Il vortice depressivo

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Dr.ssa Giovanna Costanza Psicologo, Psicoterapeuta

Nella depressione la casualità che unisce pensieri, emozioni e azioni è circolare.Come un vortice la depressione ingoia il soggetto, facendolo affondare sempre più in profondità

La biosistemica e la depressione

La psicoterapia biosistemica è un approccio che mi ha conquistato per la sua completezza, perchè considera ad un tempo emozioni, pensieri e corpo, guardando all'individuo nella sua interezza e favorendo così la sua integrazione. E' un modello centrato sul paziente che diviene l'unico vero protagonista (Liss, 2004) del processo terapeutico, il terapeuta viene rilegato a umile accompagnatore, osservatore, induttore, garante di un luogo sicuro in cui il paziente possa scoprire e sperimentare sè stesso.

Negli ultimi anni ho incontrato tante persone depresse, con i quali ho cercato di lavorare utilizzando la metodologia biosistemica, questo mi ha consentito, in molti casi di raggiungere risultati notevoli e di costruirmi anche una mappa concettuale di come possa funzionare la depressione e di come la biosistemica possa lavorare su di essa.

Mutuando quanto dice Rispoli (2004) ovvero che la “casualità che unisce i fenomeni psichici è circolare”, io aggiungo che nella depressione la casualità che unisce pensieri, emozioni e azioni è circolare. Per cercare di descrivere ciò ho elaborato uno schema a vortice (Fig. 1), che ho chiamato il Vortice depressivo.

 

Il vortice depressivo

Come un vortice la depressione ingoia il soggetto, facendolo affondare sempre più in profondità. La persona depressa, senza accorgersene, mette in atto tutta una serie di comportamenti, che sono esito di convincimenti errati su di sé (di non valere nulla, di non meritare nulla, che la propria vita non ha alcun senso) e sulla relazione tra sé e gli altri (che a nessuno importa davvero che lui stia male e che nessuno può aiutarlo, perché in realtà non può capire...), che lo portano gradualmente ed inesorabilmente a chiudersi, e a cadere sempre più in profondità nel vortice depressivo. Lo schema tipo che ho spesso riscontrato è il seguente:

  • Sto male ( mi sento disperato, triste, amareggiato, deluso, affranto, ecc);
  • Respiro in modo poco profondo (come dice Lowen (1985) “noi abbiamo diritto di esistere quindi respiriamo”, ma la persona depressa non sente di avere tale diritto, per cui il suo respiro appare appena accennato, quasi a voler prendere meno aria possibile);
  • Smetto di sorridere (il sorriso è lo strumento sociale di apertura all’altro, strumento di richiamo dell’attenzione dell’altro, già dai primi mesi di vita; quindi se io voglio chiudermi all’altro, che posso avvertire ora come disinteressato, ora come minaccioso e ostile, il primo gesto che mi viene naturale fare è smettere di sorridere);
  • Mi allontano dagli altri (perché non voglio che mi vedano così, perché mi vergogno, perché sarei un peso, perché tanto a loro non importa);
  • Mi chiudo in casa;
  • Mi sento solo (ma non cerco gli altri, perché non voglio che mi vedano così, e poi agli altri non importa di me, infatti non mi cercano);
  • Smetto di muovermi (i soggetti depressi frequentemente non fanno sport, non fanno passeggiate, non ballano, anche in casa si muovono pochissimo, si crea un’immobilità del corpo, immobilità finalizzata al non sentire un dolore intollerabile, Lowen 1991);
  • Non faccio nulla;
  • Non mi interessa più nulla, mi allontano sempre di più dagli altri (mi chiudo in quella che Liss (2012) definisce una condizione “monadica”, uno stato di totale solitudine e chiusura agli altri).

Ognuno di questi comportamenti è strettamente legato agli altri, non saprei dire quale viene prima o dopo, ma ognuno porta il soggetto ad affondare ad un livello più profondo di depressione, come se si trovasse nelle sabbie mobili, in un vortice senza fine: più sto male, meno sorrido, ma meno sorrido più sto male.
Più mi chiudo in casa, più mi allontano dagli altri e più sto male, perché mi sento solo. Più sto male, più sto fermo, ma più sto fermo più sto male. Smetto prima di fare sport ( e sto peggio), poi di uscire con gli amici (e sto peggio), poi di andare a lavoro (e sto peggio). Gradualmente non riesco più ad interessarmi a nulla e tutto sembra privo di senso.

Questi comportamenti sono accompagnati dall’idea che nessuno possa capire, che a nessuno importi, che nessuno può aiutarli. Non hanno scampo. Hanno perso la speranza.

Fig.1: Il Vortice depressivo
Rappresentazione grafica utilizzata per descrivere quali sono i sintomi fisici,
cognitivi e corporei che di solito 
caratterizzano una persona depressa. 

Trattamento

Ho cominciato a chiedermi cosa volevo e cosa potevo fare io per queste persone, la risposta è stata semplice: “Volevo portali fuori dal vortice!”. E cosa volevano queste persone, perché venivano da me? “Volevano che le aiutassi ad uscire dal vortice”. Perfetto condividevamo un obiettivo! Quali strumenti avevo per aiutarli a stare meglio... ho lasciato che la biosistemica mi guidasse...
Prima di tutto ho ascoltato, sono stata con queste persone, ho cercato di farli sentire accolti, perché si fidassero di me.

Accoglienza, che come dice Liss (2012), inducendo l’aumento della serotonina (uno dei neurotrasmettitori alla base degli antidepressivi moderni), favorisce l’apertura e il passaggio da una condizione “monadica” (ibidem) a quella relazionale. Sono dovuta scendere nel vortice con loro, condividere la loro sofferenza e il loro dolore e rimanere lì il tempo necessario, perché si fidassero; il tempo necessario per cominciare a infrangere le loro certezze e modificare i loro schemi mentali.

Devo far sorgere in loro il dubbio che “forse a qualcuno importa come stanno”, che “c’è qualcuno che accoglie il loro dolore ed è disposto a stare con loro nel dolore”, “qualcuno per cui quel dolore non è “noioso” e privo di senso”. Quel dolore fa così parte di loro che accoglierlo e contenerlo significa accogliere loro.

Questo è un primo esempio di quelle esperienze “emozionali correttive” (Alexander,1969) che, ripetute tante volte in terapia, hanno la funzione di destrutturare schemi antichi e sostituirli con altri nuovi, che possono modificare anche fuori la percezione che il paziente ha di sé dell’altro e di sé in relazione all’altro; e quindi apportare reali e duraturi cambiamenti, verso il benessere.

Il “rispecchiamento” (Liss,2004), ovvero imitare, in modo appena accennato, la postura e alcuni gesti del paziente, senza farlo sentire scimmiottato, ma così da fargli da specchio nell'espressione anche coorporea dei suoi vissuti; e la ripetizione di “parole chiave” dette dal paziente (Liss, 2004) mi hanno aiutato a costruire empatia (Stupiggia, Liss, 2000).

Tutto questo è necessario affinché siano disposti a seguirmi, ad afferrare la mia mano e risalire gradualmente dal girone infernale in cui si trovano intrappolati. Devono sentire che facciamo parte della stessa squadra, che condividiamo un obiettivo, solo a quel punto saranno pronti a seguirmi. E ognuno ha i suoi tempi, i suoi ritmi e non ci possono essere forzature, quei tempi vanno rispettati. A questo punto è necessario creare aperture nel vortice, far intravedere possibilità di scampo, individuare strategie pratiche per risalire; creare quella che Rispoli (2004) chiama “Immaginazione Progettuale”: “cosa posso fare per stare meglio?”, “quali sono delle azioni per me possibili che possono farmi uscire dallo stato di malessere in cui mi trovo?” (Fig.2) .

Fig.2: Aperture al Vortice
In questa immagine viene rappresentata la necessità di creare aperture al vortice depressivo, facendo intravedere al paziente delle possibilità, delle speranze di cambiamento.

Strategie di apertura

Le strategie possibili per aprire dei varchi vanno individuate nella persona, nella sua storia, nella sua narrazione. E’ li che vanno cercate le sue risorse e va aiutata la persona a vederle, a ricominciare a credere in esse, e ciò è possibile grazie alla relazione. Perché è nella relazione, attraverso la narrazione, che la persona rivive la sua vita, quelli che sono stati i suoi interessi, le sue passioni e lo fa con un altro che si mostra interessato, che gli rimanda il valore di quella vita, l’importanza di quella storia.

Come detto, il primo passo per uscire dal vortice è creare una relazione di fiducia, perché la relazione apre il vortice stesso, facendo uscire il soggetto dalla solitudine emotiva ma anche fisica; perché deve uscire di casa per venire da te, deve riattivare il movimento del corpo (alzarsi dal letto, lavarsi, vestirsi, camminare ...).

All’inizio di fronte ad un paziente depresso cercavo di favorire l’attivazione, ma non ero in sintonia con lui e saltavo un passaggio fondamentale. Il paziente depresso è privo di energie, prima dell’attivazione dobbiamo far riacquistare le energie. Per poter riacquistare l’energia perduta che consentirà la risalita dal vortice depressivo, bisogna partire dal rilassamento, che nutre e rigenera.

E’ molto importante che i pazienti riescano a rilassarsi nella relazione; ma, come dice Lowen (1991), non si riesce a rilassarsi quando l’energia è troppo bassa, perché serve energia anche per allentare la tensione muscolare; a tale scopo ho cercato di farli sentire non giudicati e liberi di piangere, perché piangendo la respirazione si rende più profonda, producendo l’energia necessaria a rilassarsi.

I pazienti che riescono a piangere risalgono prima. Ma alcuni pazienti sono troppo difesi per poter piangere, in questi casi può essere utile introdurre l'ironia e l'autoironia, infatti ridere insieme può essere una valida alternativa per rilassarsi e quindi rigenerarsi.

 

Due casi esplicativi

Quando ho incontrato Emma per la prima volta, la psichiatra che l’aveva in cura, mi ha detto di ascoltarla ma senza troppe aspettative, perché si trattava di una depressione grave che ormai da due anni la chiudeva in casa. Emma appariva una donna esile, parlava a stento e mi disse subito di non perdere tempo con lei perché non aveva voglia di parlare, perché niente aveva più senso.

Ormai non aveva scampo, si era indebitata con un mutuo enorme per una casa che non voleva, in cui si sentiva in prigione, era malata, non aveva più voglia di vivere, e se non si era ancora uccisa era solo per non dare questo dolore al figlio. Nel presente non riuscivo ad intravedere alcuna luce, alcuna possibilità di apertura, alcuna via di scampo; così le ho chiesto di raccontarmi della sua storia, della sua vita. E’ stato un lavoro graduale, molto lento, ma piano, piano ho cominciato a vedere una luce nei suoi occhi, una passione lontana e ho cominciato a rimandargliela, sottolineando parole chiave e gesti che ricreavano attivazione.

Il punto di svolta, (come mi confermerà lei dopo qualche mese) è stata una seduta in cui ho lasciato che vedesse la mia sincera commozione, perché guardavo una donna straordinaria, dalla vita straordinaria, sfiorire e mi dispiaceva molto. Da lì in poi è stato un graduale processo di riattivazione delle sue passioni per la vita: la sessualità, la lettura, i viaggi. Piano, piano siamo risalite insieme dal vortice. La casa tanto odiata, si è trasformata in un luogo ricco di ricordi in cui può ritrovare sé stessa e l’amore per la sua famiglia. Ogni tanto viene a trovarmi, per ringraziarmi, e sta veramente bene.

Come dice Storolow (2001) è molto importante riuscire a rimanere con il paziente per poterlo aiutare.

 

Per lavorare con un altro paziente, Eugenio, per me è stato illuminante ciò che Storolow (ibidem) definisce “analisi della crisi”. Infatti ho attraversato un lungo periodo di stallo, in cui alla fine di ogni seduta avevo una sgradevole sensazione di non riuscire a entrare nel suo mondo e di procurargli un senso di frustrazione, perché non riusciva a stare bene come avrei voluto io.

Leggendo quest’autore ho capito...non vi era un’adeguata "sintonizzazione affettiva" (Liss,2004)! Probabilmente mi ero fatta coinvolgere troppo, e non riuscivo a stare con lui, a rispettarne i ritmi, volevo solo tirarlo fuori, ma lui non era pronto a seguirmi. Aveva bisogno che fossi io a sintonizzarmi con lui, a scendere a cercarlo nel girone infernale in cui si trovava, e che rimanessi lì, con lui, il tempo necessario. Probabilmente il timore di quella diagnosi: “depressione psicotica”, mi impediva di “stare”.

Con Eugenio, è stato più difficile vedere le risorse. Affetto da una depressione da tanti anni, con alti e bassi, ma con una struttura di personalità molto più fragile rispetto ad Emma; solo quando sono rimasta davvero in ascolto attivo, ho compreso che non potevo partire dal cognitivo, ho osservato molto il suo corpo, la sua postura con le spalle chine, l’assenza di sorriso e sono partita da lì.

Questo è stato un punto di svolta, abbiamo ripercorso insieme la sua storia, quando aveva perso il sorriso, e dal sorriso siamo ripartiti. Abbiamo lavorato molto sull’importanza del sorriso, su come prendere le cose con ironia, come non drammatizzare tutto, come prendersi un po’ in giro. Dopo tre anni di percorso insieme, oggi vedo Eugenio una volta al mese; è molto più padrone della sua vita, riesce a gestire meglio ciò che gli succede, tollerando maggiormente le frustrazioni. Riesce a lasciarsi scivolare addosso la stupidità e la superficialità che prima lo feriva tanto. Sente di potercela fare, sente che se sta meglio dipende anche da lui. Cerca gli altri senza aspettare sempre che siano loro a fare il primo passo.

Riprendendo lo schema del vortice, con lui ho fatto un lavoro molto diverso rispetto a quello fatto con Emma, siamo partiti dal sorriso e dall’attivazione corporea, e abbiamo visto quali effetti aveva questo sullo stato emotivo e cognitivo; la nostra relazione è per lui modello di come può relazionarsi fuori. Questo lo aiuta a sperare di poter stare in relazione. Gli faccio da “reverie materna” (Bion, 1962), aiutandolo a dare un senso adeguato a ciò che lo circonda, per non vivere nel terrore, cercando di fortificare il suo fragile io.

Naturalmente il nostro progetto è stato esplicitato perché lavoriamo sempre insieme in questa direzione, ed è stato lui a mostrarmi di cosa aveva bisogno, nel momento in cui mi sono sintonizzata. E’ stato un lavoro difficile, perché ogni piccolo ostacolo lo terrorizzava e rischiava di farlo ripiombare nel suo baratro eterno, oggi la sua paura più grande è ricadere in depressione.

 

L’importanza dell’integrazione

Avendo lavorato anche con pazienti molto gravi, seguiti da psichiatri, mi sento di condividere un modello integrato per guardare alla persona (Rispoli, 2004). Che per me vuol dire, come dice Siegel (1990), “una convergenza delle varie aree di ricerca”. Ho potuto sperimentare in quest’ottica l’importanza dell’integrazione tra farmaci e psicoterapia e di un lavoro di equipe, in cui esperti di approccio diverso (psichiatri, psicologi, medici di base ecc.) possano confrontarsi ed agire in sintonia, fornendosi reciprocamente spunti e possibilità di intervento.

Le ricerche hanno sottolineato che nel liquido cerebrospinale dei depressi troviamo livelli inferiori sia di serotonina che di noradrenalina e che farmaci detti di “nuova generazione” (Vampini, 2012) in grado di aumentare i livelli di serotonina (“SSRI”) o di serotonina e noradrenalina insieme (“SNRI”), agiscono abbastanza rapidamente sull‘umore dei soggetti trattati, facendo ridurre gli effetti più vistosi della malattia depressiva e aiutando moltissimo nelle fasi acute.

Questi antidepressivi rappresentano oggi la prima scelta terapeutica rispetto ai composti “di vecchia generazione” quali i “Triciclici” che avevano molti più effetti collaterali ed erano meno efficaci. Ma lo sviluppo e il funzionamento delle strutture neurobiologiche sono influenzate anche dalle relazioni interpersonali (Rispoli, 2004). E’ illuminante in quest’ottica il lavoro di Liss (2012), sui vari neurotrasmettitori. Dice Liss (2012) “i quattro neuromodulatori si diffondono in tutto il cervello e controllano la qualità della coscienza”.

Nello specifico la serotonina aumenta quando si è in relazione con l’altro, l’acetilcolina nelle attività che implicano attenzione, la dopamina nell’azione generalizzata e la noradrenalina nell’azione e pensiero focalizzate. “Durante l'Impasse della solitudine c'è un calo di questi neuromodulatori (non necessariamente un calo di acetilcolina) e ciò crea lo stato di angoscia” (ibidem).

Nella seduta di psicoterapia è possibile modulare questi neurotrasmettitori, si comincia con l'accoglienza e l'ascolto (aumento della serotonina), seguita dall'elaborazione del problema (aumento di acetilcolina), e da un'attivazione generale (aumento della dopamina) con l'attivazione corporea (attraverso esercizi propri della bioenergetica e della biosistemica), concludendosi con una scarica vigorosa e focalizzata (aumento della noradrenalina) sempre per mezzo di esercizi costruiti all'uopo.

Quindi se sui neuromodulatori responsabili del vissuto depressivo si può agire ad un tempo con il farmaco e con la relazione, questo vuol dire che non ha nessun senso l’opposizione psicologia/psichiatria, perché lavoriamo per il raggiungimento dello stesso obiettivo. Il benessere del paziente.

A volte, anche la terapia integrata  non impedisce l'insorgere di ricadute. Infatti anche dopo un percorso integrato conclusosi positivamente, a distanza di tempo, possono riemergere sintomi depressivi. E se alcuni pazienti reagiscono cercando immediatamente gli specialisti che li hanno aiutati,  riuscendo tempestivamente a contenere i sintomi depressivi ed evitando di sprofondare nuovamente nel vortice depressivo; altri purtoppo rifiutano qualsisi trattamento, vedendo nella ricaduta la conferma delle loro paure, cioè che in realtà nessuno può aiutarli, spesso con esiti molto negativi.

 

 

Bibliografia

Libri:

  • Alexander,(1969),The resurrection of the body, in Stupiggia, (2007), Il Corpo Violato: Meridiana;

  • Ammantini M., Stern D.N,(1999),Attaccamento e psicoanalisi, Editori Laterza;

  • Bion, (1962),Apprendere dall’esperienza in Vegetti Finzi S.,(1998) Storia della Psicoanalisi: Mondatori;

  • Boadella D., Liss J., (1986),La psicoterapia del corpo, Astrolabio, in Liss J., M. Stupiggia,(2000) La terapia Biosistemica: Franco Angeli;

  • Bowlby, (1989,Una base sicura, Raffaello Cortina Editore;

  • Liss, Stupiggia, (2000),La terapia Biosistemica :Franco Angeli;

  • Liss, (2004), L’Ascolto Profondo: La Meridiana;

  • Lowen A., (1980), La depressione e il corpo :Astrolabio, Roma;

  • Rispoli, (2004), Esperienze di Base e Sviluppo del Sé: Franco Angeli, Milano,;

  • Seligman M.E.P, (1977). Helplessness: On Depression, development and death Freeman, San Francisco; 

  • Stupiggia, (2007), Il Corpo Violato: Meridiana;

  • Vegetti Finzi S., (1998), Storia della Psicoanalisi: Mondatori;

 

Articoli:

  • Di Giuseppe L., (2012) Depressione:l’incapacità di essere felice, http://www.psiconline.it prodotto_servizio/depressione.htm

  • LissJ.,(2012) L'Aumento dei Neuromodulatori Durante l'Ascolto Profondo.

  • OMS , (2012) La depressione è una piaga mondiale, http://italian.ruvr.ru/2012_10_11/90862166/

  • Tanzi, M. (2012)La depressione senile, http://www.muoversinsieme.it/magazine/salute-e-benessere/medicina/4720/la-depressione-senile.html

  • Vampini, C., (2012) La depressione nella terza età http://www.villaggiodellasalute.com/ Document.aspx?TitleList=Interviste&data=Wj7gwjvIam3yeUCpArwJHg%3D%3D&title=La+depressione+nella+terza+et%C3%A0

 

 

Data pubblicazione: 23 agosto 2014

Autore

costanza.giovanna
Dr.ssa Giovanna Costanza Psicologo, Psicoterapeuta

Laureata in Psicologia nel 2004 presso Università degli studi di Palermo.
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Emilia Romagna tesserino n° 4947.

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