La paura degli altri: un caso di fobia sociale

carmendigrazia
Dr.ssa Carmen Di Grazia Psicologo, Psicoterapeuta

Attraverso la descrizione di un caso di Fobia Sociale, si indagano le cause, i sintomi e gli sviluppi di un disturbo che genera sofferenza nell'individuo, e si indica come attraverso la psicoterapia sistemica relazionale sia possibile curare il disturbo

 

Una giovane donna di 26 anni che chiamerò Giusy [1], si presentò nel mio studio. Durante il primo colloquio non riusciva assolutamente a guardarmi negli occhi, teneva gli occhi bassi e dopo un lungo silenzio mi confidò con voce tremula che viveva un forte disagio che da qualche tempo le condizionava la vita. Aveva paura del giudizio degli altri. Ogni qualvolta si trovava in una situazione nuova, ad esempio in una festa con persone sconosciute, al solo pensiero di esprimere il proprio parere, o fare qualcosa, temeva di apparire ridicola o fare una brutta figura. La situazione negli ultimi mesi era degenerata a tal punto che l’aveva portata a isolarsi e allontanarsi da tutte quelle situazioni nelle quali si sentiva oggetto di osservazione e giudizio da parte della gente. Il suo timore di essere giudicata negativamente gli impediva di svolgere anche le attività più semplici, come andare a una festa, mangiare in pubblico, esprimere una sua opinione mentre si trovava ad interagire con gente nuova. Il caso sopra indicato rappresenta un esempio di Fobia Sociale.

 

TERAPIA SVOLTA

Attraverso la psicoterapia sistemico - relazionale è stato possibile intervenire in modo concreto sul disagio espresso dalla cliente. Per prima cosa, per comprendere il sintomo fobico espresso, si è reso necessario allargare il campo di osservazione prestando attenzione alla relazione e al contesto dove si è manifestato il disagio. Come strumento psicoterapico, il genogramma familiare si è dimostrato indispensabile per ricostruire la storia personale del disturbo e comprenderne l’origine.

Il genogramma familiare è uno strumento che consiste in una forma di rappresentazione grafica dell'albero genealogico della storia familiare, che oltre a ottenere informazioni, consente di prestare attenzione sul percorso di vita della famiglia: costituzione, evoluzione, eventi critici, risorse, dinamiche relazionali importati nel corso di tre generazioni.

Attraverso l’introduzione del tempo è stato possibile organizzare le esperienze della paziente, andando avanti e indietro nel nell’indagine della sua storia soffermandoci su particolari eventi significativi del passato, del presente e del futuro, connettendoli nella costruzione di un ipotesi o di un intervento. Ho così guidando la paziente attraverso le domande e le riflessioni sulla sua storia familiare ed è stato possibile rileggere il passato e vederlo attualizzato nel presente attraverso l’interpretazione dell’attualità come risultato di emozioni, azioni e relazioni che nascono dalla sua storia familiare.

La costruzione del genogramma, inoltre è stata per la cliente un’esperienza cognitiva e affettiva nuova, in quanto le ha permesso di riosservare attraverso le correlazioni e i ricordi, i comportamenti e il tipo di linguaggio del suo sistema familiare che hanno in qualche modo condizionato il suo modo di pensare e agire. Attraverso l’ elaborazione della sua storia familiare ho aiutato la paziente ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé e dei suoi comportamenti sintomatici.

Nel proseguo della terapia la paziente si è resa conto di come alcuni dei suoi comportamenti del presente riproponevano, in modo stereotipato, degli schemi relazionali appresi nella sua famiglia di origine, seguendo un copione familiare dove ogni componente aveva il suo ruolo, pensava, sentiva e si comportava sempre nello stesso modo. Lei si rese conto che per un lungo periodo era rimasta fedele a questo modello familiare, comportandosi secondo le aspettative dei familiari senza prestare attenzione alle sue emozioni e al suo modo di valutare gli eventi. Ad esempio si è sempre sentita inadeguata, perché ogni volta che cercava di esprimere la sua soggettività veniva subito criticata da un sistema familiare rigido e poco incline al nuovo, dove sembrava esistere solo la dimensione ripetitiva.

Il sintomo fobico era espressione di un compromesso tra il bisogno di richieste evolutive da parte sua e le pretese conservatrici del suo sistema familiare. Il non infrangere le regole familiari, aderendo al rigido sistema vigente se da una parte garantiva una maggiore sicurezza e protezione da parte della famiglia, di contro contribuiva a confermare le convinzioni sul senso di inadeguatezza.

Nel proseguo della terapia, attraverso delle micro-pratiche trasformative (domande circolari, prescrizione di comportamento, connotazione positiva)è stato possibile aiutare la pazientead abbandonare le vecchie e imprigionanti convenzioni, facilitando il processo di disconferma delle credenze e dei giudizi negativi su di sé.

Ad esempio una delle sue convinzioni era: "Sono così agitata che di sicuro sto dando un’immagine di me negativa;se faccio una figuraccia tutti mi eviteranno" questa convinzione è stata discussa in seduta su quanto sia disfunzionale, rigida e poco adattiva. Inoltre se prima la strategia che la paziente metteva in atto era l’evitamento della situazione, che inevitabilmente portava all’attivazione di alcuni cicli interpersonali e al rafforzamento della convinzione di inadeguatezza, è stato possibile attraverso alcune strumenti sistemici come ad esempio le domande circolari favorire nelle riflessioni della paziente la formulazione di possibili ipotesi sulle tipologie delle sue esperienze.

Ad esempio ponendosi nello stato mentale e cognitivo ed emozionale di qualcun altro (familiare o persona "altra") è stato possibile aiutare la paziente ad espandere e approfondire gli eventi e la sua storia personale da una prospettiva diversa. Questo è stato possibile introducendo differenze nel racconto e creando connessioni di eventi, emozioni e significati, che hanno ampliato la sua visione del mondo, favorendo la valutazione delle difficoltà da un’altra prospettiva. Inoltre attraverso alcune prescrizioni comportamentali è stato possibile guidare la paziente a esporsi nella situazione temuta e registrando queste possibili esperienze abbiamo valutato insieme le conseguenze dell’interazione. Questo è servito ad aiutarla ad apprendere a smentire i suoi timori e a rafforzare la fiducia in se stessa.

Attraverso la psicoterapia sistemica relazionale è stato possibile trovare nuove soluzioni per i problemi del presente e, pur conservando un patrimonio ereditato dalle precedenti generazioni, modificare i vecchi e consolidati modi di affrontare il mondo.Oggi la paziente ha un compagno e nuovi amici, e vive a pieno le relazioni senza temere il giudizio altrui.

Capita a tutti di trovarsi in circostanze nuove che possono generare una certa ansia. Se per un attimo immaginate di essere invitati a una festa e siete certi che non conoscete nessuno, di solito, il pensiero di trovarsi in una situazione nuova può generare un certo grado di ansia e nervosismo, ma non appena prendete parte alla festa, vi rendete conto di come riuscite a gestire la situazione temuta. L’ansia iniziale svanisce nel momento in cui iniziate a parlare o ad agire con i partecipanti alla festa. Nel caso della persona fobica l’ansia che precede la partecipazione alla festa è intensa e logorante già molto tempo prima dell’effettiva partecipazione e quando poi prenderà parte alla festa sarà terrorizzata dall’idea di fare qualcosa di umiliante e di essere giudicata negativamente da chi la guarda.

 

COS’E’ LA FOBIA SOCIALE

La fobia sociale detta anche ansia sociale o sociofobia non è un disturbo raro, ma anzi è piuttosto frequente. La persona sociofobica presenta un forte stato d’ansia che la porta a sperimentare una paura marcata e persistente ogni qualvolta si trova ad affrontare nuove situazioni sociali o a esibirsi di fronte ad altre persone. Teme il giudizio altrui. Generalmente è convinta che mostrerà all’altro i segni dell’ansia, che lei non riesce a gestire. Ha paura di apparire incapace, inferiore e ridicola e come conseguenza di essere schernita.

Esistono due categorie di fobia sociale;

La fobia sociale specifica: nella quale l’ansia è suscitata solo in alcune situazioni; ad esempio la paura di parlare davanti a un gruppo di persone, mangiare e bere in pubblico, etc

La fobia sociale generalizzata: in questo caso la persona prova paura non solo in alcune o tutte le situazioni che riguardano la fobia sociale specifica, ma teme anche solo di incontrare persone nuove in situazioni diverse, formali o informali, come nel caso su indicato.

 

SEGNI E SINTOMI

La fobia sociale si manifesta con una serie di sintomi fisici, emotivi e di pensieri disfunzionali. Prima ancora di trovarsi nella situazione temuta, la persona sociofobica rimugina sulle proprie prestazioni e sull’immagine che dà di se agli altri. Per paura di fare brutta figura inventa delle scuse evita ogni invito ma ciò alimenta un circolo vizioso. Tra i sintomi che la persona sociofobica avverte come sintomi ansiosi possiamo indicare; tachicardia, sudorazione, respiro affannoso, fastidi gastrointestinali, tremori alle mani o alle gambe, confusione,paura di arrossire(detta anche ereutofobia o eritrofobia), quando si trova esposta in situazioni che considera ansiogene, difficoltà a esprimersi e variazione del tono della voce. La persona sociofobica pone attenzione all’aspetto somatico dell’emozione ma questa eccessiva attenzione centrata su di sé, acutizzano i sintomi d’ansia (rossore in volto, tremori, mal di stomaco, sudorazione) fino ad intervenire pesantemente sulla sua vita sociale.

 

CAUSE DELLA FOBIA SOCIALE

Diversi possono essere i fattori che contribuiscono alla genesi del disturbo, non esiste un’unica causa. Per comprendere l’eziopatogenesi del disturbo è utile fare riferimento al modello Bio-psico-sociale che tiene conto, dell’interazione di diversi fattori; quelli legati alla persona (psicologici, biologici, fasi della vita), fattori legati al contesto micro - sociale (relazionale, ambiente familiare, professionale, ect) e all’ambiente macro-sociale(che si riferisce al momento storico, socio-culturale, economico).

 

FATTORI DI RISCHIO

Tra i fattori di rischio l’ansia, la vergogna, un’eccessiva attenzione focalizzata sull’aspetto somatico dell’emozione tendono a rinforzare ulteriormente i sintomi scaturiti dell’ansia. La metavergogna ovvero la vergogna di vergognarsi, possono contribuire a un incremento della sintomatologia ansiosa contribuendo a un peggioramento della propria auto-svalutazione. Spesso la persona sociofobica focalizzandosi sulla catastroficità degli eventi, mette in atto tutta una serie di strategie appropriate per evitare l’evento temuto senza verificare l’attendibilità delle sue paure, alimentando così un circolo vizioso.

 

PREVENZIONE - QUANDO RIVOLGERSI AL MEDICO

Sebbene la situazione sociale nella quale il soggetto tende a interagire possa in qualche modo generare ansia anticipatoria, è necessario che la persona diventi consapevole dell’ansia che prova e non cerchi di evitare la situazione temuta ma acquisisca delle competenze e delle tecniche che siano finalizzate alla gestione dell’ansia. Infatti, evitare le situazioni sociali non solo riduce il livello di autonomia del soggetto ma allo stesso modo alimenta dei sentimenti negativi e di disvalore personale, tali da generare ripercussioni sull’autostima della persona, riducendone il livello. Spesso la persona sociofobica erroneamente pensa di poter governare da sola il suo disagio e mette in atto delle strategie per gestire la propria ansia. Il più delle volte si tratta di strategie disfunzionali che anziché determinare uno stato di benessere nella persona, tendono a incrementare il disagio provato e in casi estremi a portare all’isolamento.Nel momento in cui il disturbo prende il sopravvento, può compromettere e interferire negativamente con la qualità della vita della persona, nell’ambiente scolastico, nell’ambiente lavorativo e in quello familiare. E’ necessario in questi casi rivolgersi a uno specialista. Spesso un aiuto tempestivo può aiutare la persona a riprendere in mano la propria vita.

 

TERAPIA E TRATTAMENTO

Alcuni sintomi e caratteristiche della Fobia sociale sono comuni ad altri disturbi psicopatologici come ad esempio Disturbo di panico, Disturbo d’ansia generalizzato, Disturbo schizoide di personalità, Disturbo evitante di personalità. Al fine di comprendere meglio la natura del disagio è utile prestare attenzione a fattori quali l’esordio, ossia quando è emerso il disturbo, caratteristiche di personalità, fattori di rischio, e contesto familiare e socio-affettivo dell’individuo.

Come trattamento della Fobia Sociale è consigliabile un percorso psicoterapico. La psicoterapia ad orientamento sistemico- relazionale si è rivelata efficace nella cura della Fobia Socialeottenendo ottimi risultati. Solo nei casi più gravi è auspicabile un approccio integrato che considera sia un percorso psicoterapico sia un apporto farmacologico. La psicoterapia sistemica relazionale è un modello di intervento che pone attenzione non solo al singolo individuo ma anche a quanto avviene nell’ambito delle relazioni umane e al contesto di riferimento. La lettura e comprensione del sintomo poggia sull’assunto che la storia individuale della sofferenza acquisti senso e rilievo all’interno della storia del gruppo familiare, in quanto la famiglia è considerata il primo contesto esperienziale nel quale l’individuo costruisce la propria identità ed esperienza emotiva. Ogni famiglia possiede il suo sistema di credenze, valori condivisi, riti familiari, miti familiari ereditati dalle generazioni passate. La psicoterapia sistemica - relazionale interviene attraverso varie tecniche e strumenti psicoterapici (uso del genogramma, domande circolari, le prescrizioni, l’uso della metafora, il mito familiare, uso del paradosso, etc..) e opera su quattro livelli di osservazione:

  1. La storia trigenerazionale della famiglia (si considerando tre generazioni, nonni genitori e figli). Attraverso la ricostruzione della storia familiare è possibile contestualizzare e storicizzare i ricordi in forma di racconto, permettendo di cogliere nessi significativi.
  2. Il tipo di organizzazione relazionale e comunicativa presente nella famiglia. Si risale alla struttura e al funzionamento della famiglia, al fine di individuare e modificare le regole disfunzionali che sono presenti nel sistema per sostituirle con regole più funzionali.
  3. La funzione del sintomo. L’approccio relazionale considera il sintomodel paziente come l’espressione di una difficoltà presente in un momento particolare della vita dell’individuo e della sua famiglia. Il sintomo espresso dal singolo ha lo scopo di mantenere un equilibrio all’interno del sistema familiare, in quanto il soggetto che manifesta il disagio focalizza l’attenzione su di sé attraverso la manifestazione del disturbo, distraendo i membri della famiglia nell’affrontare altre problematiche relative alle fasi del ciclo di vita.
  4. Fase del ciclo vitale. Ogni famiglia si trova ad affrontare specifici compiti evolutivi. Partendo da questi eventi cruciali come l’ingresso o l’uscita dalla famiglia dei suoi componenti: ad esempio un matrimonio, la nascita e la crescita dei figli, l’uscita dei figli dalla famiglia di origine, il pensionamento e la morte. Si tratta di eventi che costringono la famiglia a riorganizzarsi, cambiando gli assetti relazioni, in modo da rispondere ai bisogni di crescita e cambiamento dei suoi membri. Ciò segna il passaggio della famiglia da uno stadio del ciclo vitale a quello successivo. In quest’ottica il sintomo può essere inteso come un segnale che una famiglia esprime della difficoltà di superare uno stadio del suo ciclo vitale.

La terapia a orientamento sistemico - relazionale è consigliata per il trattamento non solo della famiglia e di coppia, ma anche nel caso del disagio espresso dal singolo individuo, come nel caso sopra citato. 

 

Bibliografia

  • Barker, P., (1987), L’uso della metafora in Psicoterapia, Astrolabio, Roma.
  • Bowen M.(1979), Dalla famiglia all’individuo. La differenziazione del sé nel sistema familiare, casa editrice Astrolabio, Roma.
  • Malagoli Togliatti M., Telfener U.,a cura di,(1991), Dall’individuo al sistema- Manuale di psicopatologia relazionale, Bollati Boringhieri, Torino.
  • Sluzki C. E.,(1981), Processo di produzione del sintomo e modelli di mantenimento, In terapia familiare,n.9.
  • Vallario L.,(2010), Il cronogramma, Franco Angeli, Milano.

 

Note

[1] Il nome è di fantasia e sono stati omessi dati sensibili

 

Data pubblicazione: 09 dicembre 2014

Autore

carmendigrazia
Dr.ssa Carmen Di Grazia Psicologo, Psicoterapeuta

Laureata in Psicologia nel 2006 presso Università degli studi di Palermo.
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Emilia Romagna tesserino n° 7828.

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