Sul divano dallo psicoanalista

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Dr. Olivier Carlassara Psicologo, Psicoterapeuta

Il divano (o lettino) è il simbolo della psicoanalisi. Ancora oggi chi va dallo psicoanalista è invitato ad accomodarsi su un divano? E quale sarebbe la sua funzione?

Introduzione

Nell’immaginario collettivo lo psicoanalista è solitamente rappresentato come seduto dietro ad un divano dove ha fatto accomodare il suo paziente. Il divano è diventato il simbolo di questa particolare cura inventata da Freud: la psicoanalisi. Spesso infatti mi chiedono se è proprio vero che lo psicoanalista mette il suo paziente sul divano. E soprattutto: a cosa serve? E’ questa domanda che mi ha spinto a scrivere questo piccolo testo per spiegare l’origine e la funzione del divano.

Freud lo ha utilizzato e ha continuato ad utilizzarlo attraverso tutti i suoi sviluppi clinici e teorici, per dei motivi ben precisi. E anche oggi molti psicoanalisti lo usano, ma non mettono tutti i loro pazienti sul divano e in ogni caso non da subito. Tutto questo merita un approfondimento, perché ci illumina su alcuni aspetti fondamentali della psicoanalisi che sono importanti per chi la pratica e per chi è interessato a intraprendere un proprio percorso di psicoanalisi.

 

Origine

L’utilizzo del divano da parte di Freud trova la sua origine nell’ipnosi. All’inizio della sua pratica clinica egli usava l’ipnosi e per questo c’era bisogno di un divano. Ben presto però questa pratica dimostrava i suoi limiti. I risultati che Freud otteneva con i suoi pazienti non erano durevoli. E non tutti i pazienti erano ipnotizzabili. Nel suo famoso saggio, Scritti sull’isteria, Freud descrive il caso clinico di Lucy R., che egli non riusciva ad ipnotizzare, per cui le chiedeva semplicemente di mettersi in posizione supina e chiudere gli occhi per potersi concentrare bene sui propri pensieri. Freud cercava soprattutto una cosa: facilitare il ritrovamento di memorie dimenticate. Dopo aver abbandonato l'ipnosi, Freud si pone il problema di come arrivare a ricordare comunque le cose dimenticate all'origine dei sintomi dei suoi pazienti. Nello stesso scritto si vede nascere così la ‘regola fondamentale della psicoanalisi’: l’associazione libera. Ciò consiste nel chiedere al paziente di dire tutto quello che gli passa per la testa, senza nessun tipo di censura, anche se sono cose che sembrano banali, non coerenti e… soprattutto quando il paziente preferirebbe non pensare e non dire ciò che gli viene in mente! Il divano è una rimanenza dell’ipnosi, mantenuta per un motivo preciso: permettere al paziente di stare rilassato e di concentrarsi bene sui propri pensieri, per facilitare l’associazione libera.

 

Perché l’associazione libera?

Una psicoanalisi inizia quando una persona soffre. Soffre del fatto che nella sua vita si ripetono sempre gli stessi fallimenti, che non riesce ad avere delle relazioni soddisfacenti con le altre persone, soffre del fatto che si fa del male da solo anche se non vorrebbe, ecc. ecc. Soffre e intuisce che la sua sofferenza abbia a che fare in qualche modo con la sua storia, con il modo in cui è strutturata la sua personalità, con il suo modo specifico di essere. Intuisce ma non capisce bene. E trova una persona che sembra in grado di aiutare a capirci qualcosa, un analista di cui si fida. E’ qui che può aver senso un percorso analitico in cui, partendo dai sintomi si inizia l’associazione libera, e si scopre dove porta. E dove ci porta? Non lo possiamo sapere in anticipo. Si può dire così: tramite la cura psicoanalitica non sappiamo in anticipo in quale direzione andrà il cambiamento della persona, ma siamo sicuri che qualcosa cambierà e che cambierà nella direzione di ciò che la persona vuole.

 

Tecnica e transfert

Ci poniamo quindi la questione della funzione del divano. E’ una questione di setting, dunque una questione tecnica. In generale Freud era molto titubante a dare delle indicazioni tecniche troppo precise, perché i fattori in gioco in ogni singola analisi sono così complessi e variabili da rendere impossibili e controindicate regole invariabili, che varrebbero per tutti. Questo porterà Freud a dire, in un modo molto bello, “bisogna prendere ogni caso come se fosse il primo”! Ogni volta bisogna reinventarsi la cura psicoanalitica a seconda della persona che si ha davanti! Questo è il lavoro caso per caso. E vale anche per l’analista che ha molta esperienza.

Questo ci porta ad uno dei fondamenti della psicoanalisi che riguarda la relazione tra paziente e psicoanalista: il transfert. Il transfert è un concetto complesso ed è impossibile discuterlo come meriterebbe in questo breve articolo. Ma il punto fondamentale è questo: è la relazione tra paziente e terapeuta a fare la differenza e tutto quello che conta nella psicoanalisi e nella psicoterapia si gioca nel transfert. Il setting e la tecnica, anche il divano, prendono senso solo all’interno della relazione paziente-analista.

 

Lo sguardo

Per Jacques Lacan [1] un aspetto importante legato all’uso del divano riguarda lo sguardo. La posizione sul divano del paziente e l’analista seduto dietro, dice Lacan, elimina lo sguardo. Cosa vuol dire? Perché lo sguardo tra paziente e psicoanalista non ci potrebbe essere? Si tratta, come dice qualcuno, del fatto che non è piacevole per uno psicoanalista essere guardato tutto il giorno dai suoi pazienti?

No. Quando si elimina lo sguardo si lascia spazio alla parola. Lo sguardo è legato al registro dell’Immaginario, il lavoro analitico invece riguarda il piano della parola, il Simbolico (per poi arrivare anche a quello che Lacan chiama il Reale, ma questo ci porterebbe troppo lontani). Bisogna concentrarsi sul gioco del Simbolico, del significante e eliminare il più possibile ciò che ce ne distoglie.

Lo sguardo tra paziente e analista è una fonte importante di elementi che possono disturbare il lavoro. Lo sguardo viene spesso adoperato dal paziente per interrompere il racconto della sua associazione libera, soprattutto nei momenti in cui sorgono pensieri spiacevoli, di cui il paziente stesso non vuole sapere niente. Prendiamo l’esempio del famoso caso clinico di Freud: l’Uomo dei Topi. Questo paziente racconta i suoi pensieri ossessivi. E’ martoriato dall’idea che capiti qualche cosa di grave al padre e alla fidanzata. Quando arriva al punto in cui gli viene in mente il tipo di tortura che nei suoi pensieri ossessivi subiscono il padre e la fidanzata, il paziente si alza dal divano, si gira verso Freud (quindi ristabilisce lo sguardo!) e supplica Freud di non obbligarlo a dire quello che stava pensando. Il divano con l’eliminazione dello sguardo serve sostanzialmente a togliere delle armi alla resistenza contro la cura analitica.

 

I colloqui preliminari

Come dicevo nell’introduzione: lo psicoanalista non mette da subito il suo paziente sul divano. Ci sono prima un certo numero di sedute preliminari. Lacan più di altri ne sottolinea l’importanza. Anche qui è fondamentale la questione del transfert. Per poter concludere i colloqui preliminari e passare alla fase successiva bisogna verificare almeno due cose. La prima è che il paziente deve percepire una propria implicazione soggettiva nella sua sofferenza, vale a dire: i suoi problemi non gli capitano per sfortuna o per caso, la persona stessa è implicata - inconsciamente - in quello che le succede. E' fondamentale che la persona se ne renda conto prima di poter iniziare la psicoanalisi. Il secondo punto è che bisogna porsi la domanda del transfert. C’è il transfert? E in che modo si è impostato il transfert in questa cura con questo paziente e questo analista? Si è creato un rapporto analista-paziente tale da aver suscitato fiducia nel paziente che questo analista possa aiutarlo a capire qualcosa della sua situazione? E’ in funzione di queste domande (ma non solo) che ci si pone la questione del passaggio alla fase successiva della cura analitica e quindi eventualmente anche del passaggio al divano.

 

Conclusione

Come avevo già detto: non tutti i pazienti dello psicoanalista ‘finiscono’ sul divano. Ci sono delle psicopatologie più gravi (psicosi) e certi tipi di strutture di personalità per i quali il divano è sconsigliato. E poi ci sono i pazienti che, per delle loro particolarità, preferiscono NON andare sul divano e lavorare in sedute ‘faccia a faccia’, dove riescono meglio nel lavoro analitico, nell’associazione libera. Faccio un esempio, anche se poi nella realtà ci sono una infinità di situazioni tra loro molto diverse. Capita a volte che una persona sia troppo angosciata all'idea di essere sdraiata su un divano, perché teme di perdere ogni controllo sulla situazione. Chi è troppo angosciato non riesce a concentrarsi sul flusso dei suoi pensieri. Allora è meglio, almeno per un primo periodo, non insistere troppo. Tuttavia è importante valutare che il 'rifiuto' del divano non sia un modo per evitare di fare il lavoro analitico.

Alla luce di quello che abbiamo sostenuto in questo articolo, ossia che la tecnica deve servire a facilitare il lavoro analitico e che bisogna reinventare per ogni singolo paziente la cura, possiamo allora dire ai pazienti che lavorano meglio senza il divano: alzatevi e parlate!

Ma in ultima analisi non è poi così importante per la cura psicoanalitica mettersi o non mettersi sul divano. E’ tutto ciò che comporta il passaggio al divano che conta. E in fondo è un lavoro che si può fare anche senza divano.

Mi viene in mente una notizia pubblicata ne La Repubblica del 6 ottobre 1991, quando una figlia di Lacan, Sybille, decise di vendere all’asta il famoso divano psicanalitico di suo padre, morto nel 1981. Sybille, per spiegare questa sua decisione, disse: “Per me mio padre non sta negli oggetti”. Suo padre non stava nel suo divano. Per il nostro obiettivo, possiamo cambiare questa affermazione facendone un detto: “L’analista non sta nel suo divano”.

 

Bibliografia

- Freud, S. Studi sull’isteria (1895) in Opere di Sigmund Freud Vol. 1 – Bollati Boringhieri

- Freud, S. Il metodo psicoanalitico freudiano (1904) in Opere di Sigmund Freud Vol. 3 – Bollati Boringhieri

- Freud, S. Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (Caso clinico dell’uomo dei topi) (1909) in Opere di Sigmund Freud Vol. 6 – Bollati Boringhieri

- Freud, S. Psicoanalisi “selvaggia” (1910) in Opere di Sigmund Freud Vol. 6 – Bollati Boringhieri

- Lacan, J. Scritti (1966) Einaudi.

- Divano di Lacan all’asta a Parigi. In: La Repubblica, 6 ottobre 1991.

 


[1] Jacques Lacan (1901-1981) era uno psicoanalista francese che ha fatto uno straordinario lavoro di rilettura e rielaborazione dell’opera di Freud.

Data pubblicazione: 25 febbraio 2013

Autore

oliviercarlassara
Dr. Olivier Carlassara Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2000 presso Università di Ghent (Belgio).
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Emilia Romagna tesserino n° 5765.

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