Ipnosi e dolore

g.delogu
Dr. Giovanni Delogu Psicologo, Psicoterapeuta

vorrei presentare l’uso dell’ipnosi medica come terapia complementare per la gestione del dolore cronico, dimostrando l’efficacia mediante studi scientifici e meta-analisi

Introduzione

Con questa breve premessa vorrei presentare l’uso dell’ipnosi medica come terapia complementare per la gestione del dolore cronico, dimostrando l’efficacia mediante studi scientifici e meta-analisi, e cercando di fare un quadro preciso dell’ipnosi nell’ambito della terapia del dolore.

Fondamenti scientifici dell’analgesia ipnotica

Il trattamento ipnotico del dolore acuto e cronico è conosciuto e praticato da molto tempo, ma solo recentemente è stata dimostrata la sua efficacia. Dal 1994 la IASP (International Association for the Study of Pain) ha incluso l’ipnosi nel curriculum dei professionisti che si occupano di terapia del dolore in America. Nel 1996 il Panel Report del National Institute of Health ha definito l’ipnosi come uno strumento affidabile, efficace per alleviare il dolore da cancro e altre condizioni di dolore cronico. Questo, in aggiunta alla voluminosa letteratura clinica e sperimentale (e.g., Hilgard & Le Baron,1984; Hilgard & Hilgard, 1994; Barber, 1996; Holroyd, 1996; Chaves & Dworkin, 1997), conferma che l’analgesia ipnotica è un fenomeno concreto e replicabile. Nel 2000 la meta-analisi di Montgomery, DuHamel e Redd, pubblicata nell’International Journal of Clinical and Experimental Hypnosis, rivista leader del settore, su 18 studi controllati, basata sul dolore riferito da 933 soggetti, mostra un risultato rilevante: le suggestioni ipnotiche alleviano il dolore nel 75% della popolazione, comprendendo diversi tipi di dolore sperimentato, supportando l’efficacia delle tecniche ipnotiche nella gestione del dolore. La variabilità del livello dell’analgesia ipnotica mostra una correlazione positiva col livello di suggestionabilità ipnotica. Gli Autori concludono pertanto che la riduzione del dolore mediante suggestione ipnotica può essere classificata come un "trattamento ben consolidato".

Caratteristiche dell’analgesia ipnotica

C’è un consenso comune tra i ricercatori sul fatto che l’analgesia ipnotica sia il fenomeno ipnotico più attendibile, e che i soggetti altamente ipnotizzabili siano maggiormente in grado di ridurre il dolore percepito, rispetto ai soggetti scarsamente ipnotizzabili (Brown & Fromm, 1986; De Benedittis, Panerai & Villamira, 1989; Hilgard & Hilgard, 1994; Zachariae & Bjerring, 1994; Dahlgren, Kurtz, Strube & Malone, 1995; Kiernan, Dane, Phillips & Price, 1995; De Pascalis & Perrone, 1996; Holroyd, 1996; Chaves & Dworkin, 1997; Crawford, Gur, Skolnick, Gur & Benson, 1998; De Pascalis, Magurano & Bellusci, 1999; Lynn et al., 2000; Montgomery et al., 2000; De Benedittis, 2002). La riduzione del dolore mediante suggestioni ipnotiche riguarda sia il dolore sensoriale che la sofferenza soggettiva; secondo la letteratura, il livello di quest’ultima subisce una riduzione significativamente maggiore rispetto al dolore sensoriale (e.g., De Benedittis et al., 1989; Hilgard & Hilgard, 1994). Questa dissociazione correla positivamente con la suscettibilità ipnotica (De Benedittis et al., 1989; Dahlgren et al., 1995; Rainville et al., 2000). La ragione per cui l’analgesia ipnotica è più efficace nei soggetti altamente ipnotizzabili rispetto ai soggetti scarsamente ipnotizzabili può essere legata all’evidenza sperimentale per cui le persone altamente ipnotizzabili dimostrano una grande flessibilità cognitiva, cioè l’abilità di cambiare strategie cognitive e stato di coscienza (e.g., Crawford and Gruzelier, 1992; Crawford, Brown and Moon, 1993a; Crawford, 1994). Questi cambiamenti di strategie cognitive sembrano essere accompagnati da una ampia specificità emisferica (e.g., Gruzelier,1990; Crawford and Gruzelier, 1992). I pazienti con un alto livello di ipnotizzabilità possono trovare utili suggestioni di analgesia come un bagno caldo o un parco ghiacciato. Le metafore sulla temperatura sono frequentemente efficaci perché le fibre del dolore e della temperatura viaggiano insieme nello stesso tratto spinotalamico laterale (Spiegel & Moore, 1997; Spiegel, 1985).

I pazienti scarsamente ipnotizzabili possono ugualmente trarre dei vantaggi dall’ipnosi, ma con risultati più consistenti nell’abbassare il livello di ansia e stress, e meno per la riduzione del dolore. Spiegel (1985) spiega che questi pazienti possono spesso ottenere benefici da una tecnica che li faccia focalizzare sulla distrazione, spostando l’attenzione verso una parte del corpo non provata dal dolore, per esempio concentrandosi sulla delicata sensazione dello sfregamento delle dita. Questi pazienti, piuttosto che alterare la percezione dell’area dolente, semplicemente spostano il focus attentivo verso una parte non dolente del corpo, sebbene la distrazione dell’attenzione dallo stimolo doloroso non possa essere considerato il meccanismo principale responsabile per l’analgesia ipnotica, dato che l’analgesia ipnotica e la distrazione rappresentano diversi sistemi di controllo del dolore e riguardano diverse aree cerebrali (Friederich et al., 2001; Bantick et al., 2002).

Modello teorico di riferimento

Il trattamento di analgesia ipnotica presentato aderisce al modello della teoria neo-dissociativa di Hilgard e Hilgard (1994). Secondo gli Autori, nel soggetto con una lesione organica tutti i canali di comunicazione sono aperti e c’è una normale cognizione del dolore. Gli indicatori volontari e involontari autonomici sono egualmente aperti e registrano l’evento: l’organismo nella sua interezza reagisce e registra la percezione del dolore. Gli Autori, per spiegare il fenomeno dell’analgesia ipnotica, ipotizzano che l’ipnosi crei una dissociazione tra la componente sensoriale del dolore e la sofferenza, intesa come esperienza soggettiva consapevole, probabilmente a livello del talamo. Gli autori hanno constatato strumentalmente che l’anestesia ipnotica toglie la sofferenza, ossia la componente “affettiva” del dolore, ma non elimina il dolore sensoriale, infatti le risposte fisiologiche dell’ipnotizzato in anestesia sono quelle di un organismo che sta soffrendo. Eppure se al soggetto ipnotizzato si chiede se stia soffrendo, questi lo nega. Secondo la teoria “neodissociativa” (Hilgard, 1986), il dolore è registrato dal corpo e dalla consapevolezza nascosta durante l’analgesia ipnotica. La teoria postula l’esistenza di sistemi multipli cognitivi nella coscienza umana, e un’elaborazione dell’informazione a livelli dissociati di consapevolezza. Questa interpretazione dell’analgesia ipnotica come dissociazione della coscienza suggerisce una spiegazione per l’apparente paradosso spesso trovato quando il dolore viene ridotto dall’ipnosi: il sentire il dolore (“risposta dichiarata”) può essere ridotto, mentre i parametri fisiologici involontari del dolore, incluse le risposte riflesse e autonomiche, (“risposta nascosta”), possono persistere a livelli quasi normali.

Neurofisiologia dell’analgesia ipnotica

Nell’ipnosi neutra le aree più frequentemente interessante sono la corteccia occipitale, perché sappiamo che è coinvolta nei processi di visualizzazione; il talamo, deputato all’elaborazione sensoriale; la corteccia intero-parietale, che rappresenta una sorta di GPS collegato con un satellite che ci colloca nel mondo; la corteccia prefrontale, che coinvolge l’attività cognitiva; la corteccia cingolata anteriore, che nell’ipnosi è implicata nei meccanismi di modulazione cognitiva, emotiva e fisica.

E’ fondamentale notare che, secondo gli studi di Damasio (2000), emozioni come la rabbia attivano le stesse aree di quelle del dolore, dal momento che sono aree intercambiabili.

In uno studio dell’88 è stata utilizzata la SPET in soggetti volontari in condizioni di analgesia ipnotica, confrontando lo spettogramma col dolore con lo spettrogramma con analgesia ipnotica. Questo studio, effettuato a Montreal, rappresenta uno dei lavori più importanti e significativi di questi ultimi anni (Bushnell, Duncan, Hofbauer, Chen, & Carrier 2004).

E’ la prima dimostrazione al mondo che l’ipnosi non solo è efficace nel modulare il dolore, ma che a questo effetto corrispondono variazioni coerenti e congrue dell’attività delle aree del SNC deputate a questi aspetti.

Paradigma dell’esperimento: soggetti altamente ipnotizzabili, messi in trance e suggerito loro delle suggestioni di bassa o elevata spiacevolezza, o bassa o elevata sofferenza in presenza di stimolo del dolore. Lo stimolo era uno stimolo termico, quindi a calore radiale, e la suggestione nel primo caso era: “tu sentirai questo calore che salirà progressivamente, avvertirai del dolore che diventerà sempre più forte, fino al punto da essere intollerabile”. Nel secondo caso la suggestione era di questo tipo: “il calore radiante salirà progressivamente, ma sarà come se tu non lo sentissi, il calore si propagherà sulla parte senza che tu lo avverta, senza un minimo di disagio”. I risultati dell’esperimento hanno dimostrato che l’attività della corteccia cingolata anteriore varia significativamente in base alla suggestione, dimostrando una correlazione lineare tra spiacevolezza del dolore suggerito e attività della corteccia cingolata anteriore. Questo studio rappresenta la prima dimostrazione che l’ipnosi è uno strumento efficace di modulazione del dolore e di modulazione dell’attività cerebrale.

Per concludere riassumiamo lo stato dell’arte delle nostre conoscenze sull’analgesia ipnotica: noi oggi sappiamo che l’ipnosi non agisce soltanto come meccanismo semplice e diretto, ma agisce piuttosto come una rete complessa, gerarchicamente organizzata, che attiva diversi livelli del SNP e SNC, attraverso la modulazione periferica del dolore e del sistema nervoso autonomo, attraverso la modulazione del riflesso spinale, la cui ampiezza è direttamente proporzionale all’intensità del dolore, e attraverso meccanismi sovraspinali, che agiscono attraverso una modulazione sia della componente sensoriale sia della componente affettiva. E infine c’è un filtro attentivo localizzato nella corteccia prefrontale che diverte l’attenzione del soggetto in trance da stimoli irrilevanti come possono essere quelli dolorifici, in quanto durante la trance vengono considerati tali (De Benedittis, 2008).

 

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Data pubblicazione: 13 maggio 2010

Autore

g.delogu
Dr. Giovanni Delogu Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2004 presso università degli studi di Cagliari.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Sardegna tesserino n° 1414.

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