La relazione genitoriale con l’adolescente: “Non lo riconosco più!”

alessandra.varotto
Dr.ssa Alessandra Varotto Psicologo, Psicoterapeuta

Un figlio adolescente vuole fare da sé e sente che è arrivato il momento di gestire i propri spazi in autonomia. Ciò non significa che il genitore deve abbandonare il ruolo, vuoldire soltanto limitarsi ad osservare l’adolescente che cambia, scegliendo di stare un passo “dietro” la scena.

Introduzione

Con l’adolescenza, il figlio bambino “scompare” prendendo le distanze dal rapporto con i genitori.
I profondi cambiamenti che ne derivano, portano spesso mamma e papà ad essere relegati in “panchina”.

Un figlio adolescente vuole fare da sé e sente che è arrivato il momento di poter gestire le relazioni della propria vita. Ciò non significa abbandonare il proprio ruolo di genitore ma vuoldire limitarsi ad osservare l’adolescente che cambia, scegliendo di stare un passo “dietro” la scena familiare.

 

La sviluppo dell’identità dell’adolescente

Secondo la teoria degli stadi esistenziali postulata da Erikson, l’adolescenza corrisponde allo stadio della “crisi d’identità”, la cui soluzione sta nell’abbandonare l’identità della fanciullezza e nel costruirne una nuova e più adeguata per l’ingresso nell’età adulta. La soluzione buona di questa crisi, secondo lo stesso autore, porta ad un’identità positiva e capace di perseguire finalità precise per sé e per la società.

Molti psicologi dello sviluppo non concordano con l’idea di Erikson che la ricerca di una propria identità implichi necessariamente una “crisi”, ma quasi tutti sono d’accordo nel ritenere che l’adolescenza è un periodo in cui i giovani adottano, consciamente o no, regole di comportamento tali da permettere il realizzarsi di questo passaggio.

L’acquisizione dell’identità implica un conflitto assai rilevante per la persona e si realizza nell’adolescenza e nella giovinezza, periodo in cui la dotazione biologica dell’individuo ed i processi intellettuali devono incontrare le attese sociali per una dimostrazione adeguata di funzionamento adulto. L’identità dipende dal passato e determina il futuro, è radicata nelle esperienze dell’infanzia e serve da base su cui incontrare poi la vita futura ed i compiti vitali connessi.

Allo strutturarsi dell’identità dell’adolescente contribuiscono oltre che la sua dotazione biologica, i vari ambienti di vita di appartenenza (la famiglia, i coetanei, la scuola..) e, in ultima analisi, l' insieme dei valori culturali che sono veicolati da questi microsistemi e che contribuiscono nel loro insieme a dare significato all’esistenza unica di quel ragazzo (macrosistema). In particolar modo, le relazioni con i coetanei diventano le più importanti in questo periodo e rispondono all’esigenza di autonomia. I contesti extrafamiliari consentono di “interpretare” ruoli diversi da quelli da sempre “recitati” in famiglia, ma anche di scoprire aspetti di sé che non avevano ancora avuto modo di emergere.

Il passaggio che porta alla formazione della nuova identità è esaltante ma nello stesso tempo doloroso perché il ragazzo deve scegliere una prospettiva esistenziale unica, sapendo trovare una sintesi armonica e originale dei vari aspetti di sé. Chi ha superato la crisi in modo positivo (con le parole di Erikson), ha messo in atto un’esplorazione efficace delle possibilità presenti nei diversi ambienti vitali ed ha assunto in loro impegni seri. In altre parole, è stato capace di prendere una direzione ferma sugli impegni e di rinunciare ad altre alternative di vita possibili e che sentiva altrettanto gratificanti.

 

La relazione genitoriale

”Ieri ho cercato veramente di comunicare con mia figlia. Le ho detto che è importante che lei si confidi con me e mi parli delle sue frequentazioni".
Lei mi ha risposto "Mamma, ti prego, smettila di dirmi sempre quello che devo fare!".
Questa storiella, molto frequente tra i genitori di adolescenti, può fare il paio con molte altre attribuite al figlio adolescente.

Un ragazzo non sta più alle regole perché vuole imparare da sé e, soprattutto, vuole diventare sé stesso e non un semplice prolungamento delle aspettative di mamma e papà. E, spesso, l’utilizzo di parole inopportune ed emotivamente forti, serve a demarcare i confini tra le parti del nucleo famigliare e a decretare il passaggio ad una nuova stagione di vita connessa all’adultità del figlio. Può anche accadere che figli troppo amati si trovino costretti ad allontanarsi dai genitori in modo plateale e violento, proprio perché sussiste il problema della giusta distanza tra le diverse generazioni.

Tuttavia la ribellione adolescenziale solo di rado assume il carattere di un rifiuto totale contro la loro autorità. Il rifiuto riguarda soprattutto i loro tentativi di controllare ciò che i ragazzi fanno.
Nel momento in cui i figli cominciano a chiedere sempre più di essere trattati come degli adulti, i genitori possono essere presi dal timore che qualcosa di brutto possa accadere e la soluzione più logica per loro è quella di aumentare i controlli invece di favorire l’autonomia del ragazzo. Ne consegue che l’adolescenza è spesso segnata da una forte tensione tra le genitori e figli. Tale tensione è strettamente legata ai cambiamenti psicofisici e può oscillare nel tempo in funzione della comparsa precoce o tardiva della pubertà.

 

Che cosa succede alle mamme

Per la donna, l’adolescenza di un figlio, può essere vissuta con tristezza e smarrimento. Fino il giorno prima la mamma era stata una sorta di guida, che tutto faceva e tutto sapeva. Aveva, infatti, tenuto saldo il timone della nave che conduceva il viaggio del figlio fino all’adultità. Ora, che quel traguardo si avvicina sempre più e la situazione sembra metterla in crisi.

Come riuscire, allora, a rinunciare al quel ruolo di mamma nei confronti di un adolescente che si affaccia al mondo e potrebbe mettersi in pericolo e conoscere persone che non sanno volergli bene?
Sono queste le perplessità di molte mamme che giungono in consultazione alla ricerca di un sostegno psicologico alle loro competenze genitoriali. Sono mamme in crisi perché rinunciare a quel potere esclusivo sul figlio che, fino il giorno prima, consentiva loro di accudirlo e coccolarlo, anche fisicamente, appare essere difficile.

Durante l’infanzia, la relazione col figlio era stata così intensa e profonda tanto da farle ritenere persone capaci, come se avessero una sorta di password tale da potersi garantire un rapporto privilegiato con lui sia sul piano fisico e che sul loro mondo interiore. D’altra parte, gli studi di psicologia infantile ci raccontano che lo sviluppo cognitivo-emotivo di un figlio è tanto più armonico, quanto più la diade madre-bambino riesce a creare quello stato di sintonizzazione emotiva tale per cui entrambi sentono e condividono una realtà psichica unica e integrata. Di tale legame abbiamo riscontro anche dagli studi delle neuroscienze che evidenziano come la sincronia di attivazione dei neuroni mirrors sia collegata con la dimensione dell'empatia.

Tuttavia, in adolescenza, questa relazione intensa, costruita in età precoce, sembra, soprattutto per il figlio, divenire più un peso che una risorsa. Molti adolescenti si sentono invasi dal controllo materno e dalle operazioni di vicinanza nei loro riguardi. Capita a volte che le mamme entrano nelle camere dei figli e si mettono a rovistare tra il guardaroba o nei diari di scuola, alla ricerca di un po’ di vicinanza oppure per ritrovare, la complicità perduta con il loro “bambino”.

E’ come se volessero riappropriarsi di un'affinità perduta con un figlio, ormai giovincello che, diversamente,  le sta imponendo di cambiare le regole di relazione.
Aiutare una mamma che soffre per la separazione che la crescita di un figlio, significa aiutarla a riconoscere ciò che lei non riesce a vedere nei comportamenti di distanziamento di un figlio. Travolta da un profondo senso di smarrimento, la madre del ragazzo dovrebbe essere accompagnata a comprendere che ciò con cui ha a che fare non è la “perdita dell’amore” del figlio ma il passaggio ad una fisiologica maturazione che riguarda il ciclo di vita della famiglia.

 

L’aiuto dei padri

Il ruolo del padre, in senso tradizionale, è quello di favorire la crescita dei figli, provvedendo alla sussistenza e garantendo, al tempo stesso, un’adeguata preparazione al loro ingresso in società. In tal senso, l’adolescenza di un figlio potrebbe accompagnarsi ad una fase di criticità anche nei confronti dell’autorità paterna. Le problematiche concernenti la conquista, da parte del figlio, di una progressiva autonomia e quelle riguardanti lo sviluppo sociale (scelta delle amicizie, delle compagnie, delle attività  extrascolastiche) sono anche per il papà delle autentiche “sfide” educative.

Come conciliare, allora, l’opportunità di un controllo relativamente alle compagnie frequentate dai figli e la necessità di non essere invadenti o troppo presuntuosi nei loro confronti? Forse l’atteggiamento più corretto, di fronte ad un papà che giunge in consultazione preoccupato per un figlio che non riconosce più, sta proprio nel rassicurarlo favorendo in lui l’espressione della curiosità per le nuove frequentazioni e sapendogli restituire un peso adeguato alla preoccupazione nei confronti di un figlio che si sta pian piano emancipando. Certamente, ciò è possibile se il papà accetta che non solo per il figlio, ma anche per lui è in atto questo processo d’automatizzazione.

A livello psicologico questo rito d’iniziazione al “distacco” potrebbe far sentire entrambi i genitori non tanto “più liberi” quanto “più soli”. Saper accettare un figlio che entra in adolescenza significa riuscire anche a vedere serenamente quali sono i suoi bisogni. In tal senso, papà e mamma non perdono il loro ruolo ascritto per tradizione; essi continuano ad adoperarsi per garantire che il percorso d’esplorazione del mondo da parte del figlio avvenga in modo salutare e corretto per la sua crescita. In altre parole, tanto i papà quanto le mamme vanno educati ad un atteggiamento d’attesa, che permetta loro una maggiore disponibilità e fiducia verso  l'adolescente anche dopo eventuali momenti tumultuosi, una “riconciliazione”.

 

Conclusione

L'articolo evidenzia come l' adolescenza di un membro della famiglia mette alla prova la capacità dell'intera organizzazione familiare di adattarsi. A differenti livelli, il compito comune delle diverse generazioni (figli e genitori) è quello di progredire verso una sempre maggiore differenziazione e una sempre più profonda individuazione, adeguando a questo fine i tipi di legami che le uniscono.

 

Bibliografia

 

  • Erikson E. H. (1968), Identity: Youth and crisis, Norton Company.
  • Mahler M. S., Fine F., Bergman A. (1978), La nascita psicologica del bambino, Boringhieri.
  • Minuchin S. (1974), Famiglie e terapia della famiglia. Astrolabio, Roma.
  • Pellai A. (2009), Questa casa non è un albergo. Adolescenti: istruzioni per l’uso, Kowalski Editore, Milano.
  • Pellai A. (2010), Nella pancia del papà. Padre e figlio: una relazione emotiva, Franco Angeli.
  • Rizzato M. e Donelli D. (2011), Io sono il tuo specchio. Neuroni specchio ed empatia, Edizioni Amrita.

 

 

Data pubblicazione: 17 ottobre 2012

Autore

alessandra.varotto
Dr.ssa Alessandra Varotto Psicologo, Psicoterapeuta

Laureata in Psicologia nel 2009 presso UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PADOVA.
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Veneto tesserino n° 7550.

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