Frustrazione: quali cause e quali strategie

francesco.mori
Dr. Francesco Mori Psicologo, Psicoterapeuta

Viene affrontato il concetto di frustrazione, specificandone le cause, le reazioni più comuni e i "pericoli" di una risposta aggressiva

Si definisce frustrazione la situazione in cui viene a trovarsi una persona quando è ostacolata, temporaneamente o in modo permanente, rispetto alla possibilità di soddisfare i suoi bisogni. L’incontrare ostacoli al soddisfacimento dei bisogni è da considerarsi la normalità nel corso dell’esistenza. Il sano sviluppo psicologico del bambino è strettamente legato ad un’alternanza di frustrazione e gratificazione. In genere è compito dei genitori saper somministrare  la frustrazione in modo che risulti tollerabile.

La madre, con la quale il bambino instaura la prima fondamentale relazione sociale, costituisce nella fase iniziale dell’esistenza la fonte principale da cui proviene la frustrazione (oltre che la soddisfazione) dei bisogni. E’ necessario per una buona, futura, adattabilità del nascituro che essa non raggiunga livelli elevati. Allo stesso tempo anche uno stile genitoriale iperprotettivo, in cui il bambino è sottoposto a cure meticolose, a prescrizioni rigide, ad impedimenti rispetto alla possibilità di fare nuove esperienze, può essere fortemente limitante e quindi frustrante.

Anche una modalità relazionale eccessivamente remissiva ed indulgente, può essere dannosa. Il voler a tutti i costi assecondare i bisogni dell’infante può creare problemi nel momento in cui l’individuo esce dal contesto familiare e l’ambiente esterno non favorisce le sue richieste esagerate.

Questo ci permette di comprendere la complessità del ruolo genitoriale oltre che la sua centralità nello sviluppo della psiche dei figli.

 

Cause di frustrazione

Le cause della frustrazione possono essere molteplici. Per comodità possiamo racchiuderle in due macrocategorie: cause legate all’ambiente fisico e cause legate al contesto relazionale.

  1. Cause legate all’ambiente fisico: le caratteristiche fisiche del contesto di vita possono influenzare la soddisfazione dei bisogni di singoli individui o di interi gruppi. La distanza fisica, ad esempio, può creare un notevole ostacolo alla soddisfazione dei bisogni, così come la scarsità di alloggi e la loro qualità, il freddo o il caldo eccessivo, le situazioni di estrema povertà, ecc. Le frequenti emigrazioni rappresentano una reazione a tale frustrazione.
  2.  Cause legate al contesto relazionale: se la frustrazione prodotta dall’ambiente fisico può essere più facilmente tollerata dalla persona perché anonima, non intenzionale, quella che deriva dall’ambiente sociale è decisamente meno “digeribile” in quanto è causata con una finalità da altri individui. Ad esempio l’impiegato di un call center è suscettibile non solo alle frustrazioni derivanti dall’ambiente fisico (turni pesanti, scarsa remunerazione, ecc.) ma, soprattutto, dalle imposizioni dei principali che si oppongono alla sua partecipazione ai piani di lavoro, che creano sistemi di sorveglianza troppo pesanti, o dal fatto che quel lavoro è considerato scarsamente qualificante sul piano sociale (si pensi anche al desiderio diventato realtà di modificare il nome della professione “spazzino” con quello di “operatore ecologico”). Un'altra categoria di persone sottoposte a stress sociali sono gli anziani, i quali si trovano spesso “tagliati fuori” dall’incedere del progresso tecnologico e quindi considerati dal contesto attuale come un “peso” o come “persone inefficaci”.

Anche i così detti pazienti psichiatrici sono soggetti a forte frustrazione generata dai pregiudizi che ruotano intorno alla “malattia mentale”. Chi ha subito il ricovero in ospedale psichiatrico (SPDC) è spesso circondato dalla diffidenza, dal timore, dalla pietosa indulgenza, ed è facilmente frustrato nelle sue esigenze di integrazione sociale. Questi fattori, sono altrettanto potenti della patologia stessa nel determinare il fallimento degli sforzi di cura.

Le minoranze (etniche, religiose, ecc.) sono spesso oggetto di frustrazione, e questo costituisce la premessa per gravi squilibri sociali. Pensiamo per un attimo al tema italiano dell’immigrazione: fra gli immigrati sono frequenti forme di disadattamento e patologie psichiche, anche per le numerose e massicce frustrazioni sociali cui vengono precocemente sottoposti nel loro tentativo di inserirsi nella società.

Altre cause di frustrazione di origine sociale, come le cause familiari e personali meritano un’analisi più approfondita che verrà effettuata di seguito.

 

Cause familiari

Abbiamo già accennato al fatto che un clima familiare estremamente proibitivo e rigido, in cui il bambino può raggiungere la sicurezza emotiva solo a condizione di rinunciare alle proprie esigenze e bisogni, può essere estremamente frustrante, soprattutto quando questi scopre nuove modalità di stare in relazione, caratterizzati dal soddisfacimento delle richieste che gli sono state negate.

Allo stesso tempo abbiamo visto che anche uno stile di attaccamento iperprotettivo-ansioso, in cui lo stato di continua apprensione dei genitori fa si che il figlio sia circondato da limitazioni, perché il “mondo è minaccioso e pericoloso”, risulta deprimente, soprattutto quando il bambino e poi l’adolescente, sfuggendo al controllo, sperimenta insieme ai coetanei la propria inettitudine ad affrontare le realtà, insieme ai vantaggi di una vita più libera.

Un altro clima familiare frustrante è quello fondato sull’indifferenza e la trascuratezza, in cui le basilari necessità di protezione, valorizzazione, attenzione, sono scadenti, contribuendo a creare adulti diffidenti ed insicuri. Anche l’incoerenza educativa, ovvero l’alternanza imprevedibile di concessioni e proibizioni, è altamente demoralizzante, in quanto la possibilità di soddisfacimento dei desideri è incoerentemente compromessa. Il rischio in questo caso è quello di creare adulti disorganizzati, loro stessi incoerenti, in un vizioso meccanismo di trasmissione generazionale.

Comunque, indipendentemente dalla generale situazione familiare e dallo stile educativo genitoriale, vi sono delle “fasi obbligate” della vita familiare, in corrispondenza della quali la frustrazione è particolarmente frequente.

Una condizione di questo tipo si verifica, ad esempio, quando un bambino, che è stato il centro delle attenzioni familiari, vede spostarsi l’interesse generale delle persone significative verso un “nuovo fratellino”. Naturalmente la gravità della frustrazione dipende dalla capacità gestionale della famiglia di fronte alla nuova convivenza. I genitori, in questo caso, è fondamentale che mostrino sensibilità, attenzione, perspicacia. Talvolta si assiste a situazioni quasi “sadiche”, in cui i genitori preannunciano ai piccoli (che sono in attesa di un fratello/sorella) la fine dei loro privilegi, oppure contesti in cui padri e madri confrontano senza sosta, a scapito dello “spodestato”. La frustrazione, in circostanze di questo tipo, può essere ridotta, evitando atteggiamenti imprudenti (eccessiva ostentazione di affetto e attenzione nei confronti del nuovo venuto) ed offrendo al più “grande” gratificazioni alternative, rese possibili dal grado più elevato di sviluppo (ad esempio maggiore autonomia e responsabilità).

Attingendo dalla teoria freudiana, si può ritenere che il bambino risulti spesso frustrato dal genitore dello stesso sesso, nel suo desiderio esclusivo di ricevere attenzioni uniche da parte del genitore di sesso opposto (il celebre “Complesso di Edipo”). Questa dinamica risulta estremamente saliente in quelle famiglie in cui uno dei coniugi, immaturo e narcisista,  ha sviluppato una forma di dipendenza affettiva verso l’altro coniuge, cercando di escludere il bambino dalla cerchia degli affetti.

 

Cause personali

In questo paragrafo ci occuperemo delle frustrazioni derivanti dagli specifici conflitti intra-individuali dell’essere umano, che sovente si verificano in particolari momenti dello sviluppo.

Nell’adolescenza, la frustrazione può derivare dal conflitto tra tendenze inconciliabili, che nel momento in cui coesitono, generano un’inevitabile frustrazione connessa alla necessità di sopprimere, anche temporaneamente, uno dei bisogni in opposizione.

Infatti nel corso dell’adolescenza ci sente spinti da un lato dalla necessità di crescere, di essere autonomi, di affermarsi socialmente; dall’altro si continua a sperimentare il bisogno (più infantile) di essere protetti e sollevati dalle responsabilità che la “realtà adulta” impone. Si ha quindi una situazione di impasse, dato che il soddisfacimento della necessità di autonomia implicherebbe il distacco dalla famiglia, andando contro la gratificazione del bisogno di protezione. Sovente l’adolescente reagisce con la “proiezione”, vivendo sul piano della consapevolezza soltanto il bisogno di autonomia, mentre la necessità di essere accudito spesso non è riconosciuta, se non come ostacolo, venendo proiettato all’esterno, sui genitori che diventano ostacoli a loro volta. In ogni caso, è bene precisarlo, padri e madri possono realmente ostacolare il bisogno di autonomia, proprio in virtù di quello stile genitoriale protettivo di cui abbiamo parlato.

Anche in un’altra fase dello sviluppo, il conflitto tra l’autonomia e l’indipendenza dalla famiglia di origine, può causare intense frustrazioni. Infatti quando il giovane adulto decide di costruire un proprio nucleo familiare, nel momento in cui è bloccato dai genitori che non accettano di essere lasciati, può scegliere di “non crescere” per non arrecare loro danno, dicendo a se stesso e agli altri che non è pronto per la procreazione o il matrimonio.

Altre cause di intensa frustrazione sono legate a situazioni di disabilità, sia fisica che mentale; questo soprattutto in contesti sociali dove le differenze non essendo accettate si trasformano in handicap.

 

Le reazioni alla frustrazione

Come ricorda Lewin, le reazioni alla frustrazione possono dividersi in adeguate ed inadeguate, a seconda che consentano o meno il superamento dell’ostacolo che impedisce il soddisfacimento del bisogno.  Questo non significa che la reazione inadeguata sia “anormale”; entrambe possono essere attuate anche da individui senza particolari problematiche. Possiamo dire che una reazione inadeguata assume caratteristiche patologiche nel momento in cui diviene rigida, ripetitiva, coercitiva. Vediamo di descrivere alcune delle più comuni reazioni:

  • Tra le risposte più frequenti alla frustrazione c’è l’intensificazione dello sforzo. Essa consiste nell’incrementare l’impegno per il superamento dell’ostacolo, utilizzando gli stessi strumenti impiegati in precedenza, ma con una forza maggiore. Ad esempio uno studente può trovare una frustrazione nel fallire ad un esame. Il modo adeguato di reagire (se gli strumenti di cui dispone –libri, informazioni, ecc.- sono corretti) è quello di studiare di più. C’è però un limite nell’accettare questa strategia. Essa diviene inefficace nel momento in cui non permette il raggiungimento dell’obiettivo, trasformandosi in una “fissazione”.
  • Si parla di riorganizzazione dei dati quando gli strumenti e le strategie utilizzate per il superamento dell’ostacolo sono inefficaci e l’individuo “riorganizza” il problema affrontandolo con modalità diverse. Ad esempio, lo studente di prima può avere appreso in modo meccanico le informazioni, pur studiando a fondo, e per superare un certo tipo di esame necessita di un tipo di apprendimento diverso, più plastico.
  • Nel momento in cui le reazioni precedenti non danno esito positivo, la reazione più efficace alla frustrazione è la sostituzione del fine che l’individuo si è preposto. Con il concetto di sostituzione facciamo riferimento al perseguimento di obiettivi diversi (più o meno affini) rispetto a quelli che si desiderava raggiungere. Ad esempio, una donna che non può avere bambini trova ostacolo al desiderio di maternità. La sostituzione in questo caso può essere l’adozione. Infatti ricerche evidenziano che il livello di tensione accumulato si abbassa in misura tanto maggiore quanto maggiore è la somiglianza con il bisogno frustrato.
  • Un altro meccanismo universalmente impiegato per far fronte alla frustrazione sono le fantasie compensatorie. Ciò che è proibito, limitato, di difficile o di impossibile accesso nella realtà, può essere posseduto nella fantasia o nel sogno. Le fantasie compensatorie, sebbene fini a se stesse, non suscitano sanzioni punitive, non impegnano apertamente la responsabilità del soggetto e non sono fonte di ansia opprimente quanto la trasgressione reale.
  • Gli obiettivi, bloccati da frustranti ostacoli ambientali, possono essere “parzialmente” raggiunti attraverso la sublimazione; con questo termine si indica la sostituzione di mete socialmente riprovevoli con scopi od attività socialmente utili o accettate, che abbiano una qualche relazione con ciò che è inaccessibile. Così l’aggressività violenta può essere sublimata in spirito di competizione, in agonismo sportivo, in ideologia politica radicale.
  • Un altro tipo di reazione alla frustrazione consiste nello sviluppo di un comportamento opposto a quello che è inibito; tale reazione è chiamata formazione reattiva. Ciò può verificarsi soprattutto quando la prima tendenza è avversata da forti ansie o timori, da un forte senso di colpa. Ad esempio può capitare che una madre che avversava fortemente la nascita di un figlio, sviluppi un atteggiamento di iperprotezione ansiosa nei confronti della prole, proprio per scacciare il disagio causato dal rifiuto della maternità.

 

Frustrazione e aggressività

Un paragrafo a parte merita una delle reazioni più frequenti alla frustrazione, l’aggressività. Con essa ci riferiamo alla distruzione, all’allontanamento o al mettere comunque in difficoltà, in cattiva luce, la persona o l’oggetto che è avvertito come causa della frustrazione. Anche se in modo un po’ artificioso, possiamo distinguere l’aggressività in manifestae mascherata.

L’aggressività manifesta è sovente riscontrabile nelle seguenti fasi di vita o condizioni sociali:

  • Nel bambino piccolo (da 0 a 3 anni), in cui gli impulsi, di qualsiasi genere, si trasferiscono con immediatezza nel comportamento.
  • Nei bambini più grandi, in famiglie molto tolleranti in cui l’aggressività è aperta e ampiamente permessa, per cui il bambino rimane a lungo nella fase dell’egocentrismo, incapace cioè di comprendere il punto di vista dell’altro.
  • Nell’adulto, specialmente nelle aree culturali in cui ciò corrisponde agli ideali, ai codici di comportamento, di quella società.
  • Nell’adulto che, in relazione alle sue esperienze passate, abbia consolidato schemi di relazione fondati sull’aggressività; in queste persone una frustrazione anche lieve scatena in modo automatico l’impulso o l’atto aggressivo.
  • Nell’adulto con problemi psichiatrici (ad esempio ritardo mentale), dove, per mancanza primaria di possibilità intellettive, non vi è stato un completo processo di apprendimento “normativo” della condotta.

 

L’aggressività mascherata è particolarmente rilevante nella nostra società, poiché essa condanna e reprime le reazioni violente. L’aggressività, infatti, può rimanere a livello di impulso, di reazione emotiva, mentre l’individuo si trattiene dal assecondarla apertamente, limitandosi ad esprimerla in forme attenuate, socialmente ammesse.

Forme tipicamente larvate di aggressività sono le maldicenze o il sarcasmo, che hanno come obiettivo quello di mettere l’altro in cattiva luce o, comunque, di abbassarne, anche se di poco, il prestigio sociale.

Altre volte la frustrazione dell’impulso aggressivo può essere “risolta” a livello immaginativo: il soggetto è portato a rappresentarsi mentalmente situazioni in cui l’oggetto dell’aggressività viene maltrattato, umiliato, quando egli non può fare ciò in pratica.

Le persone possono anche scaricare l’aggressività contro loro stessi (auto-aggressività); fra l’omicida e il suicida, le differenze, a livello di impulso, non sono notevoli: si tratta sempre di manifestazioni aggressive. L’individuo, anziché scegliere l’oggetto esterno, sceglie la propria persona per manifestare i suoi impulsi. Inoltre il tentativo di suicidio può essere anche un tentativo (aggressivo) di colpire qualcuno, un familiare, un’istituzione, un gruppo sociale, attraverso il senso di colpa che il suicidio evoca.

 

 

Riferimenti bibliografici

  • Canestari, R., Psicologia generale e dello sviluppo, (1984), CLUEB, Bologna.
  • Davison, G., Neale, J., Psicologia clinica, (2000), Zanichelli, Bologna.
  • McWilliams, N., La diagnosi psicoanalitica, (1984), Astrolabio, Roma
Data pubblicazione: 11 settembre 2013

Autore

francesco.mori
Dr. Francesco Mori Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2007 presso Università di Firenze.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Toscana tesserino n° 5257.

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