Attacchi di panico e fobie

rossella.campigotto
Dr.ssa Rossella Campigotto Psicologo, Psicoterapeuta

...Come complicati, annosi e sofferti problemi quali sono le forme gravi di paura non richiedano obbligatoriamente altrettanto complicate, annose e sofferte soluzioni... (cit. Paul Watzlawick)

La paura e i comportamenti che genera

La paura è la più primitiva tra le nostre emozioni; coinvolge mente e corpo così velocemente da battere sul tempo qualsiasi pensiero ed elaborazione mentale.

Ciò che determina il delinearsi di una forte sintomatologia fobica, non è l’evento iniziale, ma tutto ciò che il soggetto fa per evitare la paura (Nardone, 1993).
Cioè “le tentate soluzioni” messe in atto dalla persona per allontanare la paura dello scatenarsi delle proprie reazioni emotive e somatiche, conducono al peggioramento dei sintomi giungendo fino alla generalizzazione delle percezioni e reazioni fobiche nei confronti della realtà, finendo per aggravarla ancor di più.
Tale generalizzazione porta il soggetto ad uno stato chiamato helplessnes cioè l’impotenza appresa. L’individuo cioè finisce con l’aspettarsi di non poter possedere alcuna influenza e controllo sugli eventi. Tale condizione  può determinare tre esiti: la depressione, una reazione di paura acuta e cronica di tipo persecutorio, il ricorso a rituali e credenze capaci di controllare la minaccia degli eventi temuti.

Il fobico tenta di continuo di controllare o di evitare le condizioni che potrebbero determinare l’escalation dalla paura all’attacco di panico, ed è proprio il cercare di avere il controllo che conduce alla perdita del controllo. Spesso con l’intenzione di controllore le proprie reazioni il soggetto è continuamente all’ascolto dei parametri fisiologici che indicano l’innalzarsi del livello di ansia (battito cardiaco, ritmo respiratorio, senso di equilibrio, lucidità mentale,…), ma essendo funzioni spontanee dell’organismo, il loro controllo razionale ne altera la naturale espressione. Il soggetto percepisce questa alterazione e si spaventa; i parametri fisiologici si alterano ancor più, il livello di paura aumenta e, se questo circolo vizioso di interazione disfunzionale tra mente e corpo non viene interrotto, porterà all’attacco di panico.

L’osservazione empirica e l’esperienza clinica evidenziano due tipici copioni comportamentali che si accostano al circolo vizioso di percezioni e reazioni interne precedentemente descritto: la tendenza ad evitare la situazione associata all’attacco di panico e la costante ricerca di aiuto o protezione da parte di altre persone. Entrambe le modalità di gestione della paura la alimentano (Nardone, 1993).

Se un individuo associa all’attacco di panico una situazione, che sia in seguito ad una esperienza diretta o per una supposta pericolosità, di solito tende ad evitarla. Ma l’aver evitato la situazione temuta conferma la sua pericolosità e la sensazione di inadeguatezza del soggetto, aumentando la paura della volta successiva. Inizialmente tutto ciò da una sensazione di salvezza dal panico, poi però alimenta l’dea di non essere capace di affrontare la situazione evitata. La fuga dopo la fuga produce una sfiducia generalizzata nelle proprie risorse del soggetto.

La persona che ha completamente perso la fiducia nelle proprie capacità di fronteggiare le situazioni che considera critiche chiede aiuto agli altri deresponsabilizzandosi, intervenendo prontamente nel caso di un attacco di panico o rassicurandolo con la loro presenza di prevenire l’innescarsi del panico. Come per l’evitamento delle situazioni, anche questa tipologia di relazione offre sì immediata protezione, ma al tempo stesso conferma al soggetto la sua incapacità e inadeguatezza ed aggrava la sua condizione.

Per riassumere, il disturbo prende avvio da un piccolo momento critico che schiude al soggetto la percezione di perdita di controllo. A quello seguono i tentativi di controllo delle proprie reazioni, che incrementano, invece di ridurle, tali sensazioni iniziali. Sulla base di ciò la persona inizia a mettere in atto il copione dell’evitamento e la tattica della richiesta di aiuto diretta o indiretta. Queste strategie alimentano il senso di insicurezza rispetto alle proprie risorse, rafforzando piuttosto che diminuire la percezione delle minacce. Se la persona procede per qualche mese in questo modo giungerà alla costruzione dell’attacco di panico.

La fuga e la richiesta di protezione sono reazioni naturali orientate all’autopreservazione, sono strategie in genere efficaci contro la paura; è il loro esasperarsi e generalizzarsi che le rende patogene. Inizialmente o nell’immediato queste strategie funzionano bene, ma con l’andare del tempo esse si irrigidiscono e divengono disfunzionali.

Trattamento delle fobie

Il più delle volte il trattamento iniziale della sintomatologia fobica è il ricorso a farmaci tampone della reazione. Tale intervento se non associato ad una terapia farmacologia mirata, il più delle volte è efficace solo inizialmente per poi perdere pressoché totalmente i suoi effetti terapeutici. Si trasforma anch’esso in una tentata soluzione che alimenta piuttosto che eliminare il problema, poiché abitua la persona a delegare al farmaco la sua capacità di resistere alle reazioni di panico.

Svariate sono le forme del panico. Ecco di seguito una classifica delle paure patologiche: la paura di perdere il controllo, la paura di volare, la paura dell’altezza, la paura di perdere persone care, la paura di animali, agorafobia e claustrofobia, la paura del rifiuto sociale, la paura delle malattie, il controllo troppo riuscito (le ossessioni compulsive), la dismorfofobia.

La psicoterapia breve strategica è efficace nel 95% dei casi ed in media porta alla risoluzione del problema in sette sedute (Nardone, 2005). L’intervento strategico prevede quattro fasi:

  1. Prima fase: individuare il tipo specifico di paura patologica che conduce al panico e allo stesso tempo introdurre nelle visioni del paziente elementi che lo conducano a cambiare prospettiva rispetto al suo problema.
  2. Seconda fase: suggerire, condurre o prescrivere direttamente azioni o pensieri che inducano la persona a compiere esperienze di cambiamento. Ovvero applicare quegli stratagemmi terapeutici indicati per far sì che la persona interrompa le sue disfunzionali tentate soluzioni: il controllo che fa perdere il controllo, l’elusione e la richiesta d’aiuto nelle sue varie forme.
  3. Terza fase: condurre la persona ad incrementare le sue esperienze di successo nella gestione delle sensazioni e situazioni spaventose.
  4. Quarta fase: chiusura dell’intervento e ridefinizione del risultato come piena responsabilità dell’ormai ex paziente
Data pubblicazione: 14 settembre 2010

Autore

rossella.campigotto
Dr.ssa Rossella Campigotto Psicologo, Psicoterapeuta

Laureata in Psicologia nel 2005 presso UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PARMA.
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Lombardia tesserino n° 10714.

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