Ansia perdere controllo

Paura ed ansia di perdere il controllo o "impazzire"

alessio.congiu
Dr. Alessio Congiu Psicologo, Psicoterapeuta

Paura ed ansia di perdere il controllo e impazzire: definizione, meccanismi funzionali, fattori di mantenimento e strategie di gestione.

La paura di impazzire o di poter perdere il controllo sul proprio comportamento motorio (es., paura di gettarsi da una finestra, paura di uccidere una persona cara) e verbale (es., paura di gridare in un luogo pubblico e affollato) o della propria attività di pensiero (es., paura di impazzire, di perdere il contatto con la realtà, di avere allucinazioni visive, di sentire voci, etc.) rappresentano esperienze mentali comunemente vissute in chi sperimenta un momento di intensa paura o uno stato prolungato di ansia.

Distinzione tra ansia e paura

Senza alcuna pretesa di esaustività, è possibile definire questi fenomeni come dei pensieri interni che si manifestano in modo soggettivo sotto forma di immagini mentali, di frasi verbali o più semplicemente di sensazioni non ben descrivibili ogni qual volta ci si trovasse alle prese con un vissuto di intensa paura (es., “Sto perdendo il controllo!”) o di ansia (es., “Potrei perdere il controllo da un momento all’altro”).

Come si vedrà di seguito, benché simili esperienze possano esprimere un fenomeno di normale funzionamento mentale in condizioni di intensa paura, potrebbero altresì attestare la presenza di un disagio mentale (es., Disturbo di Panico, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, etc,) se associate a vissuti intensi e frequenti di paura o ad uno stato di ansia particolarmente intenso e protratto nel tempo.

La necessità di distinguere il fenomeno emotivo da quello ansioso appare ben documentata nella letteratura scientifica (Rachman, 2004, p. 5; Palomba et Stegagno, 2004, p. 65; Sanavio, 2016, pp. 62-63), malgrado delle volte appaia maggiormente legata a finalità di ricerca e piucché di pratica clinica.

Il presente articolo cercherà di discriminare i pensieri di perdita di controllo che caratterizzano il vissuto emotivo di paura dal vissuto cognitivo-affettivo ansioso, al fine di permettere una migliore comprensione di quanto in ambito specialistico siritenga attestare una condizione di rilevanza clinica, come pure al fine di offrire una ridefinizione del problema attorno a cui definire un piano terapeutico individualizzato. 

Il meccanismo che scatena la paura

Secondo un approccio cognitivo, sembra possibile ipotizzare che il pensiero di perdita imminente del controllo sul proprio comportamento e sulla propria attività mentale sia il prodotto del processo della nostra cognizione che determina i nostri vissuti emotivi.

Si chiama processo di valutazione cognitivo-affettiva:

  • "Cognitiva" in quanto processo della nostra cognizione;
  • "Affettiva" in quanto determinante un'emozione. 

Contrariamente a quanto si fosse portati a credere dal senso comune, infatti, ogni nostra emozione (compresa la paura) sarebbe il prodotto di un'attività mentale inconsapevole che avverrebbe in modo involontario e immediato.

Non essendo consapevoli dell'attività di questi processi, potremmo acquisire consapevolezza di quanto avvenuto nella nostra mente solamente a posteriori, prestando attenzione a quanto si fosse prodotto nel nostro corpo (livello fisiologico), nel nostro flusso di pensieri cosciente (livello cognitivo), come pure a quanto fossimo portati a compiere per "istinto" (livello comportamentale). 

Ciò detto, l'ipotesi cognitiva riconosce la perdita del controllo cognitivo e comportamentale come il risultato di un processo di valutazione cognitivo-affettiva di un dato evento, il quale scatena un'emozione di paura intensa e di breve durata.

Data l’immediatezza dell’emozione, il pensiero di perdita del controllo affiora nella coscienza in modo improvviso, perdurando per intervalli di tempo circoscritti insieme a manifestazioni corporee (es., palpitazioni, gola secca, sudorazione, etc.) e all’impulso interno a scappare dalla situazione temuta (Rachman, 2004).

A differenza dei pensieri di perdita del controllo scatenati dall’ansia, quelli di intensa paura vengono avvertiti nel momento presente.

Quali condizioni si possono verificare nello stato di paura?

Per meglio comprendere i casi in cui tali pensieri possono esprimere la presenza di una condizione psicopatologica di paura (es., Fobia Specifica), sembra opportuno distinguere due distinte condizioni.

Valutazione della minaccia nel momento

In un primo caso è possibile parlare di questi pensieri come di una semplice ipotesi di minaccia che la nostra mente avrebbe prodotto spontaneamente a seguito di un processo di valutazione cognitivo-affettiva grezzo e immediato di un evento non meglio percepito.

Infatti, come alcuni studi lascerebbero supporre, in determinate situazioni la nostra mente sarebbe portata a interpretare gli eventi in modo stereotipato, generando ipotesi di minaccia simili a quelle di perdita del controllo cognitivo e comportamentale sopra indicate, aspetto quest’ultimo che spiegherebbe tra l'altro anche l’ampia portata di questo fenomeno nella popolazione generale.

Non a caso tali pensieri sono stati inclusi nella descrizione che il Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-5) ha offerto dell’attacco di panico (APA, 2014), definito come una normale reazione di paura di grande intensità caratterizzata dalla presenza di quattro o più dei seguenti sintomi fisici dell'ansia:

  1. Tachicardia con intense palpitazioni
  2. Sudorazione
  3. Tremori o mioclonie
  4. Dispnea o sensazione di soffocamento
  5. Sensazione di asfissia (iperventilazione)
  6. Dolore o fastidio al petto
  7. Nausea o dolore addominale
  8. Vertigini, sensazione di svenimento o di avere la testa leggera
  9. Brividi o sensazione di calore
  10. Parestesie (es., intorpidimento dei muscoli, formicolio, etc.)
  11. Derealizzazione (senso di irrealtà) o depersonalizzazione (senso di distacco dal proprio corpo)
  12. Paura di impazzire e di perdere il controllo
  13. Paura di morire

Valutazione della minaccia in base alla memoria pregressa

In un secondo caso, tali pensieri potrebbero sì esprimere l'esito di un'interpretazione cognitiva rapida ed immediata, ma bensì più complessa e raffinata, che si avvarrebbe di informazioni già presenti nella nostra memoria per il riconoscimento dello stimolo. Sarebbe quindi la presenza di specifiche informazioni presenti nella nostra memoria a esortarci a considerare la presenza di una condizione psicopatologica.

Sarebbe necessario che i vissuti emotivi, con cui andassero associandosi i pensieri di perdita del controllo sulla propria attività mentale o sul proprio comportamento, fossero particolarmente intensi (criterio di intensità) e protratti nel tempo (criterio di frequenza), così come capita in chi soffre di una Fobia Specifica o di uno degli altri disturbi che in ambito di ricerca sono spesso noti come "Disturbi da Paura", tutt'oggi rientranti nella più ampia classificazione diagnostica dei Disturbi d'Ansia.

In questi casi, infatti, a rendere “patologica” la presenza di simili pensieri non sarebbe tanto il loro contenuto, essendo quest'ultimo esperibile anche durante i normali episodi di panico sopra descritti, quanto piuttosto il grado di compromissione che i frequenti ed intensi vissuti di paura starebbero provocando sul proprio tenore di vita (es., sfera lavorativa, familiare, affettiva, etc.).

Ciononostante, essendo il modello cognitivo a cui ci si starebbe riferendo per spiegare il meccanismo di questi fenomeni un modello teorico che pone la cognizione inconsapevole come causa dei nostri vissuti emotivi, la semplice presenza di convincimenti poco realistici (es. "La depersonalizzazione mi porterà alla pazzia!") e/o di scopi poco realizzabili (es., "Non voglio spaventarmi per nessuna ragione a questo mondo") esprimerebbe essa stessa il fattore psicologico di mantenimento della psicopatologia.

Quali sono le cause dei pensieri di paura?

Una rondine non fa primavera, recita il vecchio detto popolare che nella sua saggezza esemplifica in modo semplice e chiaro il senso di quanto fino ad ora è stato presentato. Così come la presenza occasionale e sporadica del pensiero di perdita di controllo e di "impazzire" non sarebbe sinonimo di patologia mentale, allo stesso modo la continua presenza di simili pensieri, come pure dei vissuti di intensa paura con cui si presenterebbero, potrebbe attestare la presenza di fattori cognitivi (credenze e scopi) responsabili del mantenimento di una condizione di disagio psicologico. 

La risposta di allarme

Come insorgono dunque questi pensieri? Non esistono risposte certe ed esaustive nella letteratura scientifica (anche la tesi cognitiva, d'altronde, non esente da critiche lungo un piano empirico di ricerca), ma, in linea con la tesi cognitiva, appare possibile ipotizzare come questi pensieri siano il risultato di un processo di interpretazione poco realistica di alcuni stimoli interni o esterni. Ad esempio, non tutti sono a conoscenza che in presenza di stimoli inattesi e improvvisi, di elevata intensità e breve durata e non necessariamente minacciosi, il nostro organismo attivi in modo automatico uno specifico riflesso neuromuscolare noto come risposta di allarme (Buodo, 2009).

 

L'utilità di questo riflesso è presto detta: in condizioni di minaccia, questa particolare risposta endogena ci permetterebbe in modo involontario e inconsapevole di attivare il nostro corpo prima ancora di aver percepito correttamente lo stimolo minaccioso, al fine di mettere in atto i comportamenti più utili a garantire tempestivamente la nostra sopravvivenza, ossia l'attacco o la fuga. Non a caso la sua attivazione, seguendo complesse vie neurali, determinerebbe un insieme specifico di variazioni dell'attività fisiologica interna:

  • Contrazioni involontarie dei muscoli 
  • Incremento del tono muscolare 
  • Incremento della frequenza cardiaca 
  • Incremento della pressione arteriosa cerebrale e periferica
  • Variazioni nella frequenza respiratoria

L’aspetto peculiare di questa risposta appare tuttavia il fatto che, nella sua espressione, manchi completamente ogni forma di coinvolgimento diretto dei centri cognitivi superiori specializzati nella valutazione accurata della stimolazione (Le Doux, 1996).

Come è facilmente intuibile, laddove lo stimolo non fosse realmente minaccioso, non sarebbe biologicamente utile per il nostro organismo investire così tante risorse per prepararsi all'attacco o alla fuga, essendo questi comportamenti orientati a proteggerci da un pericolo esterno. È per tale ragione che, non appena il riflesso fosse stato attivato, la nostra mente inizierebbe a impegnarsi in un processo di analisi delle modificazioni interne appena occorse, come pure dello stimolo che si riterrebbe averle provocate (Schacter et Singer,1962). Il risultato di questa analisi ci permetterebbe quindi di ridurre lo stato di allarme, preservando le nostre energie, o di passare ad una risposta di difesa attiva, sfruttando le risorse fisiologiche già mobilitate.

Familiare a chiunque fosse rimasto concentrato nella visione di un film horror o di un thriller il classico trasalimento compiuto a seguito di scene dall'alto carico di suspence. In simili circostante, dopo un primo momento di allarme particolarmente attivante, riusciremmo comunque a ridurre la nostra attivazione e a non passare ad un'azione difensiva proprio grazie al risultato di una nostra interpretazione inconsapevole: Mi sono spaventato per via del film. Non ho niente di cui temere!

Tuttavia, che cosa potrebbe avvenire se la persona, non identificando lo stimolo attivante la risposta di allarme, si trovasse in balia di queste variazioni interne “non spiegate”?

Una delle possibili ipotesi qui proposte prevedrebbe proprio che la persona, non riconoscendo il fattore scatenante questo spavento improvviso e apparentemente ingiustificato, interpreti in modo catastrofico quell'insieme di modificazioni corporee prodotte dall'attivazione del riflesso di allarme, giungendo alla fatidica conclusione: Non ci sono spiegazioni plausibili per le quali sto vivendo queste sensazioni. Sto sicuramente perdendo il controllo sulla mia attività mentale!

A questo punto della trattazione è bene offrire un'ulteriore precisazione. Malgrado la persona possa aver realmente formulato l'ipotesi di perdita di controllo sopra citata, questo non spiegherebbe di per sé il di terrore che molto spesso le persone dichiarano di provare quando interpretano in modo catastrofico simili vissuti interni. Occorre quindi introdurre un ulteriore tassello che arricchisca la descrizione del funzionamento mentale che si starebbe proponendo.

Credenze e convinzioni

In modo non dissimile da come le diverse applicazioni presenti nel nostro portatile o nel nostro smartphone risponderebbero agli algoritmi qui impostati dai tecnici specialisti, le leggi di funzionamento della nostra mente sarebbero tali da portarci a valutare il nostro ambiente interno ed esterno secondo precise regole inferenziali, inscritte tanto nella nostra biologia, quanto all'interno della nostra mente (credenze o convinzioni).

Come è facilmente intuibile, tuttavia, nessuna regola potrebbe darsi se non in relazione allo scopo per la quale sarebbe stata "pensata" dalla nostra genetica (scopi biologici) o dalla nostra mente (scopo psicologico). Sarebbe quindi nella fitta relazione presente tra l'ipotesi formulata (credenza) e il senso che questa rivestirebbe per la persona (scopo) che troverebbe esito la nostra esperienza emotiva.

Ricapitolando, a rendere l'ipotesi di perdita di controllo appena formulata altamente avversiva per la persona sarebbero:

  • le convinzioni in merito a ciò che potrebbe conseguire qualora si stesse realmente perdendo il controllo della propria mente o del proprio comportamento;
  • gli scopi che la persona starebbe perseguendo, in modo più o meno consapevole.

Per esempio, in particolare nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo, sono frequenti le convinzioni di poter mettere in atto

  • comportamenti aggressivi verso sé stessi (es. infilzarsi con un coltello, gettarsi dalla finestra, etc.) o verso amici o parenti (es. aggredire fisicamente un familiare, investire il vicino di casa, etc.)
  • moralmente riprovevoli (es., bestemmiare in chiesa)
  • socialmente inaccettabili (es., emettere una rumorosa flatulenza in pubblico).

Ciononostante, tali credenze non permetterebbero di comprendere in modo esaustivo il senso che queste esperienze mentali avrebbero per la persona se non in relazione allo scopo che starebbero frustrando a seguito della loro stessa formulazione (Miceli et Castelfranchi, 2002). Ipotizzando come la persona tenga particolarmente a non sentirsi mai responsabile della sofferenza altrui, l'idea di poter compiere un atto aggressivo verso terzi spiegherebbe il motivo per il quale il pensiero di perdita di controllo si associ all'emozione di intensa paura che la persona starebbe percependo. 

Tornando all'esempio della risposta di allarme, le modificazioni fisiologiche interne prodotte dall'attivazione dell'emozione di paura, sommandosi a quelle già presenti che hanno avuto luogo a seguito dell'attivazione del riflesso, potrebbero così portare la persona a confermare indirettamente l’ipotesi di pericolo appena formulata, secondo un processo noto come ragionamento emozionale.

Riassumendo, in presenza di modificazioni interne non “spiegate”, la persona potrebbe finire con il valutare in termini catastrofici questi normali segnali interni, innescando un'emozione molto intensa di paura che potrebbe esprimersi a livello mentale con pensieri di imminente perdita del proprio controllo cognitivo (es., “Sto impazzendo!”) e comportamentale (es., “Sto per perdere il controllo degli sfinteri e farmela sotto dalla paura!”).

Tali contenuti mentali insorgerebbero in modo più o meno immediato nel flusso di pensiero cosciente della persona come riflesso mentale dell'interpretazione catastrofica appena compiuta, permanendovi per tutta la durata della modificazione fisiologica, della valutazione di minaccia formulata, come pure della paura che, con il suo corredo di manifestazioni fisiologiche (es., palpitazioni, sudorazione, bocca secca, tremori, etc.), offrirebbe ulteriori elementi percettivi che potrebbero essere utilizzati indirettamente per confermare la veridicità dell’ipotesi di partenza.

Ciò comporterebbe altresì che la scomparsa di questi pensieri avverrebbe in modo spontaneo semplicemente riducendo lo stato di attivazione interna dell’organismo e/o modificando l'interpretazione dell’evento (riformulazione cognitiva).

Il meccanismo che scatena l’ansia di perdere il controllo

Diversamente, i pensieri di possibile perdita del controllo comportamentale e cognitivo che caratterizzerebbero uno stato prolungato di ansia. Questi sono il risultato di un altro processo della nostra cognizione, anch'esso automatico, che serve a prospettarci mentalmente il possibile esito negativo di un evento temuto.

Definiamo questo processo anticipazione mentale delle conseguenze di un evento o, più semplicemente, aspettativa: in questo caso negativa, essendo l'evento prospettato (perdita del controllo) una condizione negativa per la persona (es. venir allontanati dagli altri, venir ricoverati in un centro psichiatrico, etc.).

In qualità di possibile esperienza mentale di uno stato di ansia, il pensiero di perdita del controllo perdurerebbe per un intervallo di tempo prolungato, accompagnandosi a una moderata attivazione del nostro corpo (es. vertigini, sensazione di svenire o di costrizione al petto, etc.) e a comportamenti di evitamento di tutte quelle situazioni di vita che si crede possano portare alla perdita del controllo temuta. 

A differenza dei pensieri di perdita del controllo che si presentano durante un'emozione di intensa paura, i pensieri di perdita di controllo che contraddistinguono l’esperienza mentale dello stato di ansia esprimono per la persona una perdita di controllo che potrebbe verificarsi in un momento futuro, ma che non si sarebbe ancora verificata, aspetto quest’ultimo che spiegherebbe l’incremento dello stato di vigilanza nei confronti degli stimoli interni (es. battito cardiaco) o esterni (es. atteggiamento di conoscenti o amici).  Da qui l’idea, spesso eccessivamente riduzionistica, secondo cui simili pensieri siano “causati” da un eccesso di controllo sul proprio comportamento o sulla propria attività mentale.

Il riflesso del controllo dell’ambiente

Per contro, appare forse più corretto riconoscere come simili esperienze siano esse stesse il riflesso mentale di un processo involontario di controllo del nostro ambiente interno ed esterno che, in modo implicito, starebbe già influenzando inconsapevolmente la nostra attenzione in due possibili modi:

  • orientandola verso la possibile fonte di minaccia (bias attentivo)
  • inficiando la nostra capacità di stimare della possibilità di occorrenza di questi eventi (bias di ragionamento).

Sarebbe proprio l'influenza dell'ansia sulla nostra cognizione a rendere più difficoltoso proseguire l'attività che si starebbe svolgendo (es. "Sono così agitato da non riuscire a concentrarmi!").

Ad esempio, ipotizzando che una persona stesse sperimentando il timore di poter perdere il controllo della propria attività mentale, è probabile che nel proprio flusso di coscienza insorgano pensieri o immagini associate a questo timore. La persona potrebbe immaginarsi come imprigionata dentro un corpo che reagirebbe esclusivamente in base ai propri impulsi e bisogni istintuali, temendo di non poter far nulla per inibire queste tendenze comportamentali; o ancora, potrebbe temere di scoprire da un momento all’altro un qualcosa di sé e del suo passato che potrebbe portarla immediatamente a vivere uno scompenso psicotico e ad entrare in modo irreversibile in uno stato alterato di coscienza, perdendo per sempre il contatto con la realtà.

In un simile contesto psico-emotivo, la semplice lettura della parola “delucidazioni” potrebbe venir letta facilmente come “allucinazioni” proprio a seguito dell’attivarsi di distorsioni del processamento cognitivo delle informazioni (bias cognitivi)

Nel complesso, inconsapevoli dei motivi per i quali sperimentiamo questo stato di vigilanza, nervosismo, tensione ed agitazione, potremmo quindi finire con il vivere uno stato di preoccupazione costante per l’eventualità che possibili eventi temuti potessero verificarsi nella condizione presente (es. “Potrei perdere il controllo sul mio comportamento da un momento all’altro”).

Sarebbe proprio questa condizione di indeterminatezza del pericolo a impedire alla persona di valutare se la probabilità di occorrenza dell’evento temuto e la sua gravità – caratteristiche queste ultime rientranti nel processo di anticipazione mentale sopra citato – fossero più o meno ragionevoli, e come tale a mantenere la durata di questo particolare stato psico-emotivo.

Infatti tali pensieri, benché utili a prepararci ad affrontare in modo attivo la minaccia ipotizzata, possono essere considerati irrealistici in relazione alla reale possibilità di perdita di controllo; infatti, essendo l'ansia una condizione di maggior vigilanza, la sua presenza esprimerebbe essa stessa una condizione di maggiore controllo!

Detto più semplicemente, si proverebbe ansia di poter perdere il controllo, benché non ci fossero prove oggettive ad attestare che questo controllo potesse realmente perdersi da un momento all'altro. Al contrario, a confermare il proprio timore sarebbero unicamente quelle stesse fonti interne (es. stato di attivazione del nostro corpo) che in precedenza erano state utilizzate per formulare l’ipotesi di pericolo iniziale.

Appare quindi corretto affermare che l’insorgenza di tali pensieri, sebbene in sé non esprima un fenomeno psicopatologico, attesti plausibilmente la presenza di convinzioni poco realistici, frutto di un’analisi limitata delle informazioni a nostra disposizione. D’altro canto, non ci sarebbe da stupirsi se giustamente si considerasse la condizione di partenza che ci avrebbe portati a compiere una simile interpretazione, ossia uno stato di grande attivazione del nostro corpo.

Analisi della realtà

Proviamo a riflettere: se il pavimento posto sotto i tuoi piedi iniziasse improvvisamente a muoversi in modo imprevisto, sarebbe più probabile che ti fermassi a riflettere con attenzione a tutte le possibili ipotesi, o salteresti invece alla conclusione per te più terrificante, quale ad esempio la presenza di un terremoto?

Bada bene come tale ipotesi potrebbe essere formulata indipendentemente dalla probabilità di occorrenza di tale fenomeno nella tua regione o nella tua città. Una simile consapevolezza sarebbe infatti l'esito di un ragionamento che coinvolgerebbe processi cognitivi più sofisticati e complessi, che richiederebbero tempo e risorse che potrebbero invece essere destinate al comportamento più utile a garantire la nostra sopravvivenza: la fuga.

Che cosa potrebbe quindi succedere se queste allarmanti e impreviste scosse provenissero non dall'ambiente presente intorno a noi, ma dal nostro interno? Secondo l'ipotesi proposta in precedenza, in assenza di ulteriori indizi contestuali, potremmo essere biologicamente o psicologicamente portati a pensare di stare per morire, perdere il controllo o impazzire. Solo in un secondo momento potremmo ridimensionare questa ipotesi di minaccia, per esempio dopo aver riscontrato come l'evento temuto non si stesse realmente verificando. Semplicemente, ci abitueremmo a queste sensazioni interne che finiremmo con l'accettare e categorizzare come esito della risposta di allarme descritta in precedenza. Tale convincimento ci permettere così di non passare da una risposta di allarme ad una di difesa, e a modulare conseguentemente la nostra attività interna. 

Se invece tali sensazioni interne andassero a ridursi in assenza di un ridimensionamento delle nostre ipotesi di minaccia, tali convincimenti potrebbero venir utilizzati in modo imprevedibile dalla nostra mente nei processi di anticipazione mentale tipici dell'ansia. In sostanza, potremmo quindi aspettarci di perdere il controllo o di impazzire da un momento all'altro.

Pertanto, il pensiero di perdita del controllo prototipico dello stato prolungato di ansia, non esprimerebbe nient’altro che la convinzione implicita che la persona avrebbe maturato in precedenza circa il valore emotivo di un dato evento: È pericoloso provare questo stato di attivazione del corpo, perché esprime una perdita di controllo sul mio comportamento o sulla mia mente.

Sarebbero proprio tali convincimenti a rendere problematica la presenza di questi pensieri, in quanto responsabili del mantenimento dello stato di ansia percepita.

Se la tesi esposta in questo paragrafo fosse corretta, il pensiero di poter perdere il controllo e/o impazzire, che caratterizzerebbe un prolungato stato di apprensione, tenderebbe a scomparire non appena venissero identificati i fattori attivanti questo particolare stato psico-emotivo (es., sensazioni corporee) e non appena venissero rivalutate la probabilità e la gravità delle conseguenze previste dalle nostre aspettative negative. 

Quali sono le cause della perdita di controllo?

Contrariamente a quanto scritto in diversi blog che trattano il tema, il pensiero di stare perdendo o di poter perdere il controllo sul proprio comportamento o sulla propria attività mentale non sarebbe il prodotto della paura o dell’ansia. Ad oggi, infatti, non sussistono prove empiriche che attestino la presenza di un rapporto causale diretto tra l’insorgenza delle manifestazioni cognitivo-affettive sopra indicate (paura ed ansia) e l’insorgenza di pensieri negativi di perdita/possibile perdita del proprio controllo cognitivo e comportamentale.

Diversamente, appare in linea con la letteratura scientifica riconoscere come questi pensieri esprimano la dimensione cognitiva di una risposta di intensa paura o di uno stato prolungato di ansia. Ciò significa che tali pensieri dovrebbero essere considerati essi stessi parte dell’esperienza di paura o di ansia che si starebbe percependo:

  • nel caso della paura in quanto riflesso mentale di un processo implicito e immediato di valutazione cognitivo-affettiva di un evento-stimolo con cui si starebbe interagendo nel momento presente (es. “Se sto provando questo stato di attivazione interna, allora significa che sto impazzendo”);
  • nel caso dell’ansia in quanto esito di un processo di anticipazione mentale delle conseguenze di un evento che si crede possa verificarsi nel prossimo futuro (es. “Potrei impazzire da un momento all’altro”).

Di interesse il fatto che, mentre nell’ansia di perdere il controllo, durante i processi di anticipazione mentale degli eventi, la nostra mente utilizzerebbe in modo automatico le tracce mnestiche presenti nei suoi magazzini (convinzioni disfunzionali), nella paura di perdere il controllo i processi di valutazione cognitivo-affettiva dello stimolo potrebbero fare ricorso o meno a queste memorie. Infatti, gli studi di Hugdahl (1995), mostrando come sia più probabile indurre nei soggetti sperimentali l’apprendimento per condizionamento classico di una risposta di paura nei confronti di stimoli ambientali inizialmente neutri (es., serpenti), offrono supporto all’ipotesi che il nostro sistema cognitivo presenti una facilitazione nell’implementazione di una risposta emozionale nei confronti di specifici stimoli interni o esterni.

Ciò spiegherebbe il motivo per il quale simili pensieri esprimessero dei fenomeni mentali comunemente vissuti durante specifici stati transitori del nostro organismo, quali sono quelli legati all’esperienza di panico. Come messo in evidenza di sopra, tale risposta sarebbe tuttavia modulabile dai processi cognitivi di alto livello, quali sono quelli che sfruttano le tracce mnestiche presenti nella memoria a lungo termine.

Riassumendo, per la sua attivazione l’ansia di perdere il controllo necessiterebbe sempre di una convinzione maturata in precedenza e sedimentata nella nostra memoria a lungo termine, a differenza della paura di perdere il controllo, presumibilmente dipendente tanto da credenze acquisite nel corso della propria storia di vita, quanto da predisposizioni filogeneticamente acquisite.

Perché si mantiene il pensiero della perdita di controllo?

Domanda certamente più utile per finalità terapeutiche quella volta ad indagare i fattori di mantenimento di questi pensieri. Un simile quesito trova una prima risposta nell’esamina dei fenomeni della paura e dell’ansia sopra indicati. 

Pensieri dovuti alla paura

In riferimento ai pensieri di perdita del controllo innescati da un'interpretazione catastrofica di normali esperienze interne (paura di perdere il controllo), si suppone che la loro presenza rimanga nel flusso di coscienza fino a quando la persona continuasse ad essere esposta a queste sensazioni e/o a valutare negativamente la loro presenza.

In entrambi i casi, il comportamento che più probabilmente potrebbe venire proposto per fronteggiare il pericolo percepito consisterebbe in rapido allontanamento da queste sensazioni interne. Tale comportamento potrebbe esprimersi tanto a livello comportamentale, quanto a livello cognitivo.

Ad esempio, una persona alle prese con un Disturbo di Panico potrebbe allontanarsi frettolosamente dal posto in cui starebbe avendo luogo l’esperienza di panico (es., aula universitaria, ristorante, cinema, etc.); ancora, nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo, l’inaccettabilità di simili pensieri all’interno del flusso di pensiero cosciente potrebbe portare chi ne soffre ad impegnarsi in attività mentali compulsive – quelle che nel linguaggio comune vengono spesso definite “manie” – che, spostando l’attenzione dallo stimolo originario, agirebbero riducendo l'interpretazione catastrofica di questi pensieri, riducendo conseguentemente l'esperienza emotiva.

Pensieri dovuti all’ansia

Discorso almeno in parte simile può essere compiuto per i pensieri di perdita di controllo innescati dai processi di anticipazione mentale (ansia di perdere il controllo), dove l’aspetto cardine del mantenimento sembrerebbe dato dalla presenza di credenze poco realistiche circa il significato delle sensazioni interne, e/o dalla presenza di scopi difficilmente realizzabili. Sarebbe proprio la presenza di simili credenze ad indurre la persona a mettere in atto contromisure che in modo indiretto agirebbero:

  • rafforzando la validità di queste convinzioni
  • prolungando la durata dello stato di ansia
  • rendendo questi pensieri spiacevoli un vero e proprio “chiodo fisso”.

Ne sono un esempio, le condotte di evitamento (es. non prendere la metropolitana), la ricerca di continue informazioni confirmatorie su internet (es. sintomi della Schizofrenia) o la ricerca di rassicurazioni (es. “Dottore ma secondo lei potrei impazzire?”). Ad esempio, nel classico circolo vizioso che alimenta il funzionamento psico-emotivo del Disturbo di Panico, la persona, impegnandosi in un’attività costante di evitamento di tutte le situazioni ritenute responsabili dell'esperienza di panico, rafforzerebbe indirettamente il convincimento che l’interazione diretta con questi eventi porti alla perdita di controllo temuta; ancora, chi si trovasse alle prese con un Disturbo Ossessivo-Compulsivo potrebbe rispondere allo stato ansioso appena percepito con quel rituale compulsivo ritenuto utile a ridurre la probabilità d’insorgenza dei pensieri temuti e del vissuto emotivo ad essi associati(es. lavarsi frequentemente le mani, ripetere mentalmente delle frasi), rinforzando conseguentemente la presenza di tali credenze disfunzionali.

In entrambi gli esempi sopra indicati, la persona alle prese con pensieri di perdita del controllo non riuscirebbe a riconoscere come tali strategie:

  • siano funzionali a ridurre lo stato di ansia presente nel momento presente;
  • siano responsabili del prolungamento nel tempo dello stato di ansia percepito;
  • riducano la libertà espressiva individuale.

Se quanto esposto fosse corretto, sarebbe quindi plausibile riconoscere come, malgrado la presenza di predisposizioni filogenetiche possa portarci in determinate circostanze ad interpretare in termini catastrofici specifici stimoli interni, facilitando di conseguenza l’insorgenza dei pensieri di perdita di controllo sul nostro comportamento o sulla nostra mente, sarebbero i convincimenti acquisiti nel tempo e presenti nella nostra memoria a renderci maggiormente esposti all'insorgenza di questi pensieri. 

Un ulteriore problema che solitamente si associa a questi vissuti, e che contribuisce a mantenerne la presenza dei pensieri di perdita di controllo, è la difficoltà che spesso si presenta nel parlare a terzi di queste esperienze. Il timore del giudizio che gli altri potrebbero attribuire alla persona qualora questi ultimi venissero a conoscenza di quanto si starebbe pensando agirebbe incrementando lo stato di disagio personale, esponendo infine l’individuo a vissuti emotivi negativi (es. vissuto depressivo) e a comportamenti controproducenti (es. isolamento) che risulterebbero entrambi secondari rispetto all’emozione di intensa paura o al prolungato stato di ansia iniziali.

Come gestire e curare la paura di perdere il controllo?

Partendo dal riconoscimento che la paura di perdere il proprio controllo cognitivo e comportamentale può esprimere un fenomeno di per sé non patologico (APA, 2014), la gestione di questi pensieri dovrebbe essere considerata unicamente per quei casi in cui la loro insorgenza attestasse la presenza di convincimenti poco plausibili circa il significato di normali esperienze interne. 

Una prima bozza di risposta è già stata offerta nel paragrafo precedente, mostrando come specifici fattori cognitivi (convinzioni disfunzionali) e comportamentali (es. evitamenti, ricerca di rassicurazioni) possano portare a mantenere l'esperienza di ansia.

Di contro, la messa in discussione di queste credenze o l'interruzione dei comportamenti compensatori potrebbe ridurre la portata di questi fenomeni psicologici ed emotivi

Ad esempio, l’interruzione di una ricerca costante di rassicurazioni potrebbe portare la persona a sperimentare nuove sensazioni interne (esperienza emotiva correttiva), contribuendo parallelamente a ridimensione la portata o la gravità delle proprie previsioni catastrofiche.

Ancora, potrebbe essere utile ricevere informazioni corrette circa il controllo di cui si disporrebbe:

  • sulla propria attività di pensiero (es., esistono pensieri automatici non controllabili volontariamente)
  • sull’episodio psicotico (es., durante uno stato psicotico la persona non è consapevole di quanto starebbe vivendo)
  • sul panico (es., pensare di stare impazzendo rientra tra l’esperienza della risposta intensa di panico)
  • sull’ansia (es. rimuginare attorno al contenuto di questi pensieri prolunga il mantenimento dello stato ansioso), etc.

In tal ottica, un intervento psicologico finalizzato alla loro modifica potrebbe probabilmente essere di aiuto alla persona nell’alleviare il disagio associato alla presenza di queste esperienze.

Sebbene simili timori possano trovare una propria risoluzione spontanea, gli sforzi compiuti in modo autonomo per ridurre la propria sofferenza finiscono spesso per aggravare il quadro clinicoe favorire la formazione di ulteriori convincimenti e comportamenti disfunzionali. Come tale, si rimanda il lettore interessato a questi temi al consulto con uno specialista formato appositamente per la gestione dei disturbi emotivi. 

 

Bibliografia

  • APA (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5. Milano: Cortina.
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Data pubblicazione: 16 marzo 2018 Ultimo aggiornamento: 24 agosto 2021

Autore

alessio.congiu
Dr. Alessio Congiu Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2015 presso Università di Padova.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Veneto tesserino n° 10147.

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