Quando gli altri diventano un problema: capire e vincere la fobia sociale

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Dr. Fausto Girone Psicologo, Psicoterapeuta

La fobia sociale è la paura di essere giudicati in modo negativo nelle situazioni sociali o quando si stanno svolgendo attività in presenza di altre persone. La caratteristica principale di questo disturbo è la paura/ansia di affrontare la presenza degli altri.

Una delle componenti principali di questo disturbo è proprio l'ansia.

Ma parlando di questa emozione, possiamo dire che a ciascuno di noi capita di provare ansia in alcune situazioni sociali. Ad esempio anche chi è abituato a parlare in pubblico, può sperimentare ansia nel momento in cui sta per tenere un discorso.

Oppure, proviamo a pensare, a chi non è mai successo di sentirsi un po' a disagio quando deve partecipare ad una festa e conosce pochi invitati? E ancora, chi non si è sentito a disagio a seguito di una “gaffe” in pubblico? Sicuramente, molti di voi, si saranno ritrovati in qualcuno di questi esempi, per cui possiamo tranquillamente affermare che a tutti noi è capitato, in alcune situazioni, di provare ansia sociale. Inoltre, in alcuni casi, l'ansia sociale, non è solo situazionale ma può essere correlata al carattere della persona e a tratti di timidezza e introversione.

 

Ma quando si può parlare di timidezza? E quando invece di un disturbo?

Sebbene timidezza e fobia sociale possano riflettere un diverso grado dello stesso disagio, non sono la stessa cosa.

La timidezza può essere un tratto del carattere, in cui la persona si mostra particolarmente introversa. Sono caratteristiche non necessariamente disturbanti, che possono presentare vantaggi e svantaggi. Se infatti la timidezza può costituire un ostacolo alla conoscenza di nuove persone, viceversa può anche rappresentare un aspetto apprezzato e fonte di attrazione. La timidezza quindi non è un disturbo, se conoscete persone che si dichiarano timide, o che voi le considerate come tali, però è probabile che tali persone siano riuscite a raggiungere i propri scopi personali senza particolari difficoltà.

Diversamente, l'ansia sociale può diventare un disturbo molto invalidante nel momento in cui la persona prova costantemente una paura intensa di affrontare le situazioni in cui si sente esposta al giudizio altrui.

Infatti, nella fobia sociale, le emozioni negative (ansia, imbarazzo, vergogna, senso di umiliazione, ecc.) diventano talmente invalidanti e disturbanti da ostacolare il normale svolgimento della vita quotidiana, fino a condizionarne le scelte di vita nei vari ambiti (lavorativo, sociale, relazionale, ecc.). Quindi la timidezza non interferisce pesantemente con l'andamento lavorativo, scolastico e sociale, diversamente da quello che può succedere a chi soffre di fobia sociale.

 

Chi ne soffre e le conseguenze del disturbo

La fobia sociale è un disturbo è piuttosto comune, colpisce circa il 5% della popolazione generale, maggiormente le donne degli uomini.

La differenza fra i sessi è anche relativa alle situazioni temute: gli uomini che soffrono di fobia sociale, identificano l'utilizzo del bagno pubblico come una delle situazioni più temute, mentre per le donne è andare ad una festa.

Le ricerche svolte hanno stimato che in Italia ne soffrono indicativamente dai 4 ai 7 milioni di persone. Chi soffre di questo disturbo richiede difficilmente aiuto agli specialisti perché sottovaluta il suo problema o se ne vergogna oppure per la convinzione, spesso inculcata da altri, che si tratta di timidezza e che basta la buona volontà per potersi risolvere. Alla luce di ciò è probabile quindi che la fobia sociale sia ancora più diffusa di quanto indicato dalle ricerche.

Le persone con fobia sociale, possono sperimentare disagio in ambito scolastico o lavorativo, sociale ed affettivo. Le difficoltà scolastiche sono spesso causate dalla presenza d’ansia da prestazione (es. durante un esame). In ambito lavorativo la persona può manifestare timore di parlare in pubblico oppure evitare impegni in cui potrebbe sentirsi valutata negativamente.

In alcuni casi tali difficoltà diventano talmente pervasive da causare l’abbandono della scuola o del lavoro. Dal punto di vista sociale e affettivo, i soggetti con questo disturbo hanno meno probabilità di avere relazioni sociali e sentimentali rispetto alla maggior parte delle persone. Nei casi più gravi la persona si può isolare completamente, in altri casi può associarsi depressione e abuso di sostanze stupefacenti complicando il quadro descritto.

Alcune caratteristiche della fobia sociale sono presenti anche in altri disturbi psicologici, quindi per ottenere una diagnosi seria ed accurata, tuttavia, è necessario rivolgersi a persone qualificate (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri).

 

Capire i sintomi e le manifestazioni nella fobia sociale

E' possibile usare queste domande, non per fare auto-diagnosi, ma come strumento di auto-monitoraggio per comprendere meglio se la vostra ansia è qualcosa di più di un' eccessiva timidezza.

1) Come mi comporto nelle situazioni sociali?

  • Cerco di evitare spesso: feste, cene, acquisti nei negozi, riunioni di lavoro, svolgimento di attività quotidiane in presenza di altre persone (es. mangiare, guidare, scrivere, utilizzare il telefono, ecc.).

  • evito il contatto oculare degli altri

  • cerco il più possibile di non attirare l'attenzione

  • mi scuso senza ragione

  • se divento rosso/a mi copro le guance con le mani

  • è generalmente difficile dire di “no” quando si dovrebbe

2) Cosa penso rispetto alle situazioni sociali?

  • Ho una costante preoccupazione riguardo a ciò che penseranno gli altri

  • Tendenzialmente penso che qualsiasi cosa faccio o dico possa essere sbagliata

  • Quando sono in mezzo agli altri, mi sento osservato/a

  • Penso che quello che faccio in quella situazione sia sbagliato

  • Sono molto critico verso me stesso/a

3) Nelle situazioni temute o quando ci penso, come mi sento fisicamente?

  • Tensione ai muscoli

  • nausea

  • rossore in viso

  • senso di calore

  • tremori

  • gambe molli

  • sudorazione

  • batticuore

  • balbettio

4) Cosa provo?

  • Sensazione di essere al centro dell'attenzione

  • imbarazzo e vergogna

  • senso di agitazione all'avvicinarsi della situazione temuta

  • senso di tristezza e sconfitta al termine della situazione temuta

Provate a riflettere su questi aspetti, qual'è la vostra valutazione?

 

Tre piccoli esempi: la fobia sociale di Chiara, Alessandro e Sara.

Chiara è una studentessa universitaria di 24 anni, è iscritta al quarto anno di giurisprudenza e vive con i genitori.

Teme di interagire con persone che non conosce, ha timore di dire cose sbagliate e di fare la figura di una persona poco intelligente.

Quando si trova in queste situazioni, le batte forte il cuore, diventa rossa in viso e non sa cosa dire (come se non trovasse le parole).

I pensieri legati all'ansia sono: “non saprei cosa dire”; “potrei dire cose stupide e banali”, “potrei essere giudicata sciocca o poco interessante”.

Daniela, ha 28 anni e fa la commessa in un negozio di abbigliamento. Vive da sola.

La situazione critica è quando interagisce con i clienti, le succede che le sudano le mani e a volte si sente imbarazzata.

I pensieri e le emozioni collegate all'ansia sono: “potrei mostrarmi indecisa e titubante”

ho paura di essere giudicata scarsa nel mio lavoro”; “potrei apparire poco affabile con i clienti”

Alessandro, ha 40 anni, convive con la compagna ed è un manager in una azienda commerciale.

Si sente a disagio quando deve parlare in pubblico, tenere conferenze o riunioni, in particolare di fronte ad un pubblico ampio.

In queste situazioni sperimenta tachicardia, voce tremante o spezzata e in alcuni casi balbettio.

I pensieri e le emozioni collegate all'ansia sono: “potrei bloccarmi e non ricordarmi quello che devo dire”; “potrei essere giudicato dagli altri come un incompetente”

Queste tre storie evidenziano quali sono i meccanismi (cognitivi-emotivi e comportamentali ) che intervengono nella fobia sociale, infatti questo disturbo si struttura in tre fasi fondamentali:

  1. L'attesa della situazione

  2. La situazione stessa

  3. La valutazione soggettiva dopo la situazione temuta

Ma vediamo questi tre momenti uno ad uno.

1) L'attesa della situazione. Cosa succede in questa fase? L'idea di dover affrontare una situazione temuta può provocare un'intensa reazione ansiosa. Cominceremo a pensare al contesto in cui ci troveremo e nella nostra mente si formeranno immagini catastrofiche di ciò che temiamo possa accadere, la combinazione fra immagini e pensieri porterà ad un aumento dell'ansia.

Ad esempio chi come Alessandro - che teme di parlare in pubblico - nel momento in cui sa che dovrà tenere una relazione davanti ad altri colleghi, inizia ad allarmarsi ed agitarsi. E nei giorni precedenti alla situazione temuta, Alessandro non farà altro che pensare al momenti cruciale: il momento in cui toccherà a lui parlare davanti a tutti.

Potrà immaginarsi gli occhi puntati su di lui in attesa che lui inizi a parlare, mentre il panico potrà bloccargli le parole e il cuore comincerà a battere sempre più forte.

Per Alessandro i giorni precedenti alla “fatidica” riunione diventano una sorta di supplizio, inizia a dormire male, si sente teso e nervoso, non riesce a concentrarsi.

L'attesa della situazione temuta è quindi caratterizzata da:

  1. pensiero fisso sulla situazione, esempio si immagina che la propria ansia sarà talmente intensa da bloccare la prestazione e andare incontro ad un insuccesso

  2. ansia esponenziale: più si avvicina la situazione e più l'ansia aumenta. Possono presentarsi vari sintomi: disturbi del sonno, tensione, problemi gastrici o intestinali

2) La situazione

Questo è il momento più temuto, tant'è che a a volte si cerca di evitarlo.

Sara, teme di tremare davanti agli altri, spesso le colleghi la invitano a pranzo e molte volte inventa delle scuse per non andare. Non sempre è possibile evitare le situazioni e quindi anche Sara a volte si trova a pranzo con le colleghe, ma vive questi momenti con grande disagio. Pensa e teme di fare una brutta figura e che gli altri si accorgeranno della sua ansia e dei suoi tremori.

In questo caso si crea un circolo vizioso: nel momento in cui l'agitazione cresce, Sara cerca sempre di più di controllare l'ansia, ma questo tentativo genera l'effetto contrario e l'ansia aumenta rafforzando i pensieri di essere giudicata male dai colleghi e alimentando a sua volta il suo stato ansioso.

Sara pensa di essere al centro dell'attenzione e come se si sentisse sotto la luce di un riflettore in cui tutti gli sguardi sono rivolti verso di lei per notare i suoi gesti e la sua ansia.

In questi momenti Sara, per la convinzione che gli altri noteranno il tremore della sua mano mentre mangia (anche se si tratta di un lievissimo tremolio), mette in atto dei comportamenti protettivi (attuati per controllare la situazione ma che non solo non sono efficaci ma in alcuni casi sono controproducenti).

In questo caso il suo comportamento protettivo è stringere molto forte la forchetta oppure la tazzina del caffè, in alcuni casi prendendola con due mani. E' probabile che gli altri noteranno questi modi un po' fuori dal comune, molto di più del lievissimo tremore che Sara cerca di nascondere.

3) La valutazione soggettiva dopo la situazione temuta

Dopo la fase di esposizione (parlare in pubblico, mangiare insieme ad altri, ecc.), l'ansia tende a ridursi fino a cessare del tutto, ma quello che emerge è una sorta di insoddisfazione per come ci si è comportati, spesso accompagnata da un giudizio negativo su se stessi.

E' come un film si ripercorrono le scene o i momenti in cui ci si è sentiti in ansia e a disagio e spesso ci si giudica goffi, imbranati, ecc.

Questa critica personale così eccessiva e severa, non fa altro che demoralizzare e infondere la sensazione di essere dei veri e propri incapaci.

Ad esempio Alessandro, dopo la riunione con i suoi collaboratori, potrà pensare di non essere stato chiaro nella sua esposizione e che tutti si saranno accorti della sua ansia questo causerà sentimenti di sconforto, senso di incapacità, umore depresso e vergogna.

 

Nascondere la propria ansia: sembra un rimedio ma non lo è

Spesso per rimediare alla propria ansia si mettono in atto dei comportamenti che agiscono da fattori di mantenimento al disturbo stesso.

Lo psicologo Wells utilizza il termine “comportamenti protettivi” per indicare tutte le azioni messe in atto, in modo consapevole o meno, per tenere sotto controllo l'ansia nelle situazioni temute.

Esempi di comportamenti protettivi (in grassetto) potrebbero essere:

  1. sudorazione delle mani = tenere le mani strette tra loro, sfregarle sui vestiti

  2. paura di parlare di fronte agli altri = parlare molto velocemente

  3. timore di dire cose banali=costante controllo e selezione su ciò che si dovrà dire

  4. paura di diventare rossi = truccarsi in modo marcato, mettere le mani davanti alle guance o alla bocca

  5. paura di tremare = tenere le braccia appoggiate, impugnare con forza gli oggetti

Questi sono alcuni esempi, ma chi mette in atto i comportamenti protettivi, li considera delle strategie vincenti per fronteggiare le situazioni temute. In molti casi, la persona pensa di aver risolto la situazione grazie a queste strategie.

In realtà tali comportamenti non solo non aiutano ma aggravano il problema. Infatti, queste atteggiamenti ci portano proprio dove non vogliamo arrivare, ovvero confermano e rendono ancora più evidenti le nostre paure.

Se temete di dire una cosa sciocca mentre state parlando con qualcuno e nel frattempo continuate a pensare cosa dire, sarà probabile perdere il filo del discorso, non seguendo la conversazione, con la conseguenza di intervenire fuori tempo, andando così a confermare la convinzione di non essere adeguati durante una conversazione.

Oppure se temete di parlare davanti agli altri e nel farlo parlate molto velocemente, sarà probabile non essere del tutto compresi dagli altri e magari qualcuno potrà chiedervi di ripetere quello che avete detto, rinforzando probabilmente la convinzione di non essere sufficientemente capaci di parlare in pubblico. Provate a pensare, anche a voi utilizzate comportamenti simili?

 

Come si cura la fobia sociale

Differenti tipi di trattamento

Negli ultimi anni sono state effettuate diverse ricerche sull’efficacia delle psicoterapie per il trattamento della fobia sociale. Dagli studi emerge che fra le terapie che risultano efficaci per la cura di questo disturbo vi sono la psicoterapia cognitiva o cognitiva- comportamentale. In alcuni casi può giovare un intervento integrato (farmacologico e psicoterapia).

La psicoterapia cognitiva

La psicoterapia cognitiva per il trattamento di questo disturbo si avvale delle seguenti tecniche e procedure d'intervento:

  • ricostruzione della storia del disturbo e analisi di episodi recenti durante i quali la persona ha provato ansia sociale

  • psico-educazione con cui vengono fornite informazioni sulla natura dell’ansia e della vergogna

  • individuazione dei pensieri disfunzionali e automatici alla base del disturbo. Questi pensieri involontari e abbreviati “stile telegrafico” sono molto fugaci e transitori ma allo stesso tempo molto “potenti” tanto da causare una visione negativa e distorta di se stessi e della realtà, e una certa quota di sofferenza ed emozioni negative.

  • apprendimento di tecniche per la gestione dei sintomi dell’ansia (es. respirazione lenta e rilassamento muscolare progressivo)

  • esposizione graduale (con specifiche tecniche) ai pensieri ed agli stimoli temuti ed evitati

  • in fase di conclusione del trattamento, interventi di prevenzione delle ricadute

 

 

Riferimenti bibliografici

Bara B.G. Nuovo Manuale di Psicoterapia Cognitiva. Bollati Boringhieri, Torino, 2005

Bislenghi L., Marsigli N., Il timore degli altri. Vincere la fobia sociale. Ecomind, 2006

Morosini P., Leveni D., Piacentini D. Fobia sociale. Manuale per chi soffre del disturbo. Centro Scientifico Editore, 2004.

Data pubblicazione: 12 luglio 2011

Autore

faustogirone
Dr. Fausto Girone Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2002 presso UNIVERSITA DI PARMA.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Lombardia tesserino n° 310172.

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