Quando le nostre convinzioni ci fanno ammalare

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Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta

il problema nasce dell’irrigidimento del nostro pensiero o comportamento su determinati miti

I miti e le false credenze nei rapporti di coppia e nella sfera sessuale 

La gente deve essere sempre …. È giusto che in amore ci sia…. in ogni coppia deve esserci sempre…. 

Questi sono esempi di idee o convinzioni radicate nella mente di ogni individuo e che fanno sentire il loro effetto sul comportamento influenzandone fortemente le scelte.
Quante volte nel corso della nostra vita ci siamo sentiti incompresi, delusi o illusi di fronte a situazioni in cui gli eventi si sono manifestati attraverso modalità completamente opposte al nostro modo di vedere le cose e l’incapacità di non essere stati in grado di modificarli ci ha lanciato in veri e propri vortici di disperazione? 
In quante occasioni all’interno di un gruppo di amici siamo rimasti sbalorditi dall’atteggiamento immorale di qualcuno? Ed ancora quante volte siamo rimasti scandalizzati o addirittura inorriditi da qualche strana richiesta sessuale di un nostro partner a tal punto da allontanarci da quest’ultimo?

Ogni individuo durante il corso della vita ha affrontato una esperienza del genere, tutti hanno incontrato una dimensione così diversa dalla propria visione del mondo da mandare in tilt le proprie credenze e le proprie convinzioni. Di fronte a tali situazioni ogni essere umano ha sempre reagito mettendo in atto una serie di soluzioni o di tentate tali affinché potesse affrontare o evitare il disagio derivante da questa esperienza. 
Tuttavia non entriamo nel merito dei meccanismi che un individuo applica per difendersi da queste tentate soluzioni ma vogliamo osservare come delle idee o delle convinzioni si incarnino nella mente degli individui a tal punto da trasformarsi in veri e propri Miti, e sono proprio tali miti che, se delusi, creano uno stato di malessere profondo. Tutte le volte che abbiamo avuto una esperienza di delusione in un rapporto amoroso o di fiducia oppure tutte le situazioni in cui siamo entrati in contrasto con qualche idea moralmente diversa dalla nostra e ci siamo sforzati affinché portassimo dei cambiamenti con la convinzione di avere la soluzione giusta, unica e definitiva, siamo stati vittime di quella che alcuni ricercatori californiani definiscono sindrome da utopia 

Questa sindrome altro non è che l’espressione di quei miti di cui abbiamo accennato, ossia delle convinzioni che, radicate nella mente, spingono un individuo a determinati comportamenti il più delle volte disfunzionali in quanto, il tentativo di adattare il mondo alle nostre credenze è quasi sempre destinato a fallire. Non si sta riferendo a idee politiche o religiose, progetti economici o di
vita, ma ci si riferisce a quelle credenze che nascono da un tipo di educazione e/o di esperienza che hanno formato un determinato modo di pensare. Ci riferiamo all’irrigidimento nei confronti di queste idee personali il cui cambiamento viene vissuto soggettivamente come sbagliato, contrario alla propria morale e/o come un tradimento verso la propria educazione.

Nell’ambito di una coppia o di una famiglia il cosiddetto PROBLEMA nasce dell’irrigidimento del nostro pensiero o comportamento su determinati miti.

Il mito, quindi, altro non è che una convinzione personale su come un comportamento dovrebbe essere. Tali miti vengono appresi nel tempo e si auto-rinforzano sulla base di una logica paradossale. Una esperienza positiva ci conferma che quella convinzione (mito) di cui siamo possessori sia giusta, una esperienza negativa ci conferma che in quell’occasione la nostra convinzione (mito) sarebbe stata comunque giusta e ci si sente frustrati per non essere stati in grado di imporla al mondo esterno. Se siamo felici il mito si radica sempre più, se abbiamo un malessere, il tentativo di eliminarlo ci spinge ad irrigidirci su tale mito rinforzandolo ancora di più alimentando paradossalmente il nostro malessere esistenziale..
I miti si tramandano da una generazione all’altra proprio come i geni e si annidano nella mente attraverso processi di imitazione o interiorizzazione di alcuni modelli comportamentali o modi di pensare della propria famiglia, dei propri genitori, dei propri nonni, fratelli o gruppi sociali a noi vicini. Modelli di pensiero che assumono significati di giustezza, di valori e verità assoluta che vengono sostenuti e approvati da chi ci sta intorno. Convinzioni, quindi, che se imposte al mondo ci renderanno illusoriamente giusti e felici. I miti ci spingono verso una visione utopistica del mondo, quella visione ideale, seppur soggettiva e soprattutto illusoria, di come le cose dovrebbero essere.

Per approfondire:I pensieri ossessivi possono diventare reali?

Dall’esperienza psicoterapeutica è possibile tracciare qualche esempio concreto di mito radicato nella mente di un individuo, un mito che fa spesso capolino quando in seduta d’avanti al terapeuta un uomo, una coppia o una famiglia si esprime. Qualche mito concreto darà meglio il senso del discorso che stiamo affrontando.

  • bisogna amarsi ed accettarsi per quello che si è 
  • non bisogna chiedere ma aspettare che l’altro spontaneamente dia 
  • nei rapporti sessuali non bisogna chiedere mai certe cose 
  • certe richieste sono immorali 
  • una donna non deve prendere iniziative altrimenti è una poco di buono
  • il proprio partner deve spontaneamente non guardare altre donne o altri uomini
  • chi vede film porno è immorale e perverso
  • chi si masturba in età adulta è immaturo frustrato e/o immorale
  • una donna non deve masturbarsi 
  • ogni uomo deve essere sessualmente sempre pronto attivo e non fallire mai
  • quando si ama ogni richiesta deve essere sempre soddisfatta
  • per me deve fare ogni sacrificio
  • finché si è in casa dei genitori bisogna rispettare le regole.

Questi esempi sono solo una parte delle migliaia di convinzioni utopistiche che albergano nelle menti degli individui ad alcune di queste sono certo di natura nobile e apparentemente giuste così come è anche giusto che gli esseri umani siano portatori di idee personali, tuttavia quando la loro imposizione al mondo diventa difficile o quando diventano mete irraggiungibili poiché in contrasto con filosofie differenti, si crea il cosiddetto problema.

E’ il nostro mito che diventa l’autore del conflitto e della sofferenza.
Quando il mito acquista un valore di verità assoluta, universale e immodificabile esso diventa patogeno, un vero e proprio parassita mentale che ci impedisce di entrare in contatto con chi ci sta di fronte e non ci permette di capire che il nostro è solo uno dei modi possibili di intendere la vita. Non possiamo avere l’idea illusoria di elevarlo a verità assoluta poiché il mito è l’espressione della nostra nicchia di appartenenza e che la famiglia della porta accanto avrà altri miti radicati e ciò che è giusto per noi non è giusto per l’altro. 

Il mito nasce anche dal desiderio profondo che abbiamo su una determinata cosa e su come vogliamo che un comportamento debba essere. Ed anche in questo caso è solo un nostro desiderio che tentiamo di evolvere a realtà universale che cozza con una realtà oggettivamente differente della nostra. Cambiare il proprio mito rappresenterebbe tuttavia una fonte di malessere in quanto, quasi per una sorta di economia mentale, il cambiamento porterebbe ad uno stato di apparente disequilibrio verso il quale ci difenderemmo con tutte le forze poiché l’idea conflittuale che balenerebbe sarebbe quella che mettendo da parte il mito tradiremmo l’eredità culturale dei nostri cari. Ed ecco la battaglia con il mondo o con sé stessi, ecco come contribuiamo a costruirci il conflitto e la sofferenza mettendo in atto quegli atteggiamenti tipici della sindrome da utopia.  

Alcuni attribuiscono l’incapacità di raggiungere i propri miti agli ostacoli del mondo esterno colpevolizzando quindi gli altri dei propri insuccessi e delle proprie sofferenze.
Altri attribuiscono a sé stessi questa incapacità quindi colpevolizzandosi e sentendosi delusi di sé stessi, non considerando che tale incapacità risiede appunto nella meta che ci si pone, una meta che, come abbiamo visto, risulta utopistica e quindi irraggiungibile. Questa incapacità è il nocciolo del problema che noi stessi abbiamo costruito.
Apparirà chiaro come dal mito si possano aprire le porte verso sindromi depressive o conflitti famigliari e di coppia. In quest’ultima soprattutto, il mito rappresenta un vero e proprio terzo incomodo profondamente disturbante in grado di allontanare due individui o di renderli infelici.

Ecco alcuni esempi di persone che potremmo definire vittime del mito. Esempi clinici:

Esempio 1:
Silvia e Antonio sono una coppia di giovani sposi che entrarono in terapia per una sopraggiunta incompatibilità sessuale. Silvia non riusciva più ad avere un orgasmo soddisfacente in quanto il suo lasciarsi andare veniva bloccato da idee ricorrenti di rifiuto verso il proprio partner. Con il tempo i rapporti diventarono sempre più radi a tal punto che anche la relazione cominciava ad irrigidirsi. Entrambi instaurarono una relazione extraconiugale orientata soprattutto alla ricerca di quel piacere che all’interno della coppia era ormai assopito. Quando dopo un mese di relazione extra Silvia cominciò ad avere lo stesso problema con “l’amante” venne alla luce che questo blocco nacque dopo alcune richieste di prestazioni sessuali mai praticate in precedenza. Sia il marito che l’amante, casualmente chiesero a Silvia di introdurre le sue dita nel loro ano. Silvia rimase sconvolta in quanto non poté accettare una richiesta simile dal suo uomo in virtù del suo MITO se un uomo chiede certe cose o è perverso o a tendenze omosessuali. Da qui il suo blocco e le relative conseguenze di una realtà frustrante che lei stessa aveva contribuito a costruire.

Esempio 2:
Leonardo un imprenditore di mezza età entrò in terapia per un disturbo depressivo. Il suo umore era diventato con il tempo sempre più depresso a tal punto che non sentiva più la forza di portare avanti la sua azienda. Passava le giornate in casa nel tentativo di leggere alcuni libro o quotidiani, anche quest’ultimo compito diventato difficoltoso. I suoi racconti erano carichi di sensi di colpa e sentimenti di tradimento subito. Dai racconti emerse che si sentì particolarmente tradito dal figlio il quale, anziché portare avanti l’azienda del padre, scelse il mondo della musica e dello spettacolo. Leonardo scelse di agire attraverso la rinuncia in quanto aveva lavorato una vita inutilmente e non era riuscito a raggiungere la meta ossia attuare il suo MITO un uomo che lavora soprattutto per i figli dovrebbe essere ricambiato da loro portando avanti l’azienda di famiglia.

Esempio 3:
Una coppia entrò in crisi quando dopo alcuni anni di fidanzamento il partner fece notare alla propria ragazza il fatto che quest’ultima stesse aumentando di peso e le fece una esplicita richiesta di controllare l’assunzione di cibo. Quest’ultimo non le fece alcuna imposizione ma espresse solo un suo gusto personale sul fatto che la preferiva come un tempo pur continuando ad amarla profondamente. La ragazza reagì attraverso un allontanamento anche sotto l’aspetto sessuale non
per una ripicca alle sue affermazioni ma perché espresse chiaramente la delusione nei confronti di una sua convinzione sul rapporto di coppia, la sua rabbia verso il ragazzo nasceva dal fatto che questi avesse infranto il suo 
MITO non bisogna mai chiedere al partner di cambiare, bisogna accettare ogni difetto e amarsi per quel che si é.  

 

L’elemento terapeutico in questi casi era orientato verso il dispiegamento e l’elaborazione del mito, l’accettazione dei suoi limiti e dei suoi svantaggi e la costruzione della visione di realtà alternative più funzionali e meno frustranti.

Riferimenti

  • Watzlawick et al. Change, sulla formazione e la soluzione dei problemi, Ubaldini Milano 1973
  • Mariano, Paternò, Verbtiz, i volti della depressione, Ponte alla Grazie, Milano, 2006.
  • De Grada, Mannetti, l’attibuzione causale, il Mulino, Milano, 1988.
Data pubblicazione: 02 giugno 2010

Autore

a.devincentiis
Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 1996 presso Università La sapienza di Roma .
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Puglia tesserino n° 1371.

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