Dca disturbi comportamento alimentare.

Tutto su anoressia, bulimia e DCA

alessandro.raggi
Dr. Alessandro Raggi Psicologo, Psicoterapeuta

Cosa sono i DCA? In questo articolo parliamo dei principali disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, binge eating), psicopatologie in preoccupante incremento, che rappresentano una delle prime cause di morte tra i giovani. Vediamo quali sono le complesse problematiche legate a questi disturbi e si farà il punto su cause, diffusione, terapie e prevenzione.

DCA: cosa sono i Disturbi del Comportamento Alimentare?

I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) sono disturbi psichiatrici (psicopatologie) che hanno gravi ricadute indirette sul corpo, il quale ne può risultare sconvolto in maniera anche molto pesante.Tra i DCA, Anoressia, Bulimia e Binge Eating rappresentano le manifestazioni cliniche più frequenti e colpiscono solo in Italia circa tre milioni di persone, rappresentando la prima causa di morte per malattia mentale, oltre che una delle prime cause di morte in assoluto, tra i giovani al di sotto dei 25 anni. 

Nonostante i sintomi siano riferibili al rapporto con il cibo e con il corpo, non si tratta di semplici problematiche alimentari. Si tratta, invece, di aspetti differenti dello stesso problema di fondo che è di natura essenzialmente emotiva ed affettiva, anche per questo bulimia e anoressia spesso si susseguono ciclicamente tra loro.

L’anoressia e la bulimia come patologie psichiatriche, hanno di norma un esordio precoce – prima o seconda adolescenza – ciò non significa che non vi siano persone adulte che ne risultano sofferenti. I sintomi di queste patologie possono causare gravi danni alla salute psicofisica dell’individuo, possono inoltre essere vissute in modo drammatico all’interno delle famiglie, scompaginandone gli equilibri.

Sia la bulimia sia l’anoressia sono patologie che colpiscono con maggior frequenza la popolazione femminile di giovane età. Per questo si parla più spesso di “anoressiche” o di “bulimiche”, anche se vi sono casi, in aumento, di anoressia e/o bulimia maschile.

Più di un autore, ha ipotizzato che i DCA possano in qualche modo rappresentare un tentativo, per quanto sbagliato, di soluzione ad un problema del soggetto che non ha trovato altre possibilità di espressione se non attraverso il sintomo. La presa di posizione del soggetto, infatti, ha connotazioni ben precise sia rispetto al proprio rapporto con il cibo, che rispetto alla dimensione simbolica di condivisione familiare che esso rappresenta.

Ne consegue che rifiuto ad alimentarsi e diserzione della tavola nelle condotte anoressiche, si pongano come una sorta di rovescio della medaglia rispetto alla spinta incontrollata a cibarsi in maniera compulsiva nelle bulimie e nel binge eating. Va sempre tenuta presente la peculiare posizione del paziente con disturbo alimentare, che in maniera paradossale “sceglie” una condotta, che egli stesso non sperimenta con un di “malattia”, nella quale finisce poi per sentirsi intrappolato. 

Diffusione dei DCA nella popolazione

Si tratta di un fenomeno in costante aumento, che coinvolge giovani di età sempre più basse, con esordi anche infantili, eppure con un ampliamento della fascia d’età anche verso l’alto, sino a toccare perfino molti adulti al di sopra dei 35 anni. Gli esiti dei trattamenti, mostrano ad ogni modo risultati favorevoli solo tra il 50 e il 70% dei casi.

Ad oggi sappiamo che circa nel 90% dei casi l’anoressia si sviluppa nel sesso femminile mentre nel sesso maschile i casi vanno dal 5% al 10%. Negli ultimi cinque anni, in ogni caso, la percentuale di maschi con diagnosi di anoressia è raddoppiata rispetto al recente passato.

Anoressia, Bulimia, Obesità e più in generale le dipendenze e tutti quelli che sono stati da alcuni autori definiti come “sintomi contemporanei”, possono essere letti come forme patologiche dell’individuo, ma anche come aspetti morbosi dello “spirito del tempo” (zeitgeist). Anoressie e Bulimie, e così tutto il resto delle numerose varianti nosografiche dei DCA, fanno dunque probabilmente parte di un unico universo, alla cui base è un profondo disagio psicologico che trova radici non solo nell’anamnesi storiografica del soggetto ma anche nella struttura psicosociale in cui l’individuo è calato.

L’anoressia (come emblema di tutte le forme di disturbo alimentare) conosciuta oggi, non è paragonabile a quella di cui si trovano tracce sin dal medio-evo. Non è possibile, infatti, rintracciare nell’esempio delle “Sante anoressiche” il sintomo di quella che è la nostra epidemia sociale. Quello di confondere alcune condizioni psicofisiche descritte nelle varie epoche storiche con i quadri clinici psicopatologici attuali è un luogo comune, oltre che un errore. Soggetti che praticavano privazione dalle comodità e dal cibo per un anelito spirituale di natura religiosa, seppur fisicamente emaciate e cachettiche come in alcune anoressie contemporanee, mostravano, anche a leggere le testimonianze d’epoca, profili psicologici e motivazionali molto diversi da quelli attuali.

L’anoressia è difatti una malattia legata al benessere contemporaneo e al mondo occidentale: non si presenta infatti nei paesi più poveri di Asia (con la sola eccezione del Giappone e della Corea del Sud), Africa e America latina.

Quali sono i DCA?

I disturbi del comportamento alimentare possono presentarsi nei singoli casi specifici in numerose varianti in termini di manifestazione del sintomo. A seconda di come si presentano possono avere nomi differenti, ma alla base di queste patologie vi sono in ogni caso molti elementi caratteristici in comune. Si tratta per di più di psicopatologie caratterizzate da una variabilità estrema (viraggio sintomatico), spesso si passa da un quadro clinico all’altro.

Per questo, al di là delle distinzioni proposte che descrivono le numerose varianti, il trattamento può differire anche rispetto a variabili diagnostiche differenziali di personalità del soggetto in questione, piuttosto che di condotta comportamentale, oppure rispetto alla presenza di altre psicopatologie (comorbidità). Quest’ultimo caso, ovvero la presenza di psicopatologie associate, è molto frequente in tutti i DCA.

L’ultima versione (2014) del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) ha rivisto alcune delle variabili diagnostiche per i DCA e ampliato le casistiche sintomatiche, includendo altre fattispecie di disturbi, alcuni dei quali già presenti in edizioni precedenti dello stesso manuale, altre già note ai clinici ma non ufficialmente riconosciute: come proprio il “binge eating” in questo caso. È stato modificato anche il nome stesso di questa categoria che adesso infatti si chiama “Disturbi alimentari e della nutrizione” anche se per questioni pratiche, tra i clinici al momento si continua a utilizzare la denominazione “DCA”.

I disturbi del comportamento alimentare vengono suddivisi in queste categorie diagnostiche:

  • Anoressia Nervosa
  • Bulimia Nervosa
  • Binge Eating Disorders
  • Disturbo Evitante / Restrittivo dell’assunzione di cibo
  • Disturbo della ruminazione
  • Pica o picacismo
  • Altri disturbi specifici della nutrizione e dell’alimentazione
  • Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione non specificati

Le ultime due categorie raccolgono tutte le manifestazioni per le quali il clinico è incerto, ma anche alcune forme parziali o incomplete quali ad esempio la sindrome del mangiare di notte (Night Eating Syndrome).

Varianti dei DCA non nominate nel DSM ma comunque riferite da numerosi autori e di fatto verificabili nella clinica terapeutica come ortoressia, vomiting e altre, sono incluse nelle categorie sopra riportate. In particolare l'ortoressia, come ossessione per i "cibi sani", può facilmente manifestarsi sotto-soglia patologica, ma progressivamente strutturarsi come vero e proprio disturbo. 

Per approfondire:Drunkoressia: cos'è l'anoressia alcolica?

Sintomi

Come si manifestano i DCA?

Tutte le sindromi con le quali si manifestano i DCA, hanno caratteristiche comuni, specialmente per quanto riguarda l’alterazione del rapporto dell’individuo con il corpo e con il cibo e la marcata alterazione della percezione circa la propria immagine corporea, che vene generalmente sovrastimata e vissuta con sentimenti di estrema insoddisfazione.

Nello stesso modo sono presenti bassi livelli di autostima legati alla forma fisica e ossessioni costanti per il corpo, il peso e le calorie assunte o da smaltire, la negazione o la sottostima dei danni causati dalla perdita di peso e dai comportamenti compensatori, la scarsa o assente consapevolezza di avere un problema con il conseguente disinteresse per la propria salute.

La mancanza di interesse per la propria salute è un paradosso per questi soggetti, che spesso sono ossessionati dalla propria forma fisica, ma che in realtà esasperano comportamenti solo apparentemente salutari sino a farli divenire insalubri. Alcune condotte sono altrettanto verificabili in tutti i disturbi dell'alimentazione, tra le quali la ricerca di comportamenti atti a controllare il peso corporeo e il rifiuto per qualsiasi tipo di cura.

L’evitamento progressivo di alimenti quali carni, carboidrati, la riduzione o la mancanza di condimenti e la fissazione irriducibile per l’alimentazione “sana” possono rappresentare le prime manifestazioni di un pensiero anoressico. Questi pazienti, di norma, possono accettare di buon grado il confronto con il dietologo o il nutrizionista, che però – è opportuno sottolinearlo – non sono i professionisti deputati alla cura di questi disturbi e non possono fornire alcun aiuto ai soggetti affetti da DCA se non inseriti in un’equipe multidisciplinare guidata da uno specialista psichiatra o psicoterapeuta.

Sintomi dell'anoressia

L’anoressia prevede tra i sintomi un sostanziale rifiuto del cibo, una drastica riduzione del peso corporeo, il timore di aumento di peso, che si accompagnano a una distorta percezione da parte dell’individuo delle proprie caratteristiche corporee (dismorfofobia) anche se, a seconda dei casi, il rifiuto di alimentarsi può essere più o meno marcato e può in taluni casi riguardare selettivamente solo alcune categorie di alimenti.

La scomparsa del ciclo mestruale (amenorrea) da almeno sei mesi, va detto, seppure nell’ultima edizione del DSM-5 sia stata tolta tra i criteri sintomatici per l’anoressia, resta un indicatore prezioso. Questo criterio è stato eliminato poiché vi sono sempre più soggetti maschi tra i pazienti, ma anche perché molti soggetti di sesso femminile riescono a mantenere una parvenza di ciclo mestruale grazie all’assunzione di ormoni.

Per approfondire:Anoressia e amenorrea

Sintomi della bulimia

La bulimia è caratterizzata, invece, da un’alternanza tra le cosiddette “abbuffate” alimentari seguite da periodi relativamente brevi (ora un po’ più lunghi) di astinenza dal cibo. In altre forma di bulimia le abbuffate sono seguite da comportamenti volontari di eliminazione del cibo (vomito indotto) o anche dall’uso smodato di purghe, clisteri e lassativi.

In altri casi, le condotte compensatorie per smaltire le calorie in eccesso assunte durante le abbuffate, prendono la forma di esercizi ginnici spinti all’estremo, o svolti in maniera ripetitiva e ossessiva.

Sintomi del binge eating disorder

Il binge eating disorder (BED), in italiano disturbo da alimentazione incontrollata (DAI), è correlato direttamente all’insorgere dell’obesità (che non è però considerata ufficialmente una malattia), in quanto si manifesta come una incapacità, o impossibilità, per il soggetto a controllare l’assunzione di alimenti, accompagnata da una irrefrenabile ricerca di cibo, senza tuttavia il ricorso alle condotte compensatorie o eliminatorie della bulimia.

Il BED ha generalmente una precoce età di esordio: infanzia, adolescenza, quando il bambino si trova a riempire i propri “vuoti” e le proprie solitudini mangiando in maniera compulsiva.

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Cause e fattori di rischio

L’eziopatogenesi di questi disturbi legati ai comportamenti alimentari è tutt’oggi per larga parte incerta, seppure siano stati individuati alcuni elementi fortemente correlati alla loro origine e al loro mantenimento. La ricerca scientifica ipotizza unanimemente una genesi “multifattoriale” dei disturbi, ossia una concomitanza tra variabili predisponenti, cause e fattori scatenanti, seguiti da una serie di altri fattori di mantenimento dei disturbi.

La componente genetica, sulla quale vertono numerosi studi, alcuni dei quali tutt’ora in corso, non sembra per il momento essere stato dimostrato che possa incidere particolarmente nello sviluppo di questi disagi.

Diete particolarmente restrittive sono spesso correlate allo scatenarsi del disturbo, mentre sistemi familiari in cui l’espressione dei sentimenti e delle emozioni è in secondo piano, possono essere annoverati tra le variabili di mantenimento.

Tra i fattori predisponenti all’insorgenza di un disturbo del comportamento alimentare vi sono:

  • Avere un familiare che soffre o ha sofferto di disturbi alimentari;
  • Crescere in una famiglia dove la comunicazione interpersonale è difficile e difficile è anche esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni;
  • Problemi di autostima legati agli aspetti sociali familiari e amicali;
  • Grandi delusioni affettive;
  • Appartenenza a gruppi sociali nei quali è messo in primo piano il problema del peso (es. il “mondo della moda”); ‏
  • Provare forti sentimenti di inadeguatezza rispetto ai canoni estetici dominanti;
  • Essere stati vittima di una violenza o di unabuso durante la minore età.

Alcune ricerche svolte sia all’estero che in Italia, hanno mostrato nella genesi dei DCA un ruolo rilevante dell’abuso, inteso sia come vera e propria violenza sessuale, che in maniera più subdola, come manifestazione perversa di interesse sessualizzato da parte di un adulto verso un soggetto molto giovane.

Non vi sono, invece, evidenze circa alterazioni cerebrali legate alla genesi dei DCA, se non, ovviamente, quelle dovute al persistere del comportamento disfunzionale anoressico-bulimico che altera i meccanismi cerebrali di ricompensa, in maniera analoga a come si verifica in molte dipendenze patologiche.

Altro aspetto rilevante nella patogenesi dei DCA, convalidato dalla ricerca empirica, è quello socio-culturale. Il mito della iper-cura del corpo, è legato alla cultura della bellezza diffusa nel mondo occidentale, ove l’equivalenza tra bellezza e magrezza viene promulgata attraverso i media che risentono, a loro volta, delle distorsioni create dalle innumerevoli possibilità di ritocco e modifica delle immagini dalle quali emergono corpi perfetti femminili.

Le nuove generazioni e i soggetti psicologicamente più influenzabili, non sono in grado di cogliere con accuratezza l’esaltazione irraggiungibile e fittizia di corpi che appaiono privi d’imperfezioni, sempre proporzionati, simmetrici e asciutti. 

Per approfondire:Generazione Z a rischio dipendenze

Il problema del genere: i DCA nel sesso maschile

Le anoressie e le bulimie maschili, sembrano essere più spesso correlate a sintomatologie psicopatologiche importanti quali disturbi dissociativi e disturbi di personalità. Però, seppure le statistiche mostrino un raddoppio dei casi di anoressia maschile, questa patologia resta tuttora, secondo i dati ufficiali, un problema che colpisce in maniera preferenziale il sesso femminile.

Molti autori, specialmente di matrice psicoanalitica (Recalcati, Zuccardi-Merli, 2006), considerano questo sbilanciamento dei dati come conseguenza del differente sviluppo psicosessuale tra i generi. Vi è un’ipotesi (Raggi, 2014) che, invece, attribuirebbe questa distribuzione percentuale così sproporzionata anche a variabili attinenti il condizionamento e l’approvazione sociale, per via delle quali i soggetti di sesso maschile sarebbero ancora meno propensi a chiedere aiuto, oppure più portati a forme di compensazione legate ad attività sportive estreme, di fatto escludendosi quasi totalmente dalle rilevazioni statistiche. Anche la modalità di espressione sintomatica dei disturbi tra i due generi sessuali, potrebbe però essere profondamente differente.

Nel maschile è diffusa la cosiddetta vigoressia o anoressia inversa, condizione che – differenziandosi sostanzialmente delle anoressie maschili e che non deve con queste essere confusa – vede il soggetto mai contento della propria massa muscolare, che egli continua ad accrescere a dismisura in maniera disarmonica. Questo disturbo non è però contemplato tra i DCA, bensì nella diagnosi di “disturbo di dismorfismo corporeo”, che fa parte dello spettro del "Disturbo ossessivo compulsivo e disturbi correlati" e pertanto, probabilmente, viene rilevato in maniera incongrua attraverso le fonti statistiche.

Aspetti psicologici e psicopatologici

Occorre dire che queste patologie non devono, in nessun caso essere confuse con un “problema di alimentazione”. Non ci troviamo, infatti, di fronte a soggetti inappetenti o che non conoscono le buone regole alimentari. Abbiamo a che fare con una sofferenza psicologica, spesso molto profonda e seria, che va trattata come tale.

Il clinico deve in primo luogo essere in grado di effettuare una diagnosi molto accurata di eventuali comorbidità per verificare se esistano o meno per il soggetto anche altre problematiche psicologiche legate al disturbo dell'alimentazione. Va poi valutato il livello di gravità delle eventuali altre patologie, in che modo queste siano collegate con il DCA e quale sia il disturbo prevalente. Alcuni casi di anoressia balzati alla ribalta delle cronache, infatti, presumibilmente riguardavano pazienti che innanzitutto avevano gravi compromissioni psicologiche anche di natura psicotica.

Come già accennato, queste patologie sono caratterizzate da un’eccessiva preoccupazione per il corpo, dal senso d’inadeguatezza e da una percezione alterata del proprio aspetto fisico che deriva anche da un’ideale di perfezione al quale queste persone mirano. Esse, infatti, esercitano un rigido controllo sul proprio corpo, contano le calorie che ingeriscono e che bruciano, si pesano con frequenza, spesso svolgono attività fisica con grande accanimento, portando il fisico sino allo stremo delle forze.

È fondamentale ricordare sempre che per quanto simili nei comportamenti e nei sintomi, dietro le anoressie e le bulimie vi sono persone con sentimenti, emozioni e psicologie molto differenti tra loro e questo complica molto la scelta delle terapie e l’approccio del clinico, il cui compito, è proprio anche quello di rivelare la soggettività dell’individuo, la sua specificità, la sua unicità, perduta dietro la facciata massificante dei sintomi.

Le persone anoressiche, esercitano controllo sul corpo e sulle proprie condotte in maniera molto rigida, le persone bulimiche, invece, alternano momenti di forte controllo a momenti di mancanza totale di controllo, nei quali “cedono” all’impulso di mangiare e quando lo fanno ciò avviene in presenza di forti compulsioni, giungendo a ingerire anche enormi quantità di cibo in pochissimo tempo. Per lo più, le persone sofferenti di bulimia non gustano affatto il cibo, ma ingeriscono cibo “spazzatura”, dolciumi, cibo confezionato, in alcuni casi possono persino arrivare a mangiare cibi ancora surgelati.

Estrema rigidità e controllo ossessivo fanno parte dei comportamenti ricorrenti nelle anoressie-bulimie. Ecco perché è possibile che si passi dall’anoressia alla bulimia, perché in molti casi il controllo ossessivo sul proprio comportamento si spezza, senza però cessare definitivamente e si cade nella bulimia.

Il vomito, così come l’impulso incontrollato alla ricerca di cibo, precipitano la persona nel senso di colpa, generando un circolo vizioso dal quale il soggetto difficilmente riesce a liberarsi da solo senza aiuto esterno. Il comportamento di questi soggetti è per certi versi molto simile a quello dei soggetti affetti da altri tipi di dipendenza, in questi primi, però la fonte di dipendenza è comunque sempre il cibo.

La maggior parte dei pazienti anoressico/bulimici, soprattutto nei primi stadi della malattia, sono abili nel mentire sul proprio comportamento e riescono a manipolare gli altri semplicemente allo scopo di ricevere maggiori informazioni su come rinforzare la propria capacità di astenersi dal cibo, ridurre le calorie, bruciare di più.

Si deve ricordare, che il problema non è “solo” che la persona ricominci a mangiare. I sintomi, difatti, sono la manifestazione esteriore di un disagio molto più profondo che ha radici nell’affettività del soggetto che deve essere messo in grado di ritrovare la capacità di avere un rapporto sano con sé stesso, con il proprio mondo affettivo e relazionale. Alcune condizioni di mantenimento o persino di genesi del problema, possono essere legate alle relazioni del soggetto all’interno del nucleo familiare, all’aver subito dei lutti importanti in età precoce, a relazioni disordinate con le figure di accudimento.

Vi è però anche evidenza di numerosi casi in cui questi pazienti sono stati vittime di abuso durante l’infanzia e anche quando non hanno subito una vera e propria “violenza sessuale”, sono stati sottoposti da parte di adulti a situazioni come minimo cariche di ambiguità, vissute dal soggetto come fortemente perturbanti durante lo sviluppo psicosessuale. Il sintomo, invece, insorge generalmente con una dieta o con una più assidua attività fisica, con una sempre maggiore attenzione al proprio aspetto fisico e al proprio peso. Torneremo dopo su questi aspetti.

Infine, seppur non inseriti tra le dipendenze patologiche nei manuali diagnostico statistici più diffusi (vedi i vari DSM), i DCA si presentano come delle vere e proprie forme di dipendenza. La comorbidità, infatti, con le dipendenze da sostanze o con altre forme di dipendenza patologica “senza sostanze” è estremamente elevata. La ricerca neuroscientifica, già iniziata da diverso tempo, si sta nuovamente occupando con risultati molto incoraggianti grazie all’impiego di tecniche molto recenti, della stretta relazione tra anoressie, bulimie e dipendenze patologiche.

Per approfondire:Disturbi alimentari: aspetti familiari

Per quanto tempo durano i DCA?

La bulimia non manifestandosi esteriormente con segni evidenti come nell’anoressia, può protrarsi a lungo nel tempo senza che sia riconosciuta e che si affronti. In entrambe le patologie è molto raro, infatti, che il paziente chieda di essere curato, anzi, è frequente che queste rifiutino in tutti i modi le cure, che vengono in modo distorto inizialmente percepite addirittura come una potenziale minaccia.

Ciò avviene per lo più durante le fasi iniziali della malattia dove non di rado il soggetto tra il delirio di perfezione fisica e il controllo che riesce a esercitare sul proprio corpo, assume una posizione rispetto alla patologia definita da “luna di miele”, come nelle tossicomanie. In psicologia si definisce ego-sintonico questo tipo di rapporto con la patologia, dove la malattia è vissuta come congruente rispetto ai propri desideri. È evidente come in tali casi risulti pesantemente intaccata la capacità stessa di valutazione della realtà da parte del soggetto.

Anche l’anoressia può comunque non essere facilmente individuabile, spesso si manifesta in maniera conclamata solo dopo anni in cui è stata presente sotto-soglia, come pensiero e preoccupazione insistente per il proprio corpo e il proprio aspetto fisico, attraverso la pratica di diete e restrizioni alimentari parziali o selettive, il ricorso a esercizio fisico sproporzionato.

I dati disponibili (fonti OMS, APA) stimano una durata per questi disturbi estremamente lunga, che può giungere in media a 10 anni. Anche il tempo di trattamento e di recupero è in media è molto lungo, da 5 a 8 anni. La durata dei trattamenti e il successivo recupero, sono strettamente collegati alla tempestività della diagnosi, alla rapidità con la quale si accede ai percorsi di cura, all’efficacia e all’appropriatezza dell’intervento. La mortalità per anoressia nei casi di interventi poco tempestivi (oltre i 20 anni dalla comparsa dei primi sintomi) o scarsamente appropriati, raggiunge picchi del 20 per cento.

Conseguenze fisiche dei DCA

I danni che possono procurare i DCA, oltre che alla qualità della vita dell’individuo che ne risulta profondamente intaccata, possono riguardare pesantemente il fisico:

  • alterazioni cardiache e circolatorie, epatiche, renali,
  • corrosione e perdita dei denti,
  • perdita dei capelli,
  • dermatite,
  • osteoporosi,
  • nelle bulimie con vomito danni all’esofago e persino la modificazione somatica del volto dovuta al persistente rigonfiamento delle ghiandole salivari.

Queste sono solo alcune delle complicazioni che possono insorgere conseguentemente a un DCA.

Conseguenze dei dca

Conseguenze dei DCA

Sia l’anoressia, sia la bulimia possono avere esiti infausti per il soggetto. Non è solo la denutrizione nell’anoressia che può portare il soggetto addirittura al decesso, ma anche la malnutrizione e gli scompensi metabolici ed elettrolitici dovuti ai comportamenti bulimici che possono precipitare l’individuo in una condizione di gravità estrema, anche in questi casi sino alla morte, che può giungere improvvisa per arresto cardiaco durante il vomito.

Terapie

Come si curano i DCA?

La psicoterapia è la cura elettiva per i disturbi del comportamento alimentare, l’aspetto centrale di ogni percorso terapeutico. Detto ciò, le condizioni psicologiche e fisiche del soggetto anoressico/bulimico, possono presentare molta variabilità e richiedere una tale complessità di azioni cliniche che il trattamento dell’anoressia e della bulimia, così come di tutti i DCA, necessita di azioni integrate e multidisciplinari.

Queste, in misura diversa a seconda della specifica situazione del soggetto, possono riferirsi a tre ambiti:

  1. aspetti psicologici
  2. aspetti psichiatrici
  3. condizioni fisiche e nutrizionali

L’intervento clinico non può, comunque, essere mirato alla semplice risoluzione del sintomo, essendo per la persona sofferente di DCA proprio il sintomo, spesso l’unica possibile forma di espressione, per quanto dannosa, che è riuscita a trovare per dare voce al proprio malessere interiore.

Può rivelarsi essenziale un trattamento psicologico mirato al riconoscimento delle cause di disagio e all’ascolto reale del soggetto, alla comprensione del dolore psicologico e dell’incolmabile senso di vuoto che spesso scandisce le sue giornate. La psicoterapia è sovente incentrata sul recupero dei sentimenti e delle emozioni, sul comprendere prima, dare poi un senso, e quindi cercare di colmare quella “fame emotiva” che è scambiata per un appetito fisico.

Queste persone hanno, infatti, difficoltà proprio nel riconoscere e discriminare tra le proprie emozioni e le sensazioni fisiche. Il dolore psicologico, la scarsa autostima, la sofferenza interiore, non sono necessariamente legati alla posizione sociale ed economica del soggetto e della sua famiglia. Anzi, alcune ricerche empiriche epidemiologiche, hanno mostrato rilevanti quote di pazienti appartenere a contesti socio-culturali non disagiati e persino socio-economicamente elevati.

Se la psicoterapia, individuale, familiare o di gruppo, resta la cura elettiva per i DCA, il lavoro in equipe sembra essere una delle forme più adatte a consentire questo tipo di cura. L’equipe è, infatti, essenziale per garantire alla terapia di poter essere portata avanti consentendo allo psichiatra e al medico internista di potersi prendere cura delle conseguenze fisiche della malattia.

Nelle sue varie ramificazioni teorico-cliniche, la psicoanalisi ha fornito la più estesa chiave di lettura teorica per la comprensione delle dinamiche psicologiche dei DCA. Si possono infatti trovare in letteratura un gran numero di contributi sia freudiani che post-freudiani, lacaniani e più recentemente anche junghiani. Nonostante ciò, il metodo psicoanalitico non è alla prova dei fatti ritenuto valido per affrontare queste problematiche.

Lo sono, tuttavia, le terapie basate sulla teoria psicoanalitica. La ricerca scientifica ha mostrato, a questo proposito, prove di efficacia nel trattamento dei DCA per le terapie: cognitivo-comportamentali potenziate (CBT-E), psicodinamiche di lungo e di breve termine (PDT), familiari (FBT) e interpersonali (IPT). Il tipo di relazione che si instaura con il terapeuta, il clima di fiducia e la motivazione alla terapia da parte del paziente, sembrano essere variabili altrettanto importanti quanto la tecnica. L’esperienza del terapeuta e le sue capacità personali ed empatiche potranno ulteriormente fare la differenza.

Sembra che la terapia di gruppo, proprio per la sua forma, si presenti in molti casi come una modalità di trattamento significativamente efficace, indipendentemente dal tipo di orientamento psicoterapeutico (CBT-E, PDT, FBT) con il quale essa viene attuata.

L’aspetto paradossale dei DCA è l’avere una causa psichica che richiede una cura psicologica, ma portare a conseguenze fisiche potenzialmente devastanti, in nessun caso da sottovalutare. Altro paradosso è nell’assenza di motivazione alla cura, la mancanza di richiesta d’aiuto da parte del soggetto malato, mentre la richiesta d’aiuto e di cura viene prevalentemente portata da un terzo, solitamente un familiare, che non è però colui che esprime la patologia. Il terapeuta, difatti, può essere percepito da questi pazienti come minaccia a una propria scelta. Le anoressie-bulimie divengono in tal modo per il soggetto un elemento di strutturazione della propria identità.

È fondamentale comprendere quanto sia difficoltoso per il soggetto anoressico-bulimico lasciarsi aiutare, proprio in virtù dell’integrazione di questi sintomi all’interno della propria identità. In tal senso l’affrontare esclusivamente il sintomo attraverso manovre miranti al recupero del peso corporeo o al ripristino della condotta alimentare, senza imperniare saldamente la terapia sugli aspetti psicologici, può esporre il soggetto al rischio di una frammentazione del proprio o della propria identità (a seconda del paradigma psicologico con cui si osserva il fenomeno), con conseguenze negative sull’evoluzione del disturbo e/o con la possibile comparsa di nuovi sintomi psichiatrici.

Per approfondire:Come sconfiggere i DCA?

I livelli di assistenza per la cura dei DCA

Per tutti questi motivi, nell’anoressia così come nella bulimia non va semplicisticamente curato il rapporto con il cibo, ma è necessario andare oltre le apparenze e assistere la persona nel riorganizzare l’intera personalità e il proprio orizzonte di emozioni, sentimenti, motivazioni e relazioni.

I livelli di assistenza nella terapia dei DCA possono essere riconducibili a cinque: 

  1. Ricovero d’urgenza/emergenza
  2. Ricovero Ospedaliero ordinario
  3. Residenza/comunità terapeutico-riabilitativa
  4. Ambulatorio specializzato
  5. Medico di base e pediatra

La scelta di un livello o dell’altro deve essere effettuata sulla base della valutazione di appropriatezza per ogni singolo caso, in funzione dell’età del soggetto, delle sue condizioni psicologiche e fisiche, della rete di supporto familiare e relazionale, oltre che della durata dei sintomi. La maggior parte dei pazienti, comunque, devono ricevere trattamenti a livello ambulatoriale. Altri livelli di assistenza, vengono attivati in base alle necessità e/o all’evoluzione nel processo di cura, su indicazione del terapeuta che ha in carico la gestione del paziente.

Per approfondire:Il Codice Lilla per i disturbi alimentari

Trattamenti farmacologici

Allo stato attuale della ricerca scientifica i trattamenti farmacologici per anoressia e bulimia hanno dato risultati poco soddisfacenti. Solo una ridotta percentuale di pazienti risponde al trattamento farmacologico, che va sempre associato alla psicoterapia. Non vi sono in ogni caso dati sufficienti a suffragare la maggiore efficacia di un farmaco o di un altro. Il medico e lo psichiatra utilizzano sia farmaci antidepressivi che antipsicotici, a seconda dei casi, ma anche stabilizzatori dell’umore. Alcuni medici e psichiatri, piuttosto che alla diagnosi di DCA, mirano a curare eventuali comorbidità, o esaminano la diagnosi di personalità del soggetto, individuando la categoria farmacologica più appropriata anche in funzione di queste rilevazioni cliniche. Utili invece le integrazioni alimentari – su indicazione del nutrizionista – che possono almeno in parte sopperire alle gravi carenze nutrizionali di questi pazienti.

Psicoterapeuta, psichiatra, psicologo, medico e nutrizionista dovrebbero collaborare tra loro il più possibile nella gestione del percorso di cura. Difatti, la psicoterapia è difficilmente attuabile sin dall’inizio con pazienti in condizioni fisiche particolarmente critiche e in questi casi occorre prima l’intervento medico affinché si stabilizzi il quadro biologico e organico. I familiari in queste situazioni dovrebbero sin da subito seguire un percorso psicologico, che li supporti nella relazione con il proprio figlio/coniuge e li aiuti a relazionarsi nel modo più adeguato con il paziente.

In specifiche circostanze può rendersi indispensabile addirittura un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) qualora il paziente rifiuti ostinatamente le cure e sia stato realmente compiuto ogni altro possibile tentativo, con il supporto dello psicologo, dello psichiatra e dello psicoterapeuta, perché il soggetto inizi ad accettare l’idea di avviare un percorso di cura.

Occorre precisare che ricovero ospedaliero e specialmente TSO non sono una “cura” per questo tipo di patologie, bensì rimedi di ultimo appello per tentare il recupero delle condizioni fisiche dell’individuo, da mettere in atto solo nel caso che il corpo sia in una condizione di compromissione grave, o la vita in imminente pericolo. Bisogna in ogni caso sempre ricordare che le “prove di forza” possono spesso peggiorare il quadro complessivo, anche perché i pazienti sofferenti di anoressia, sono tra quelli a maggior rischio di suicidio: rischio che aumenta notevolmente in conseguenza di ricoveri e di ricoveri coatti.

Il ruolo dei genitori nelle cure

Di grande aiuto nel percorso terapeutico, è lo spazio da dedicare ai genitori da parte dell’equipe. Queste patologie, infatti, sono un dramma per tutta la famiglia che va in qualche modo aiutata nel suo insieme ad affrontare e superare quella che è vissuta come una vera e propria tragedia familiare. Non è raro, inoltre, che il disagio manifestato con i DCA, sia in qualche modo legato anche alle dinamiche relazionali preesistenti nel nucleo familiare. Per questo, la famiglia può contribuire molto al percorso di guarigione dei figli o dei congiunti.

I genitori vanno inoltre sostenuti sia nell’affrontare i sensi di colpa, che spesso possono essere presenti e caratterizzare il loro vissuto nei confronti della patologia dei figli, sia nel rafforzare la loro capacità di ascolto e comunicazione con la figlia. Il rifiuto di mangiare dei figli diventa comprensibilmente l’unico motivo di preoccupazione per i genitori: un vero e proprio assillo, che condiziona progressivamente tutta la dinamica relazionale in famiglia, che finisce per ruotare completamente attorno al cibo, ai pasti, al nutrimento della figlia. Essi però non riescono quasi mai da soli a trovare in qualche modo la “soluzione” a questo problema.

Atteggiamenti di colpevolizzazione e controllo serrato, tentativi insistenti e forzosi di far mangiare i figli, manifestazioni eccessive di angoscia da parte dei genitori, o addirittura comportamenti aggressivi e violenti contro il rifiuto del cibo, possono contribuire a un maggiore irrigidimento da parte dei pazienti e a un conseguente rafforzamento dei comportamenti sintomatici. Si assiste in certi casi a un vero e proprio “braccio di ferro” tra genitori insistenti e figli rifiutanti, che non di rado genera situazioni di “stallo” nelle famiglie, ove aumentano solo i livelli di ansia e disperazione.

È sempre molto utile, piuttosto, che i genitori si lascino aiutare da un terapeuta esperto, in primo luogo per comprendere a pieno le serie implicazioni psicologiche del rifiuto di mangiare dei propri figli, e quindi siano assistiti nel superare il senso di disorientamento e di totale impotenza che frequentemente è provato da chi si relaziona con persone che esprimono la propria sofferenza con un DCA.

Prevenzione dei DCA

Individuare per tempo le situazioni di disagio, riconoscere i primissimi sintomi psicologici di un DCA sin dal loro esordio, mettersi nelle condizioni, in famiglia, per non favorire la comparsa di situazioni relazionali particolarmente disfunzionali, richiede conoscenza e informazione. Medici di base, pediatri, insegnanti, educatori, nutrizionisti, hanno necessità di essere adeguatamente informati e anche formati su cosa siano e come si possano trattare nel modo migliore possibile questi disagi. Ugualmente gli stessi psicologi, psicoterapeuti e psichiatri, possono avvalersi di una formazione specifica sui disturbi del comportamento alimentare, che li ponga nelle condizioni più idonee ad affrontare circostanze che possono mettere a dura prova anche i clinici più esperti.

Conoscere le anoressie/bulimie, vuol dire anche sbarazzarsi dai luoghi comuni. La prevenzione per i DCA, ad esempio, non si fa attraverso programmi di educazione alimentare: che hanno il loro valore, ma si riferiscono a problematiche di tutt’altro genere. Sono utili, piuttosto, progetti mirati a favorire la circolazione del pensiero tra i giovani, a stimolare le loro risorse personali e creative, a incoraggiare la comunicazione interpersonale e intra-familiare di emozioni e sentimenti.

L’insoddisfazione costante per il proprio aspetto fisico, l’attenzione esagerata al peso, la chiusura alle relazioni, l’allontanamento dal gruppo di amici, estremo perfezionismo nello svolgimento delle mansioni scolastiche, o al contrario un drastico peggioramento dei risultati, lo sproporzionato e ossessivo impegno nello sport, la scarsa tolleranza delle frustrazioni e gli sbalzi repentini d’umore, sono tutti indicatori di una possibile difficoltà psicologica nel giovane, che può essere temporanea, ma che potrebbe anche evolvere verso un disturbo del comportamento alimentare.

La diagnosi precoce, che include il riconoscimento delle insidiose manifestazioni sotto-soglia di questi problemi, assieme a interventi appropriati, è uno dei fattori prognostici favorevoli di maggior valore. Ciò richiede da parte dei familiari sensibilità e tatto nel riconoscere i primi segni di condotte disfunzionali nei figli e da parte del curante la non sottovalutazione di questi avvisi. La comunicazione in famiglia è in quest’ottica un’efficace mezzo di prevenzione. Nel dubbio, comunque, meglio effettuare anche solo un consulto con un terapeuta esperto.

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Fonti del web

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Data pubblicazione: 02 aprile 2017

Autore

alessandro.raggi
Dr. Alessandro Raggi Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 1997 presso La Sapienza - Roma.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Campania tesserino n° 5670.

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