La psicoanalisi: elementi teorici

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Dr.ssa Giselle Ferretti Psicologo, Psicoterapeuta

La peculiarità della psicoanalisi è la distinzione tra l’Io e l’inconscio. Su questa base si costruiscono un impianto toerico e una pratica clinica

L’Io

L’Io è comunemente considerato come la sede delle funzioni psichiche che ci consentono di stare adeguatamente al mondo (linguaggio, memoria, motivazione, pensiero): esso viene valutato nella sua funzione interna di sintesi.

In termini psicoanalitici possiamo precisare che esso è una formazione costituita dalle identificazioni successive che l’essere umano assume su di sé e che gli danno una “consistenza”.

Jacques Lacan mette in luce l’aspetto immaginario dell’Io, immaginario non nel senso di irreale o finto, ma nel senso di illusorio perché in realtà il vero cuore della persona, dell’essere umano è il soggetto dell’inconscio. La vera essenza di ognuno di noi è a noi sconosciuta, ma opera attivamente e influenza significativamente la nostra vita.

L’inconscio

L’inconscio di cui parla la psicoanalisi è quello descritto e studiato per primo da Sigmund Freud e, ciò di cui scrivo in questo articolo, fa riferimento alla rilettura operata da Jacques Lacan.

L’inconscio è ciò che in noi è più intimo, ma allo stesso tempo sconosciuto. Ciò che va ben specificato è che l’inconscio NON SI TROVA NELLE  PROFONDITA’ della nostra psiche, l’inconscio è nella superficie (è come l’herpes che fiorisce nel giorno di festa, scrive Lacan). Ciò che è “oscuro” è il messaggio che porta il quale va CIFRATO (purché ci sia il desiderio di farlo).

Nel nostro piccolo, basta che pensiamo a tutte le volte che diciamo “vorrei questo, vorrei quello” poi in realtà facciamo e otteniamo tutt’altro. Oppure, quando pronunciamo la frase “è più forte di me” vuol dire che c’è qualcosa che ci divide tra quello che vorremmo fare e ciò che invece facciamo. L’inconscio taglia, rompe l’illusione che attraverso la volontà (che è una delle facoltà dell’Io) possiamo ottenere qualcosa che ci sembra di volere. La difficoltà di “curare” i sintomi che fanno soffrire viene da qui: possono scomparire, ripresentarsi, diventare cronici. Perché spesso la volontà non basta? Purché ci illudiamo di essere identici a noi stessi e di avere tutto sotto controllo. E’ lì che l’inconscio si fa sentire con le sue formazioni e ci mette in crisi. Allora si può decidere di cifrarlo, proprio come si farebbe con un rebus, per scoprire il messaggio che ci invia il nostro desiderio più intimo.

L’inconscio NON E’ una istanza da contrapporre negativamente alla ragione, l’inconscio è dotato di leggi proprie. L’inconscio della psicoanalisi NON E’ la sede degli istinti irrazionali, della passionalità, non è il luogo del caos primordiale.

L’inconscio freudiano E’ un luogo caratterizzato da una razionalità rigorosa, funziona in modo logico ed estremamente articolato.

Jacques Lacan, operando uno studio rigoroso di Freud, sostiene: “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”. Infatti, l’inconscio dà luogo a formazioni che hanno un carattere retorico-linguistico semanticamente significativo. Le operazioni[1] che lavorano in esso sono lo spostamento, la condensazione e la raffigurazione, produzioni linguistiche riconducibili alle figure retoriche quali la metaforae la metonimia.

Tali operazioni producono le formazioni dell’inconscio quali sogni, atti mancati, lapsus e, soprattutto, i sintomi.

Sostenere e dimostrare che l’inconscio funziona secondo delle leggi specifiche (di tipo linguistico), ha delle conseguenze sulla concezione della nascita simbolica dell’essere umano e nella direzione della cura nei casi di problemi psicologici. Ma procediamo per gradi.

 

Cosa significa “L'inconscio è strutturato come un linguaggio?”

La nascita psicologica dell’essere umano: “non basta venire al mondo per nascere come persone”.

Le leggi che governano l’inconscio sono quelle della linguistica strutturalista: la metafora, la metonimia, la funzione del segno linguistico

Vediamo bene come.

L’essere umano è un essere parlante. Ciò che lo distingue dall’animale è che esso non è regolato dall’istinto come gli animali, esso è regolato dalla cultura che imprime, prima della nascita, una deviazione dalle pulsioni[2].

Esempio: un cucciolo di gatto diventerà un gatto senza vederne altri; un neonato non diventerà un uomo crescendo lontano da altri uomini e senza linguaggio. Federico II di Svevia nel 1200 d.C. fece un crudele sperimento (con lo scopo di individuare una presunta lingua originaria): fece allevare dei neonati da alcune balie che avevano l’ordine di fornire loro solo cure materiali (cibo, acqua, sonno) e di non parlargli. La maggior parte dei bambini morì entro pochi anni di vita oppure crebbero con gravi problemi[3].

Il bambino che viene al mondo è una nuova vita ma non parte da zero, entra in un mondo che gli preesiste, che ha parlato a lungo di lui (la scelta del nome, il corredino…). Egli entra in una rete strutturata di simboli che Lacan definisce l’Altro del Linguaggio, il Simbolico. All’interno di esso, il bambino dovrà trovare il suo posto e gli sarà possibile solo attraverso questo l’Altro familiare e sociale. Il bambino che viene al mondo è un organismo che diventerà corpo solo entrando nel Simbolico e accettandone le sue regole[4] .

Il neonato non ha, originariamente, una coscienza del proprio corpo, la deve acquisire. Questo sarà possibile solo attraverso il Linguaggio: l’organismo diventerà un corpo propriamente umano[5]. Freud lo teorizza come il passaggio dal principio di piacere al principio di realtà, Lacan invece, attingendo da Levi Strauss, parla di sovrapposizione del Regno della Cultura al Regno della Natura.

Cos’è il Simbolico?

Il Simbolico è il Regno della cultura, del linguaggio, della legge. Il linguaggio è fondante per l’essere umano, per la sua nascita psicologica.

E’ una rete di simboli che ci preesiste prima che ogni persona venga al mondo e all’interno della quale ognuno dovrà trovare un suo posto. Il Simbolico, il Linguaggio, permette di dare un significato alle cose del mondo, è ciò che gli dà senso, una chiave di lettura: non è semplicemente il livello base del linguaggio nel senso comune, quello che ci permette di comunicare, di elaborare.

J. Lacan studiò la linguistica, in particolare lo strutturalismo[6] per trovare e spiegare le leggi del Simbolico.

Gli assunti di base dello strutturalismo sono due[7]:

  1. Non c’è una relazione naturale tra le parole e le cose[8]

Noi siamo abituati a dare per scontato che ad una parola è associato uno specifico significato. Ma sappiamo anche che le parole possono avere molte sfumature.

Il segno linguistico (il vocabolo, il termine lessicale cioè) è costituito da un significante ( il materiale acustico fonatorio della parola ) e da un significato (il concetto attribuito a quel significante)

Esempio:

Significante NEVE (materiale acustico fonatorio)

Segno linguistico: NEVE

Significato NEVE (oggetto materiale)

Perché non c’è relazione naturale tra significante e significato? Sembrerebbe evidente e scontato, invece non lo è.  Nella lingua italiana è sufficiente un solo significante per indicare il concetto di neve, invece nella lingua eschimese ci sono numerosi significanti (vocaboli) che la designano. L’estensione semantica del significante neve è molto più ampia in Lapponia piuttosto che in Italia, per motivi legati alle caratteristiche del territorio.

In generale, la linguistica afferma che ogni lingua suddivide arbitrariamente le sue aree semantiche, decidendone autonomamente l’estensione.

  1. Il processo di significazione (attribuzione di significato) è soggettivo

Ciò che determina “l’effetto significato”[9] dipende, soggettivamente, dal termine scelto come organizzatore; ogni persona decide autonomamente il significante padrone che organizzerà la significazione retroattivamente. Se si cambia significante organizzatore, sarà diversa anche  la comprensione del discorso. Il significante padrone che dà senso al discorso dipende da innumerevoli fattori personali di chi parla e di chi ascolta.

La  conseguenza più evidente di questi due assunti di base è una nuova visione del funzionamento della comunicazione nell’atto di parola (o anche nella scrittura):

a) ciò che si dice non coincide mai con quello che si pretende di dire;

b) quando il soggetto parla, il livello dell’enunciato (di ciò che il soggetto dice) non potrà mai coincidere con quello dell’enunciazione (da dove il soggetto dice ciò che dice)[10].

 

Nella vita quotidiana possiamo verificare come nella comunicazione, a tutti i livelli, ci sono sempre dei malintesi: genitori-figli, marito-moglie, colleghi di lavoro, dottore-paziente.

Questo non vuol dire che noi non comunichiamo, oppure che ogni volta ci si debba capire male. Nella realtà comunichiamo e ci capiamo, in linea di massima, grazie al fatto che le leggi strutturali del linguaggio si inscrivono nell’essere umano e gli permettono di condividere essere nel mondo.

Ricapitolando

L’essere umano si distingue dagli altri esseri viventi perché è un essere parlante, è immerso nel Linguaggio. L’unità di base della psiche, il mattone che fonda il soggetto dell’inconscio è il significante.

Lo strutturalismo prova che significante e significato non coincidono: Saussure ha messo in primo piano il significato, invece Jacques Lacan sostiene che è il significante ( il materiale acustico fonatorio) a prevalere sul significato: ognuno attribuisce sfumature di significato particolari e uniche per sé stesso, diverse a seconda della storia da lui vissuta e dall’interpretazione che gli ha dato.

La vita di ogni persona è caratterizzata da una serie di frasi come “Tu sei questo, tu sei quello”. Ognuno sceglierà cosa fare dei significanti che hanno segnato la propria vita.

Esempio: una persona nella sua vita è stata segnata dal significante (vocabolo) BRUTTO. Il significato classico associato a questo vocabolo è noto e comune a tutti, tutti ci capiamo in via generale quando diciamo la parola BRUTTO; ma una persona cresciuta con questa parola incollata alla sua immagine potrebbe avere una infinità di reazioni diverse: sentirsi brutto fisicamente o brutto di carattere, potrebbe sentire di non essere stato desiderato in famiglia o di non meritare amore, OPPURE potrebbe non sentirsi toccato in senso negativo, il significante potrebbe non scalfire la sua immagine come persona o sentirsi più libero di non compiacere gli altri, e così via…

 

In psicoanalisi lacaniana si usa il vocabolo “significante” (anziché parola o vocabolo) per indicare una funzione, qualcosa che produce un qualcos’altro: la funzione in esame è quella svolta dalle leggi del linguaggio (universali, a cui siamo sottomessi tutti da prima di venire al mondo) sul singolo, il quale avrà il compito di trovare il suo posto particolare e unico nell’universale del Simbolico.

La sovrapposizione del Regno della Cultura (il Simbolico, il Linguaggio) al Regno della Natura nell’essere umano che viene al mondo, determina due effetti:

  • un guadagno, un più di senso, la nascita simbolica dell’essere umano, si ottiene il diritto ad avere un posto nel mondo se si accettano le sue regole;
  • una perdita: un meno, bisogna fare una rinuncia pulsionale, cedere una quota di godimento (mangiare a determinati orari, l’educazione …)[11].

Questo passaggio (dal regno della natura a quello della cultura) è sincronico, significa che avviene quotidianamente nella vita del bambino (la poppata a intervalli regolari, lo svezzamento, l’educazione degli sfinteri…), ma la matrice di questo passaggio sta nell’Edipo e si può riassumere nell’interdizione dell’incesto[12] .

Il complesso di Edipo[13], quello che in termini psicoanalitici viene chiamata castrazione, altro non è che l’educazione.

 

Entrare nel mondo, fare ingresso nel Simbolico con le sue leggi, significa essere dei soggetti divisi, mancanti per struttura, desideranti.

L’entrata nel Simbolico ci rende soggetti vivi e animati dal desiderio, ovvero alla ricerca costante di un qualcosa che ci completi. L’essere divisi, desideranti, è il motore della vita stessa: cercare un partner, coltivare una passione, cercare di migliorarsi, entra in questa logica. Purtroppo entra in questa logica anche la formazione del sintomo.

 

Vedere anche l'articolo: La psicoanalisi: elementi clinici.

 

Bibliografia ragionata

 

  • Per chi desidera approfondire l’argomento, ma non è uno psicologo o psicoterapeuta consiglio il seguente testo:
    • Recalcati M., Elogio dell’inconscio, Bruno Mondadori, Milano 2007;
  • Per i professionisti del settore indico la bibliografia completa. Sulla linguistica:
    • Saussure F., Corso di linguistica generale 1916, Laterza, Bari, 1999;
    • Jacobson R., Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1986;
    • AA.VV., La Psicoanalisi. Parola e linguaggio. Rivista del Campo Freudiano, Astrolabio, Roma 1999 Vol. n. 26;

 

Per un approfondimento più completo cito i seguenti testi:

 

  • AA.VV., La Psicoanalisi. La pratica lacaniana. Rivista del Campo Freudiano, Astrolabio, Roma 2005 Vol. n. 36 e 37;
  • A. Di Ciaccia , M. Recalcati , Jacques Lacan, Mondadori Milano 2000;
  • Conti Luciano, Compendio di psichiatria e igiene mentale, SEE Firenze 1995;
  • Freud S., Introduzione al narcisismo 1914,inOpere,Bollati Boringhieri, Torino 1980, vol. 7;
  • Freud S., Psicologia delle masse e analisi dell’io (1921), in Opere, op. cit,vol. 9;
  • Freud S., L’interpretazione dei sogni (1899), in Opere,op. cit., vol. 3;
  • Freud S., Psicopatologia della vita quotidiana (1905) , in Opere, op. cit., vol. 4;
  • Freud S., Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1907), in Opere, op. cit., vol. 5;
  • Gabbard G. O., Psichiatria psicodinamica, Cortina Raffaello 2007;
  • Lacan J., Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi (1953), in Scritti, Einaudi, Torino 1974, Vol. 1;
  • Lacan J., L’istanza della lettera nell’inconscio o la ragione dopo Freud (1957), in Scritti, op. cit. Vol. 1;
  • Lacan J., Discorso sulla causalità psichica (1946), in Scritti, Einaudi, Torino 1974, Vol. 1;
  • Lacan J., La direzione della cura e i principi del suo potere (1958), in Scritti, Einaudi, Torino 1974, Vol. 1;
  • Lacan J., Seminario XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2003;
  • Lacan J., Radiofonia (1978), in Scilicet ⅔. Scritti di Jacques Lacan e di altri, Feltrinelli, Milano 1977;
  • Lacan J., Lo Stordito (1972), in Scilicet ⅔. Scritti di Jacques Lacan e di altri, Feltrinelli, Milano 1977;
  • Zenoni A., Il corpo e il linguaggio nella psicoanalisi, Bruno Mondadori,  Milano 1999;

 

 


[1] Freud S., L’interpretazione dei sogni (1899), in Opere,op. cit., vol. 3

[2] Per l’uomo è più corretto parlare di pulsione, piuttosto che di istinto. Infatti, i bisogni comunemente indicati come istintuali, il mangiare e la riproduzione tra i più importanti, nell’uomo non sono regolati dall’istinto (il quale ha un andamento prevedibile), ma dalla pulsione la quale ha un andamento imprevedibile e per questo deve subire una limitazione e delle regole dalla cultura: ogni cultura ha sue regole profondamente diverse, ma lo scopo è rendere possibile la convivenza tra uomini.

[3] Si veda a tal proposito anche i lavori di Spitz sull’ospedalizzazione prolungata dei bambini oppure le problematiche serie riscontrate in bambini ricoverati in orfanotrofio e sottoposti a gravi deprivazioni.

[4] Lacan J., Radiofonia (1978 ) e Lo Stordito (1972), in Scilicet ⅔. Scritti di Jacques Lacan e di altri, Feltrinelli, Milano 1977

[5] La schizofrenia, con tutti i deliri legati al corpo, dimostra che questo passaggio non è scontato come siamo abituati a pensare.

[6] Saussure F., Corso di linguistica generale 1916, Laterza, Bari, 1999.

[7] Non approfondirò tutti i passaggi per motivi di spazio e per la finalità dell’articolo, ma indico tutti i riferimenti bibliografici per l’approfondimento.

[8] Questo avviene per una proprietà strutturale del linguaggio. Cfr. F. Saussure, Corso di linguistica generale 1916, Laterza, Bari, Astrolabio, Roma 1999.

[9] J. A. Miller, Come iniziano le analisi, op. cit., p. 144.

[10] Di Ciaccia , M. Recalcati , Jacques Lacan, Mondadori Milano 2000, p. 54.

[11] Non tutto è simbolizzabile, da questa sovrapposizione emergerà un resto, che Lacan chiama Reale. Il Reale è ciò che non è simbolizzabile, in particolare si parla della morte e della sessualità. Non essendoci significanti in grado di contenere, di spiegare queste due componenti della vita, l’uomo in ogni sua civiltà ha creato rituali con lo scopo di integrarli nel tessuto della vita di ognuno.

[12] Il Padre che dice al bambino “tu non puoi avere tua madre perché è mia, ma potrai avere tutte le altre donne”.

[13] Freud riprende un mito greco, e il mito come tale, è una trasformazione poetica nata dall’osservazione di avvenimenti reali del mondo della natura o di quello delle prime società umane.

Data pubblicazione: 03 giugno 2010

Autore

giselle.ferretti
Dr.ssa Giselle Ferretti Psicologo, Psicoterapeuta

Laureata in Psicologia nel 2002 presso Università di Urbino.
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Marche tesserino n° 1046.

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