Giochi d'azzardo

a.vita
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta

Il gioco d'azzardo è determinato da una compulsione a ripetere, azione coercitiva e difficile da combattere. E' una sfida contro il destino che spesso porta all'autodistruzione.

Su Wikipedia, enciclopedia online,  troviamo questa definizione: “Il gioco d'azzardo consiste nello scommettere denaro o altri beni sul futuro esito di un evento….In genere questo evento può essere un gioco di società come la roulette o l'ordine di arrivo di una gara, come le corse dei cavalli, ma in linea di principio qualsiasi attività che presenti un margine di incertezza si presta a scommesse sul suo risultato finale, e quindi può essere oggetto di gioco d'azzardo. Il gioco d'azzardo prospera anche in rete…..”
Vi sono i casinò, dove si giocano somme di denaro in tanti diversi modi. Ma vi sono molti altri giochi che non hanno bisogno di luoghi a ciò deputati, giochi a cui si appassiona un folto numero di persone, come il lotto e tutte le scommesse che si fanno sulle partite di calcio, sulle corse di cavalli, di cani. Ve ne sono di clandestine, altre fatte alla luce del sole, e approvate dalle leggi, che servono anche per rilassare e far sognare i giocatori, ma che spesso assumono un aspetto drammatico, quando il gioco si “fa pesante”, ed uno si ostina caparbiamente a puntare somme sempre più grandi e più consistenti.
Tra tanti giochi possono essere annoverati anche i famosi “gratta e vinci”, che non hanno bisogno di attese lunghe, perché basta comprare un biglietto, grattare la parte oscurata e conoscere la soluzione del gioco.
E fino a qui siamo alla commedia del gioco, alla parte piacevole, all’emozione di provare, al desiderio di tentare, a riflettere, al comprare, al controllare, al constatare e al  “perdere” o “vincere”.
Ma quando le somme diventano grandi, consistenti, smisurate, enormi, allora la perdita lascia un sapore amaro ed aspro in bocca e viene accusato un colpo allo stomaco, una delusione che  si cerca subito di mitigare o di combattere comprando ancora, giocando ancora, scommettendo ancora….e il più delle volte perdendo.
Ci sono giocatori che per scommettere, fanno debiti e sacrifici particolari, tanto da mettere in mezzo la famiglia, i figli e la consorte. O ci sono consorti che mettono a repentaglio le risorse della famiglia, perché il gioco d’azzardo non è un gioco che si coniuga solo al maschile, ma anche al femminile. Le donne, al pari degli uomini, sono a volte accanite scommettitrici.
I giocatori diventano “malati”, si appropriano del denaro necessario per scommettere ancora, per giocare ancora.
Quello che è iniziato come un gioco, come una commedia del vivere con leggerezza e con disincanto, diventa dramma, a volte tragedia. Ci sono casi di suicidi di persone che hanno perduto tutto al gioco.
Il gioco d’azzardo è stato descritto da grandi letterati, da romanzieri di ogni nazione, e il gioco d’azzardo ha attratto giocatori e giocatrici, illustri o no, famosi o sconosciuti.
Il giocatore “è un romanzo di  Dostoevskij ,  pubblicato nel 1866 e  scritto per necessità perché lo scrittore doveva pagare dei debiti di gioco (!!!!).
Ma perché si gioca d’azzardo,  quali sono le motivazioni che sottendono a questa forma di follia, di esasperazione dei sensi e della mente, delle emozioni  più assurde, le più pericolose per la vita e per la salute fisica e psichica?
Il gioco d’azzardo dipende da un impulso incontrollato che porta ad un’azione quasi coercitiva, una coazione a ripetere per dirla con Freud, una costrizione a reiterare un certo rituale per raggiungere l’appagamento di un desiderio il più delle volte nascosto che è quello di sfidare la sorte, il fato, di  ottenere la soddisfazione di impulsi atavici che possono compensare la persona di affetti non goduti o non appagati, o di attenzioni da parte dei genitori invano attese, inutilmente richieste e non ottenute, e di cui un soggetto è stato mancante. Ne va di mezzo anche una sicurezza di sé e del proprio Io, del suo fare, andate perdute e distrutte nel corso dell’ infanzia e dell’adolescenza. Nasce una scarsa autostima che può avere un triste conforto nel gioco contro un nemico ignoto ed  inesistente o che vive dentro il proprio Io sofferente e corrotto.
Diventa anche un vizio, un’abitudine dai cui è difficile separarsi, allontanarsi, venirne fuori,  per sempre.
Nasce quindi la necessità di soddisfare un'esigenza perversa, e così intensa  che non permette scampo.
Tali impulsi di rivalsa si manifestano appunto in azioni compulsive, che il soggetto è costretto a fare per alleviare l’ansia che si accumula dentro di sé, forse nelle parti meno conosciute e meno chiare della propria personalità.
Il gioco può assumere una forma di perversione che può essere devastante sul piano mentale e che può assumere una particolare importanza sul piano personale, privato, ma anche sul piano sociale.
Scommettere può essere una cosa esaltante, eccitante, ma occorre che non degradi e non si trasformi in una vera  e propria malattia dell’anima.
Quando diventa un’oscura necessità della persona, allora significa che il giocatore è entrato in un tunnel o meglio in un cerchio tragico e stregato, dal quale egli non riesce ad uscire , mentre chiunque voglia penetrarvi non riesce a farlo. Il soggetto è isolato, rinchiuso nella sua solitudine, perso nei suoi oscuri e logoranti pensieri. E spesso la famiglia può fare molto poco.
La psicoterapia può sortire effetti di pulizia e di sutura di questa infezione psichica, di questa sindrome complessa e pertinace, ostinata, persistente che assale il soggetto e non lo molla sino alla rovina sia sul piano finanziario che su quello del proprio essere. La psicoterapia può portare il soggetto verso la nascita o il risveglio di un Io forte e volitivo. Ma è un lavoro arduo, lungo, e faticoso.
Se per lo psicoterapeuta  è una sfida  difficile, per la famiglia il più delle volte  è un’impresa impossibile.

Per gentile  concessione della Redazione del quotidiano il
Corriere Adriatico che ha pubblicato l’art. il 26/06/2008.

Data pubblicazione: 02 giugno 2010

Autore

a.vita
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 1966 presso Univ. Urbino in Pedagogia.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Marche tesserino n° 200.

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