione e sul tipo di gioco esercitato, su cosa sottende la scelta dell’attività dell’azzardo, sulle emozioni provate in alcune sue fasi (durante e dopo vincite o perdite);

3. la terza parte include l’ambiente familiare, il gruppo amicale e la percezione che il soggetto ha del gioco d’azzardo.

4. la quarta parte conclude con il Lie/Bet Screen (Johson, Hammer, 1998) un reattivo che consente in breve tempo di effettuare una diagnosi preliminare di dipendenza dal gioco; utilizzato con l’obiettivo di ottenere un sottogruppo di giocatori sociali meno influenzato da forme di gioco potenzialmente patologiche.

La finalità dell’indagine è stata quella di superare la preminente attenzione sul giocatore patologico verso coloro che fanno della scommessa una forma di passatempo e di divertimento, ossia i giocatori sociali, con l’obiettivo di conseguire una maggiore consapevolezza delle modalità normali o sociali di esercizio del gioco d’azzardo.

Attraverso la frequenza delle scommesse, si sono distinte due tipologie di giocatori sociali: quelli occasionali e quelli costanti, queste due modalità di approccio al gioco d’azzardo sono considerate attività di svago, lontane dalle situazioni di dipendenza che caratterizzano il giocatore patologico. Un terzo sottogruppo di soggetti è stato rilevato attraverso l’utilizzo del Lie/Bet screen (Johnson, Hammer, 1998), un questionario diagnostico per la dipendenza dall’azzardo, inserito con la finalità di rendere più omogenea la categoria dei giocatori sociali, ottenendo in questo modo un campione meno influenzato da condotte di gioco potenzialmente patologiche (Figura 1).

All’interno della tipologia dei giocatori sociali, colui che partecipa alle scommesse in modo occasionale rappresenta la categoria alla quale appartengono la maggioranza della popolazione adulta (Guerreschi, 2000); non vi sono differenze significative di genere in questo sottogruppo: l’attrazione per l’azzardo, richiama indiscriminatamente sia gli uomini sia le donne; l’età media è di 35,3 anni, con un titolo di studio che, nella maggioranza dei casi, è quello della scuola media superiore.

Il giocatore sociale di tipo costante è colui che ha scelto il gioco d’azzardo come la principale fonte di relax e divertimento, collocando pur sempre quest’attività in secondo piano rispetto alla famiglia e al lavoro. Tale soggetto mantiene ancora il pieno controllo sulla sua attività di gioco. Questo tipo di giocatore risulta dall’indagine conoscitiva prevalentemente di sesso maschile, a conferma delle tesi d’impostazione psicosociale che interpretano, con questo risultato, una maggior stigmatizzazione della società verso le donne che scelgono quest’attività come principale forma di passatempo. L’età media dei soggetti che praticano quest’attività in modo costante è di 41,3 anni e in prevalenza hanno un titolo di studio di scuola media superiore.

Il soggetto che si appresta a trascorrere parte del suo tempo nell’esercizio delle attività di scommessa ha la possibilità di scegliere numerose attività d’azzardo, praticabili sia nelle ricevitorie del Lotto (bar, tabaccherie), sia nelle extra ricevitorie (sale Bingo, Casinò, Sale Scommessa).

L’attività ludica nelle ricevitorie del Lotto, che ottiene la maggior preferenza delle scelte da parte di coloro che praticano occasionalmente il gioco d’azzardo, risulta essere la modalità che aggrega le lotterie tradizionali (ad esempio la famosa lotteria di Capodanno) con le lotterie istantanee (ad esempio i Gratta e vinci). Giochi dove in genere non si riscontrano una forma di regolarità nel loro utilizzo, solamente una piccola percentuale del campione totale indica di praticare quasi sempre tale tipo di attività ludica e nessuno con modalità più elevate.

Il gioco del Lotto e quello del SuperEnalotto hanno ottenuto elevate percentuali di preferenza in entrambi i sottogruppi di giocatori sociali, essendo per il giocatore costante, le scommesse con la più alta preferenza di scelta.

I giochi della ricevitoria del Lotto, quali Lotterie e derivati, Totocalcio e Tris, sono, in genere, identificati come forme popolari di gioco che, nonostante rientrino nella categoria di gioco d’azzardo, non sono considerati dall’immaginario collettivo giochi “rischiosi”, né per l’individuo né per la società; attività socialmente accettate, autorizzate ed incentivate, facilmente fruibili, che possono causare forme di dipendenza, se nel frattempo non si incentiva una cultura prosociale della loro fruizione (Lavanco, Varveri, 2001). È quindi necessaria una continua attività di prevenzione e monitoraggio, che impedisca, soprattutto là dove il gioco d’azzardo è più diffuso e incentivato, di perdere quella che Fink (1957) identifica come un’oasi della gioia, intesa come spazio di divertimento e passatempo, riducendo il tutto in un inferno non più gestibile individualmente, qual è la dipendenza.

L’età media d’incontro dei giocatori sociali con il gioco d’azzardo avviene attorno ai 22 anni. La scommessa per alcuni è rimasta una risorsa ludica da cui poter accingere occasionalmente, per altri si può ipotizzare che, in modo immediato, o attraverso un graduale percorso di "appassionamento", sia diventata una delle forme preferite di svago e di divertimento. Si è rilevato come per i giocatori occasionali il primo incontro con il gioco d’azzardo sia avvenuto attraverso attività quali le lotterie e i Gratta e vinci, rispetto a coloro che hanno fatto del gioco il principale oggetto del loro divertimento, che hanno scelto come prima attività d’azzardo il Totocalcio, attività che sta passando attualmente un periodo di crisi, dovuto a giochi che attraggono maggiormente per le ingenti somme messe in palio.

La motivazione principale che sospinge il giocatore a spendere parte del suo tempo, sfidando la sorte, scommettendo sull’esito di una partita di calcio, su dei numeri o su una corsa dei cavalli, è determinata senza differenze tra le due tipologie di giocatori sociali, da un intenso desiderio di miglioramento della propria condizione finanziaria, stimolando, così, attraverso il gioco la speranza e l’illusione di una realtà differente da quella che la quotidianità offre. La scommessa rimane un’attività piacevole per entrambi i sottogruppi di giocatori sociali, acquisendo al terzo posto nella graduatoria delle preferenze, per i giocatori occasionali il ruolo di un esercizio scelto per la sua capacità di distrarre il soggetto dallo stress quotidiano e per i giocatori costanti un’abitudine consolidata da ripetere settimanalmente (Figura 2).

Ogni individuo sceglie liberamente il proprio gioco e il modo di parteciparvi; la preferenza per un gioco rispetto a un altro non avviene in modo casuale: colui che partecipa occasionalmente all’attività d’azzardo, tende, nella scelta, a privilegiare le attività di cui ha una conoscenza di base, ricordando che, in genere, per effettuare una puntata è necessaria la compilazione di schedine, o la conoscenza di alcune regole che permettano di realizzare la giocata. Anche la semplicità di un gioco risulta essere un elemento importante nella sua scelta; questa modalità permette a colui che pratica l’attività d’azzardo di accedere facilmente alla scommessa, agevolandone la partecipazione e, di conseguenza, il divertimento. Infine ritroviamo la posta in palio, un’etichetta decisamente importante nella scelta del tipo di gioco, che acquista, per coloro che lo praticano costantemente, il ruolo di modalità con il maggior numero di scelte, di cui fa seguito la semplicità e la conoscenza che si ha di un’attività ludica.

Il gioco d’azzardo è un’attività stimolante, permette a colui che lo esercita di sperimentare delle reazioni emotive, esperienze vissute in prevalenza nei due momenti costitutivi dell’attività di scommessa, ossia nel tempo della giocata e nel conseguente esito, la vincita o la perdita (Figura 3). La scommessa fa vivere delle emozioni più o meno intense, secondo il momento di gioco e del risultato, una serie di sensazioni che variano dagli stati d’umore positivi come la felicità e l’eccitamento a quelli negativi come la paura, la rabbia e la tristezza, diventando, per chi ne usufruisce, un’attività stimolante che fa sentire vivi e in sintonia con il mondo (Kusyszyn, 1984).

Dai due possibili risultati ottenibili con l’esercizio del gioco d’azzardo, la sconfitta è la più comune conseguenza riscontrabile con quest’attività, con il 93,2% del campione totale che ha dichiarato di ottenere nel gioco quasi sempre o sempre, come esito la perdita. Tale risultato, in genere, non va a dissuadere il soggetto dal continuare a scommettere, un atteggiamento che può essere interpretato come la conseguenza di un’attività ritenuta piacevole e rilevante di per sé, dove l’importante è il partecipare alla scommessa beneficiando del tempo donato per distrarsi dalla consuetudine della vita quotidiana.

Si è osservato, infine, il ruolo della fortuna nell’attività d’azzardo; Callois (1958) nella sua classificazione dei giochi, identifica i giochi d’azzardo, come attività basate sul caso, dove l’individuo che li esercita assume un ruolo di passività e la sua soggettività scompare dinanzi alla “cecità della sorte”. Nonostante i giocatori nell’indagine evidenzino l’importanza della fortuna nel gioco, si è allo stesso tempo rilevato l’utilizzo di stratagemmi, ossia di sistemi irrazionali che aiutino a scegliere, a orientarsi e a prendere decisioni nella casualità dell’azzardo. Una o più strategie che, in modo illusorio, danno l’idea, a coloro che li utilizzano, di essere artefici, con la propria abilità, del risultato dell’attività aleatoria; tra i metodi che hanno ottenuto una maggior preferenza ritroviamo i numeri ritardatari, i sogni premonitori e la smorfia napoletana.

Nonostante l’utilizzo di questi sistemi sia comune tra i giocatori, diventano, in alcuni casi, strategie pervasive influenti nella dinamica della dipendenza (Croce 2001).

Le informazioni ottenute dall’indagine hanno permesso di ampliare le conoscenze di coloro che fanno della scommessa un passatempo, integrandole con quelle già diffuse sul giocatore patologico. Il risultato è stato quello di conseguire un’immagine più chiara delle varie forme di avvicinamento al gioco d’azzardo.

Il gioco d’azzardo, come sappiamo, è un’attività multiforme che detiene diverse modalità di utilizzo, da quella sociale, o normale, a quella problematica, e/o patologica. Lo studio attraverso i vari approcci è sicuramente un punto di partenza importante se la finalità è quella di comprendere la complessità di un’attività altamente diffusa quanto potenzialmente problematica, restituendo al giocatore uno spazio ludico libero da configurazioni dolorose e di sofferenza che contraddistinguono la dipendenza.

 

Conclusione

Attraverso questo studio si è voluto affrontare il problema del gioco d’azzardo, da punti d’osservazione differenti, sapendo che il passaggio dalla condizione di gioco normale, o sociale, a una forma patologica, dove il giocatore non ha più il controllo, richiede la concomitanza di più fattori che, nella loro interazione dinamica, determinano una maggior probabilità d’incontro con questa patologia. Si può così rilevare come il gioco d’azzardo non sia problematico di per sé, ma, proprio come per altri comportamenti, possa presentare, in alcune condizioni, delle zone d’ombra, come è nel caso della dipendenza da quest’attività.

Nasce, con questo lavoro, l’idea di un’indagine atta ad ottenere informazioni sulle modalità popolari di gioco, quelle che Dickerson (1984), per primo, identifica come social gambler, giocatori che fanno della scommessa un passatempo, una forma di divertimento, attività che, seppur incentivate e socialmente accettate, possono portare, in alcuni casi, se non si interviene precocemente sui fattori di rischio, a forme di dipendenza per quest’attività.

Questa tipologia di giocatori, come si è rilevato dalla ricerca, si avvicina all’azzardo, con modalità diverse; alcuni soggetti praticano quest’attività abitualmente, altri molto più raramente; per entrambi, però, la scommessa rimane un’attività di svago, che dà al soggetto la possibilità di distrarsi dalla consueta quotidianità, con in più la speranza di migliorare la propria condizione finanziaria. Il gioco d’azzardo, quando non è una costrizione psichica, dà l’opportunità a chi lo pratica di vivere un’illusione (in-lusio: essere nel gioco), uno “spazio ludico” (Sforza, 2002) dove poter esprimere le proprie fantasie di cambiamento, con la speranza di realizzare le personali aspirazioni e i propri progetti.

Un pregiudizio ancora diffuso, che va sfatato, si riferisce al concetto del gioco d’azzardo come sinonimo di valori negativi e distruttivi, più in genere come comportamento pericoloso. Diversamente, la scommessa, nella maggioranza dei casi, è per il soggetto che la pratica, uno spazio ludico importante che nulla a che vedere con la dipendenza e la patologia, dando l’opportunità di divertirsi e di socializzare, allontanandosi, per un breve tempo, dai miti produttivi della nostra società. Zola (1964) evidenzia come quest’attività sia una valvola di sfogo dalla frustrazione, offrendo la possibilità di condividere le mete di successo e i valori della classe media, altrimenti, per volontà o incapacità, irraggiungibili.

Il gioco d’azzardo può risultare, entro precisi confini, una risorsa per la nostra comunità, ma deve acquisire un ruolo ben definito; importanti sono sia le campagne preventive e informative, sia gli interventi psicologici non solo laddove la patologia è presente, ma prevalentemente come interventi atti nel promuovere quello che Lavanco e Varveri (2001) indicano come “gioco responsabile”. È quindi necessaria supportare una cultura del gioco, che faciliti la comprensione di quei fattori di rischio che incidono incrementando forme d’attività d’azzardo indicate come problematiche o patologiche.

Si può, così, concludere facendo riferimento alla proposta dell’ALEA (l’Associazione italiana per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio) di diffondere una serie di azioni nel territorio, che tuteli il soggetto dai possibili pericoli dell’esercizio di quest’attività.

1. Interventi da parte delle Autorità Governative affinché siano riconosciuti i pericoli collegati al diffondersi di queste attività in fasce di età adolescenziali.

2. Favorire un insieme di azioni propositive tese a:

• promuovere una cultura del gioco che rilevi le potenzialità, ma anche i fattori di rischio, attraverso campagne di informazione, sensibilizzazione e prevenzione da comportamenti inadeguati;

• realizzare una serie di servizi in ambito privato e sociale, con professionisti in grado di contenere aspetti problematici già evidenziati e che potrebbero ulteriormente crescere in prospettiva;

• stimolare iniziative di aggiornamento destinate agli operatori delle agenzie di gioco (Casinò, tabaccherie, bar, sale scommessa etc.) con la finalità che quest’ultimi possano intervenire in prima istanza nel contenimento delle forme autodistruttive di gioco, attraverso segnalazioni agli operatori competenti e/o attraverso l’esonero o la limitazione all’accesso di alcuni clienti. (Zerbetto, 2001)

Questi punti sono solo alcune possibili azioni che rientrano nell’idea del gioco responsabile, ossia la proposta di un azzardo dove se, da una parte, si valorizzano gli aspetti ludici e socializzanti, dall’altra si interviene attraverso un contenimento dei suoi rischi potenziali. Quello che si propone è, quindi, un confronto esplicito, consapevole, con questa attività, al fine di ottenere una maggiore conoscenza e, di conseguenza, gestione di un comportamento o inclinazione che, come sappiamo, esiste con l’essere umano; lo stesso Huizinga (1938) affermava che non è che l’uomo gioca, e che noi siamo uomini in quanto giochiamo.

 

Riferimenti bibliografici

  1. Blaszczynski A.P., (2000), Pathways to Pathological Gamblers: Identifying Typologies, e Gambling, in The Electronic Journal of Gambling Issues.
  2. Callois R., (1958), I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano, 1981.(1962), Man, Play and Games, Thames & Hudson, London.
  3. Clerici M., Milesi A., Gioco d’azzardo, comorbidità e strutture di personalità, in Croce M., Zerbetto R., (a cura di), Il gioco e l’azzardo, Franco Angeli, Milano, 2001.
  4. Croce M., Per una nuova teoria e funzione sociale del gioco d’azzardo, in Lavanco G., (a cura di), Psicologia del gioco d’azzardo, McGraw-Hill, Milano, 2001.
  5. Vizio, malattia, business? Storia dei paradigmi sul gioco d’azzardo, in Croce M., Zerbetto R., (a cura di), Il gioco e l’azzardo, Franco Angeli, Milano, 2001.
  6. Dickerson M.G., (1984), La dipendenza da gioco. Come diventare giocatori d’azzardo e come smettere, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1993.
  7. Fink E., (1957), Oasi della gioia. Idee per una ontologia del gioco, Edizioni 10/17, Salerno, 1986.
  8. Freud S., (1907), Il poeta e la fantasia, in Opere, vol. V, Boringhieri, Torino, 1977.
  9. Guerreschi C., Giocati dal gioco, San Paolo, Milano, 2000.
  10. Il gioco d’azzardo patologico, Kappa, Roma, 2003.
  11. Huizinga J., (1938), Homo ludens, Saggiatore, Torino, 1972.
  12. Johnson E.E., Hammer E., (1998), The Lie/Bet Questionnaire for Screening Pathological Gamblers: a Follow Up Study, in Psychological Reports, n° 83.
  13. Kusyszyn I., (1984), The Psychology of Gambling, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, n° 474.
  14. Lavanco G., La psicologia della scommessa. Suggestioni sul gioco d’azzardo, in Capitanucci D., Marino V., (a cura di), La vita in gioco?, Franco Angeli, Milano, 2002.
  15. Varveri L., Il giocatore sociale. L’intervento di psicologia di comunità, in Lavanco G., (a cura di), Psicologia del gioco d’azzardo, McGraw-Hill, Milano, 2001.
  16. - Dal gioco sociale al gioco problematico: percorsi per un intervento di comunità, in Capitanucci D., Marino V., (a cura di), La vita in gioco?, Franco Angeli, Milano, 2002.
  17. - Lo Re T., Un inquadramento generale. Minima metodologica, in Lavanco G., (a cura di), Psicologia del gioco d’azzardo, McGraw-Hill, Milano, 2001.
  18. Zerbetto R., Dall’intervento terapeutico ad una politica di gioco responsabile, in Lavanco G., (a cura di), Psicologia del gioco d’azzardo, McGraw-Hill, Milano, 2001.
  19. Zola I.K., (1964), Observations on Gambling in a Lower-Class Setting, in Becker H.S., (a cura di), The Other Side. Perspectives on Deviance, The Free Press, Glencoe.

 

Sitografia

  1. http://gambling.it
  2. Sforza M.G., Una strada che conduce al fondo, in: http://www.stpauls.it/fa_oggi/0204f_o/0204fo08.htm, 2002.

 

Data pubblicazione: 24 luglio 2012

Autore

albertomigliore
Dr. Alberto Migliore Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2003 presso Università degli studi Torino.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Piemonte tesserino n° 6246.

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