Autismo: linguaggi e misteri

a.vita
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta

Autismo, malattia oscura, assenza di contatto con il mondo, rinchiudersi in se stessi, con i propri fantasmi e le proprie angosce. Ma molti strani linguaggi sono presenti nell'autismo

Introduzione

In questo studio ripercorro alcune interpretazioni psicanalitiche di Bettelheim, Mahler ed altri. C’è una novità: ho coinvolto Jean Piaget, che peraltro non si è mai interessato di autismo, riportando diverse argomentazioni sullo sviluppo psicologico in età evolutiva, sul modo di porsi del fanciullo in relazione con il mondo esterno e sulla genesi delle categorie dello spazio, del tempo e della causalità. Sono stato portato, cioè, a ribadire alcuni concetti sul nascere e sul manifestarsi dell’autismo nella prima infanzia secondo le tesi degli psicoanalisti sopra citati, ma anche ad avvalermi delle teorie piagetiane senza le quali, come dice il Bruner, oggi non si capirebbe quasi nulla dello sviluppo psicologico del bambino, del fanciullo e dell’adolescente.
Il lavoro pertanto rimane ancorato nell’ambito della psicologia, sia analitica che evolutiva.
Ritengo tuttavia necessario avvertire che, essendo questa grave malattia ancora molto sconosciuta ed impenetrabile, la ricerca debba essere svolta anche da studiosi di altre discipline, quali la neuropsicologia, la genetica, la teoria dell’informazione. Oggi c’è un vasto movimento costituito da molti genitori che hanno dei figli autistici che si sono fatti promotori di ricerche diverse da quelle psicologiche.
A loro porgo i più sentiti auguri di poter trovare risposte diverse, atte a risolvere in modo concreto ed efficace  il problema di questa tragica patologia.
Ritengo tuttavia che alle scienze psicologiche vada riconosciuto il merito di aver offerto molte  ipotesi per entrare appieno nei segreti di  questa temibile e misteriosa  malattia.

Recanati, febbraio 2006.

I linguaggi ed i misteri dell’autismo infantile

L'autismo infantile è una patologia complessa e non può essere oggetto di studio da parte di una sola disciplina. Come avviene per altre patologie non ancora sufficientemente note, ruotano intorno a questo tema diverse scienze, dalla psicologia alla psicoanalisi, dalla medicina alla biologia. Anche se intendiamo affrontare il discorso soltanto dal punto di vista psicologico dobbiamo tener presente che ci sono varie scuole, e  con diversi indirizzi, e ciascuna dà una propria interpretazione della genesi di questa malattia, presentando indicazioni per la terapia e suggerendo i mezzi e i metodi che ritiene più efficaci per combatterla e sconfiggerla.
Ci troviamo, pertanto, nella condizione di dover limitare il discorso tralasciando molte cose ed omettendo un gran numero di informazioni.
Cercheremo qui di fare delle ipotesi sulla nascita della malattia e sul suo manifestarsi nel bambino, facendo soltanto alcuni brevi cenni alla terapia.

Durante il primo anno di vita il bambino è immerso in una fase denominata da alcuni psico-sociologi "periodo di vita uterino-sociale", in quanto, unico tra i mammiferi, sembra che egli venga al mondo prematuramente. Quasi tutti gli animali mammiferi nascono, infatti, con funzioni fisiche ed organiche ben più sviluppate e relativamente breve è il periodo di progressiva fissazione iniziale dell'istinto. L'essere umano, invece, ha bisogno invece di un periodo di vita abbastanza lungo per poter sviluppare le sue funzioni, specialmente quelle di tipo superiore come il linguaggio, il pensiero e l'affettività.
La capacità del bambino di percepire le stimolazioni esterne, invece, è sufficientemente sviluppata sin dalla nascita e le sensazioni in cui tali stimolazioni si traducono sono ricche e molteplici.
Il bambino, tuttavia, non sa che quelle sensazioni hanno origine da stimolazioni esterne alla sua persona. Per lui il mondo esterno non è ancora una realtà. Egli vive chiuso in un immenso SÉ dove sensazioni e stimolazioni sono accomunate. L’esterno non esiste ancora come nozione ed egli riferisce a se stesso tutte le stimolazioni, non solo quelle che derivano dal suo stesso corpo, quelle cosiddette propriocettive, ma anche quelle che provengono dal mondo esterno : la voce della madre, le carezze, i colori, le forme, i suoni, i profumi.
Non percepisce, dicevamo, l’interno e l’esterno come mondi separati e ben diversi fra loro. Egli sente di essere immerso in un immenso mondo in cui tutto è riferibile alla sua persona, al suo SÉ. E finisce per attribuire a se stesso ed alla sua attività, tutte le stimolazioni che i suoi sensi modificano in percezioni.
Il bambino vive pertanto in una perfetta unione con il mondo, mentre le cose e le voci a lui esterne costituiscono delle specie di protesi del sé. Nel SÉ l’ Io e l’oggetto sono tutt’uno, non sono distinti.
Non riuscendo a distinguere ciò che è a lui interno da quello che è a lui esterno egli vive immerso in un sincretismo indifferenziato.
Piaget definisce questa situazione come una forma di "primitivo integrale egocentrismo", o di "blocco indifferenziato".
Piaget sostiene che il bambino è "egocentrico perché privo di ogni consapevolezza del proprio soggettivismo" e che l' "egocentrismo iniziale, è il risultato di una indifferenziazione fra l'< ego> e l'< alter> "; afferma che "l'oggetto non è altro ancora che il prolungamento della propria azione"; afferma, inoltre, che si può parlare di: "egocentrismo radicale” per designare questo fenomenismo senza coscienza di sé, mentre "il radicalismo egocentrico porta il soggetto ad attribuire tutti gli eventi esterni alla sua attività "

Alcuni psicologi, psicoanalisti ed etnologi concordano nel pensare che il bambino vive con la madre una vita unitiva, legati in una specie di "partécipation mistique"(Lévy- Bruhl), in una simbiosi fisica e psichica.
L'impatto fisico del corpo della madre con quello del bambino, infatti, dà un senso di calda sicurezza e di profonda quiete.
Altri studiosi parlano di un autismo normale. "Lo stadio di vita del bambino è normalmente autistico in questa fascia di età". Margaret Mahler afferma che il bambino è un sistema di vita psichica chiuso, una "monade", autosufficiente nell’appagamento del desiderio allo stesso modo di quando si trovava a vivere nel grembo materno.
La Mahler fa riferimento a S. Freud che aveva definito in una sua opera il sistema di vita psichico chiuso utilizzando per primo, nel contesto dello scritto, l'avverbio "autisticamente": "Un chiaro esempio di sistema psichico chiuso a tutti gli stimoli del mondo esterno, e capace di soddisfare "autisticamente" anche le proprie necessità di nutrimento..., è offerto dall’uovo, che contiene entro il proprio guscio la riserva di cibo; il calore è tutto ciò che gli fornisce la madre"
Queste fonti, di diversa provenienza dottrinale, ci danno elementi utili per descrivere il modo indifferenziato ed arcaico di sentire e di vivere, da parte del bambino, 'SÉ' e il 'mondo a lui esterno'.
Verso i sette mesi di vita, nel bambino inizia un processo di separazione e di individuazione che dura per tutto il primo anno di vita ed oltre, e che costituisce la più importante fase di sviluppo nell’età evolutiva.
Il guscio autistico si incrina ed incomincia ad aprirsi. Nel bambino inizia un processo di distinzione tra IO e NON IO.
Il SE’ si scinde in IO e TU.
E’ questo un primo affrancamento dall’egocentrismo, prima fase di un processo di sviluppo che continuerà sino ad età matura.
Inizialmente " l' Io si situa, almeno praticamente, in un mondo stabile e concepito come indipendente dalla sua attività" e successivamente " l'organizzazione del reale si effettua nella misura in cui l'io si libera da se stesso, divenendo autocosciente e si colloca così come una cosa tra le cose, un avvenimento tra gli altri avvenimenti". Dice ancora il Piaget: "Il passaggio dal caos al cosmo ... si attua dunque attraverso una eliminazione dell'egocentrismo"
La distinzione tra "Io e Tu" si manifesta dapprima con il riconoscimento del volto dei familiari e procede poi verso stadi e fasi sempre più consapevoli e coscienti della propria individualità.
In alcuni bambini, però, che sono in possesso di capacità sensoriali del tutto sviluppate ed hanno il Sistema Nervoso Centrale completamente sano, questo sviluppo non si manifesta, oppure, se è già avvenuto, subisce un arresto e il soggetto regredisce, ritirandosi verso un egocentrismo assoluto e primitivo, senza alcuna apertura verso il mondo esterno.
In entrambi i casi in questi soggetti si manifesta una forma di autismo che equivale ad un isolamento totale nei confronti della realtà esterna. Il bambino si chiude in sé e finisce per vivere in un mondo suo proprio in cui nessuno può entrare e da cui egli non vuole o non riesce ad uscire.
Alcuni soggetti cadono nel mutismo, altri no, ma tutti rifuggono dal contatto con il mondo e con gli altri.
Perché? Cosa hanno sperimentato di terrificante, di terribile, di pericoloso tanto da farli fuggire dal reale, per chiudersi completamente in se stessi?

Diverse sono le ipotesi sulla patogenesi dell' autismo infantile, termine coniato dal Kanner nel 1943.
Abbiamo già detto che alcuni soggetti non escono mai dal loro egocentrismo primario ed assoluto, altri invece ci ritornano.
Possiamo provare a descrivere, in breve, il processo di regressione presentando un caso che, a parer nostro, può essere considerato abbastanza illuminante in proposito. -
"""Una madre piuttosto impulsiva, nevrotica, strana, insofferente, cercava verso sera di liberarsi del proprio figlio di tre anni circa, mettendolo a letto. Ma il bambino non voleva dormire. Per costringerlo, la madre toglieva la luce, lo lasciava al buio, incurante del pianto, dei lamenti e delle invocazioni del piccolo. Spesso di giorno lo rinchiudeva in un stanzino per poter essere libera di andare a fare acquisiti o per dedicarsi ai lavori di casa, incurante delle urla di terrore del piccolo. Al calar della sera e alle prime ombre della notte il bambino si mostrava spaventato.
Dopo alcuni giorni, la madre non sentì più il piccolo piangere e lamentarsi o invocare aiuto. Andando a vedere, la madre scoprì che il figlio si era rifugiato sotto il letto, che giocava, che parlava tra sé, che cantilenava, che si dondolava. Da quel momento il bambino non rispose più a nessun stimolo esterno, a nessun richiamo, e non parlò più con nessuno.
Quel bambino si era costruito un mondo suo proprio nel quale si era rifugiato e rinchiuso. Poi ci vollero anni ed anni di interventi di specialisti e di psicoterapie varie per poterlo recuperare sul piano sociale. Ma il recupero avvenne solo parzialmente verso i 15 anni"""
Facciamo delle ipotesi su cosa poteva aver sperimentato quel bambino:

  • la violenza e la collera della madre
  • l’indifferenza della madre
  • l’abbandono della madre
  • il terrore e il panico
  • l’ ineluttabilità’ della situazione

Il bambino, di solito, è abituato alla collera ed è capace di reagire alla violenza degli adulti. Egli è come se fosse dotato di anticorpi psicologici, o una specie di endorfine psichiche che si mettono in funzione e che lo salvano da conflitti interni e da gravi frustrazioni.
L’indifferenza della madre è già un elemento più grave, ma non è così dannoso al punto da causargli qualcosa di più grave di una forma di disadattamento, contro il quale egli riesce, spesso, a mettere in atto dei dinamismi psichici di difesa.
L’abbandono della madre è già qualcosa di più importante per il bambino: è un fatto che gli comporta un dolore psichico che potrà essere causa di future manifestazioni nevrotiche o, in casi più gravi, potrà provocare immediate forme di tipo pre-psicotico.
Ma sono il panico ed il terrore a gettare il soggetto in un baratro in cui scivola sempre di più e nel quale affonda. Il dolore è intenso, l’esperienza vissuta è devastante.
Infine c’è il senso di ineluttabilità: cioè l’impossibilità di porre rimedio a quella situazione.
Il senso dell'ineluttabilità e del panico (che si manifesta anche durante catastrofi naturali, come terremoti, incendi, tifoni etc. o nelle esperienze vissute da malati terminali o da condannati a morte) dà al soggetto la sensazione, o la chiara consapevolezza, di non poter essere in grado di controllare e di determinare gli eventi né con l’intelletto, né con la volontà. In tutti quelli che sperimentano il senso di ineluttabilità, nasce la convinzione di una totale paralisi e di una conseguente impossibilità di intervenire per modificare la situazione.

Essi sperimentano una totale incapacità di dominare il mondo del reale che genera in essi un dolore immenso e distruttivo .

A volte ci sono problemi legati ad una serie di credenze, o di relazioni, che si stabiliscono tra il soggetto e il mondo culturale in cui egli è immerso: così avviene nel caso della bambina del film "LA VOCE DEL SILENZIO". Nel film la bambina vive un lutto: la perdita del padre. Questo dolore, unito alla credenza di diverse leggende apprese dalla civiltà Maya, tra cui quella che infonde la convinzione che il padre può continuare a vivere nella "culla della luna", e di altre come "non dovete piangere", "nei sogni non ci sono parole", "si sogna per vedere meglio le cose", ed ancora " in perfetto silenzio potrete vedere meglio le cose", provocano una reazione inconsueta nella bambina che finisce per chiudersi completamente in se stessa. Non c’è violenza da parte della madre, tutt'altro. Ma la piccola sperimenta lo stesso l’ineluttabilità della situazione. Solo nei suoi rituali e nel suo silenzio crede di riuscire a mettersi e a rimanere in contatto con il suo papà.

Quello che abbiamo sin qui visto costituisce un insieme di ipotesi sulla genesi dell'autismo nei processi di regressione.
Nei casi di fissazione, di non sviluppo, di totale e completa chiusura dentro il guscio del primo anno di vita, non sappiamo bene cosa succeda e cosa li provochi.
Forse il bambino sperimenta qualcosa di terribile e di pericoloso per la sua incolumità.
Ma è difficile comprendere in che modo e in quali occasioni ciò avvenga.
Nella fissazione si può ipotizzare che al bambino sia inferta una ferita psichica da una madre fredda, rigida, distaccata. Questo modo di comportarsi da parte della madre può dipendere da un inconscio rifiuto della maternità, presente in alcune donne. Tale ipotesi, troppo spesso richiamata per legittimare la genesi dell'autismo, viene ridimensionata da molti studiosi, compresi alcuni psicoanalisti e viene ritenuta valida soltanto per alcuni casi di autismo.
Si potrebbe ipotizzare, inoltre, che il bambino senta e viva entrambi i genitori come nemici, pericolosi per la propria vita e la propria incolumità (cfr. la fiaba di Hansel e Gretel).
Esperienze strane e negative possono essere vissute dal bambino quando i genitori parlano un linguaggio equivoco e distaccato da sentimenti veri e da autentica affettività.
Ma il problema può riguardare anche gli altri, l’ambiente esterno, il mondo culturale in cui il piccolo vive.
Sia Anna Freud che Melanie Klein, avevano potuto osservare che negli Orfanotrofi, luoghi ben tenuti, con ambienti salubri, dove lavoravano balie asciutte professionalmente ben preparate, ma fredde, distaccate, e psicologicamente "asettiche", i bambini, anche se ben nutriti, ma non abbracciati, non cullati, non coccolati, non avvolti da affetto, crescevano tristi, silenziosi, e da grandi mantenevano uno stato d’animo caratterizzato da un umore cupo. La tristezza li portava ad un isolamento e ad una scarsa capacità di stabilire ed intessere buoni rapporti sociali.
Completamente diverso da questo ambiente c’era quello molto confortevole delle balie della campagna romana alle quali i nobili della città affidavano i propri rampolli. I bambini vivevano in luoghi non sempre lindi e puliti, ma in compagnia di altri bambini, affettuosamente avvolti dalle cure di queste procaci e simpatiche donne. Essi crescevano sani, robusti, allegri, rumorosi, vivaci e, una volta tornati in seno alle loro famiglie continuavano a mostrare un carattere aperto e tranquillo, qualità psicologiche che manifestavano poi da grandi, accomunate a buonumore e socievolezza.

L’ambiente e le persone che gravitano intorno al bambino sono sempre molto importanti per la formazione del carattere e della personalità. Occorre pertanto che l'ambiente esterno sia tale da infondere serenità, sicurezza e stati d'animo positivi.

Nell’insorgere dell’autismo, ci può essere una causa genetica ?
In verità vi sono casi in cui i bambini manifestano avversione al contatto con la madre e, invece di affondare il viso nel suo grembo, essi si scostano come se la cosa li infastidisse. E’ una ipotesi inquietante quella del bambino che si allontana. Si potrebbe obbiettare che tutto ciò non avviene per una causa genetica, ma che a monte di tali manifestazioni potrebbero esservi cause remote, esperienze negative nel rapporto intercorso tra il bambino e la madre sin dai primi giorni di vita, o anche durante la gestazione, episodi vissuti come punitivi e pertanto dolorosi e terrificanti.
Ma ci sono altri problemi che vanno esaminati.
Noi non possiamo vivere senza le categorie dello spazio, del tempo e della causalità . Non sapremmo rapportarci al mondo, né agli oggetti, né alle persone e non sapremmo nemmeno rapportare gli oggetti fra loro.
La costruzione delle categorie dello spazio e del tempo nei bambini avviene attraverso una serie di esperienze che essi vivono sin dalla nascita: il vedere gli oggetti, il sentire i profumi, l'udire i suoni e i rumori.
Il bambino, quando inizia il cammino carponi e si trascina nella stanza, perfeziona il senso della terza dimensione dello spazio, inizia a riconoscere i luoghi, gli oggetti, le persone.
Il tempo lo sperimenta con la sua stessa vita: la scansione delle poppate, poi dei pasti, l'associare la veglia con il giorno, il buio e la notte con il sonno. Sono esperienze che si ripetono costantemente, sia quelle che compie nello spazio, sia quelle che fa nel tempo.
Ma perché tutto ciò accada è necessario che i bambini abbiano acquisito la conservazione dell'oggetto, la conservazione mentale della materia.
Nell’arco del primo anno di vita la conservazione o la costanza dell’oggetto non ci sono: l’oggetto non permane nella memoria. Il bambino infatti non piange se gli si porta via un giocattolo. Solo più tardi e con diversi passaggi il bambino riesce a mantenere nella mente l’oggetto visto. Se mettiamo un oggetto sotto un cuscino e poi lo spostiamo davanti ai suoi occhi sotto un altro cuscino vicino, il bambino, dapprima, cercherà l'oggetto sotto il primo cuscino. Solo più tardi andrà a cercarlo dove è stato spostato. La stessa cosa avviene con una palla che facciamo rotolare sotto una sedia e poi sotto un divano. Il bambino prima inizia a cercarla sotto la sedia, il suo posto di origine, e solo dopo un po' di tempo la andrà a cercare dove realmente è andata a finire.
La categoria della causalità nasce soltanto quando il bambino sarà riuscito a conquistare la conservazione dell'oggetto.
Molteplici sono le manifestazioni che ci portano a capire che sta nascendo la categoria della causalità.
Possiamo osservare una bambina che si avvicina ad un interruttore. Tende la mano e poi lo preme. Quando la luce si accende fa un "ohhh!", esclamazione di meraviglia e di gioia. Poi riprova e stavolta riesce a premere l'interruttore con maggiore rapidità e sicurezza. Possiamo osservare un bambino che cerca invano di prendere un orologio posto sopra un cuscino, ma ad una distanza tale che non riesce a raggiungerlo e ad impossessarsene; ma quando trascina verso di sé il cuscino (Piaget), soltanto allora può prendere l'orologio.
Sono queste le prime manifestazioni della genesi della categoria della causalità che porterà a sua volta il bambino a prevedere azioni future, a programmarle e a predire se un fenomeno avrà luogo agendo su un qualcosa che può provocarlo.

Insieme alla categoria della causalità si affacciano quelle della predittività e della prevedibilità .
Queste categorie, essenziali per stabilire ogni tipo di rapporto con il mondo del reale, sono assenti nei bambini autistici , per cui
-  o non si sono formate,
-  o sono andate distrutte.
Ma non sappiamo come e perché ciò sia successo.
Ne consegue che in assenza delle categorie dello spazio e del tempo, i soggetti autistici non riescono a fare esperienze.
A maggior ragione essi non riescono a fare esperienze più complesse per la mancanza della categoria della causalità .
Ascoltiamo ancora il Piaget su questo punto: "la causalità è l’organizzazione dell’universo dovuta all’insieme dei rapporti tra gli oggetti e tra il soggetto e l’oggetto", ma perché accada ciò è necessario che il soggetto esca dal proprio "egocentrismo nel quale il soggetto attribuisce tutti gli eventi alla propria attività", e riesca a comprendere "la globalità degli eventi di cui è spettatore e nei quali è impegnato o come causa o come effetto".
Mancando le categorie della prevedibilità e della predittività, gli autistici non hanno la possibilità di progettare le proprie azioni.
Negli autistici c'è, pertanto, inattività perché le loro azioni non producono alcun effetto; ovvero i soggetti autistici hanno il presagio inconscio e la paura che le loro azioni potrebbero produrre qualcosa di devastante per loro stessi. Essi si ritengono responsabili di eventi negativi. E allora rimangono inattivi. Il bambino autistico "quanto più crede di essere egli stesso il responsabile degli eventi generatori di effetti sgradevoli, tanto meno agirà".
Ma non riusciamo a capire cosa abbia determinato in loro un mancato sviluppo, o la distruzione delle categorie preesistenti.
Negli autistici di solito c'è un'assenza di linguaggio, e poiché il linguaggio è la categorizzazione dell’esperienza , ne risulta che anche per questa ragione c'è in loro anche un'assenza di esperienze e di apprendimento.
D’altronde essi temono che il linguaggio possa produrre effetti nefasti e negativi ed allora tacciono, o se parlano non comunicano se non con loro stessi o con soggetti immaginari e fantastici.
Sono assenti il più delle volte linguaggi come la parola, il sorriso, la manifestazione del dolore fisico, i linguaggi del corpo (mimica ed altro) e manca ogni interesse per il mondo esterno,
Sono presenti altre espressioni come l'ira, la rabbia incontenibile, la paura, l'ecolalia, i dondolamenti, le nenie, le cantilene, lo sguardo fisso nel vuoto, le parole incontrollate, le stereotipie delle dita, i comportamenti ossessivo-compulsivi, il discorso in terza persona, l'accarezzarsi ripetutamente i capelli.
I soggetti autistici presentano una marcata anaffettività ed una totale incomunicabilità’.
Inoltre gli autistici difendono la loro bocca sia con il linguaggio che con il cibo per evitare che qualcuno possa entrare dentro di loro, e per escludere che altre ferite possano essere inferte al nucleo centrale della propria esistenza.
Si può supporre, pertanto, che la loro malattia sia nata con la nutrizione e che la loro prima alimentazione sia stata associata a sentimenti negativi ed ostili.

Per ogni forma di terapia occorre far uso di empatia e di intuizione.
E' indispensabile che il terapeuta si immerga nella situazione e non si limiti soltanto ad osservare.
Il soggetto autistico è come se fosse risucchiato ed assorbito da un archetipo negativo; è come se fosse prigioniero in un luogo incantato e magico, dove nessuno può entrare e da cui egli non può uscire. Occorre raggiungerlo in questa parte inconscia per poterlo aiutare a riemergere.
E' necessario affidarsi molto alla creatività, non soltanto per comprendere le ragioni della chiusura dell'autistico verso il mondo, ma anche per trovare i metodi adatti per aggredire e combattere la sua malattia.
"Ho cercato di venire da te, scusa se ci ho messo tanto tempo !!" dice la madre quando riesce a raggiungere la figlia a lungo rinserrata in un mondo magico e chiuso, dove si era chiusa per esorcizzare e combattere il dolore (mi riferisco al film citato "La voce del silenzio "). Nel film, la sensibilità della madre, l' intuizione, e l'aiuto di tanti piccoli e grandi messaggi diretti o indiretti che la figlia lascia dietro di sé, portano la madre verso la strada giusta per la soluzione del problema.
Ci rendiamo conto che è difficile comprendere come si ricostruiscono nei soggetti autistici le categorie dello spazio e del tempo. Ma se proviamo ad osservare i soggetti autistici, notiamo che essi stabiliscono delle connessioni tra gli spazi che frequentano e le azioni che essi sviluppano in quegli spazi. La stanza per giocare, la stanza per dormire, la stanza per lavorare, sono identificate tramite le azioni che vi vengono svolte. Se proviamo a modificare le azioni, ad esempio: se facciamo giocare i soggetti nella stanza per dormire, o se li facciamo mangiare nella stanza per giocare, essi non sono più sicuri delle loro azioni, né degli spazi in cui si trovano. Essi cadono in un profondo timore dovuto ai cambiamenti che non li rassicurano, anzi, che li gettano in una mare di angoscia e di sconforto.
La stessa cosa avviene se alcune azioni, che solitamente avvengono in un determinato tempo, vengono anticipate, o procrastinate. Essi si mostrano disorientati e spaventati dai cambiamenti. sia spaziali, che temporali
E' necessario rassicurarli, calmarli, tranquillizzarli. E' opportuno continuare a fare questi tentativi, con approssimazioni successive, e fare altri cambiamenti possibili. I soggetti dovranno rendersi conto, un po' alla volta, che il cambiamento non porta brutte conseguenze. E quando saranno state fatte esperienze atte a far rinascere in loro la categoria dello spazio, si potrà procedere con esperienze che possano far riprendere il senso del tempo.

Non possiamo qui addentrarci nei problemi terapeutici. Possiamo solo accennare ad alcune questioni che per noi risultano importanti.
Lo spazio deve essere rassicurante e così il tempo: questo compito deve essere uno tra i primi obiettivi del percorso terapeutico. Rassicurante deve essere l'ordine delle cose.
Non va esclusa aprioristicamente nessuna forma di psicoterapia conosciuta e già sperimentata.
Efficace è la musicoterapia. Di nuova, ma non recentissima applicazione è l' ippoterapia, come pure la terapia basata sulla vicinanza e sul contatto degli animali domestici.
Molto importante è la tecnica del gioco della sabbia di Dora Kalff. Efficace può essere il sociodramma.
Gli obiettivi che ci dovremmo proporre possono essere così compendiati:

  • ripristinare le categorie del tempo e dello spazio;
  • ripristinare la categoria della causalità;
  • ripristinare quindi quelle della prevedibilità’ e della predizione (o attitudine anticipatrice);
  • tranquillizzare e rasserenare;
  • cercare di far riemergere il linguaggio e la capacità di trasmissione;
  • sviluppare sensazioni, emozioni, e la consapevolezza di provarne;
  • cercare di annullare le sensazioni di terrore legate alle proprie e alle altrui esperienze;
  • ricondurre il soggetto autistico verso manifestazioni di affetto e verso l'espressione di sentimenti.

Riporto un caso che si può definire di guarigione straordinaria, in quanto è stato risolto senza ausilio di tecniche, ma basandosi unicamente sull'intuizione, sulla casualità ed anche sulla fortuna.
In un Istituto per ragazze portatrici di handicap di varia natura, vi era una giovane insegnante, impegnata a guidare un gruppo di ragazze durante la terapia occupazionale. Tra le allieve vi era una ragazza autistica di 16 anni che non aveva mai parlato, alla quale non era stata riscontrata nessun'altra patologia dagli specialisti dell'Istituto (neurologo, neuropsichiatra e psicologo). Il suo comportamento durante i lavori del gruppo era quello di astenersi da qualsiasi attività, e di stare continuamente rivolta verso il muro che fissava senza distogliere mai lo sguardo, mentre si dondolava e i movimenti delle mani e delle dita erano ossessivamente uguali e ripetitivi.
La cosa andò avanti per diverso tempo sino a quando la giovane signora, provando e riprovando, prima occasionalmente, poi intenzionalmente, con molta cautela riuscì, dopo diversi tentativi, prima a destare nella ragazza alcune semplici curiosità, poi a provocare delle attese, e infine a dare premi per azioni semplicissime fatte dalla ragazza (come l'offrire un bicchiere di aranciata dopo che la ragazza aveva mostrato un piccolissimo interesse per un oggetto curioso messole vicino sul tavolo). Continuando in quel modo, con precauzione, con affabilità, con dolcezza, senza mai pretendere che la ragazza si girasse, senza osare di guardarla in volto, senza violare la sua separazione e il suo isolamento, dopo settimane di tentativi riuscì a far pronunciare alla ragazza una sola sillaba, poi una parola, e dopo molti giorni qualcosa di più. Ma la ragazza continuò per molto tempo a parlare soltanto con la "signora bionda" che attendeva con impazienza quando non la vedeva arrivare.
Successivamente la ragazza iniziò a voltarsi, senza guardare nessuno in volto e, dopo qualche tempo, riuscì ad indirizzare qualche parola a poche e selezionate compagne.
Tutto qui.
Ma questo episodio restò lo stesso qualcosa di importante e di speciale, forse una specie di guarigione straordinaria.
E alla "signora bionda" (così veniva chiamata dalla ragazza) dopo un anno circa, la ragazza, che intanto era stata trasferita in un altro Istituto per seguire un programma di trattamento, inviò un piccolo omaggio: una tovaglietta da tè ricamata da lei con disegni irregolari.
E quello fu, a parer mio, un ulteriore messaggio di affetto e di gratitudine.

Nota bibliografica:

  • BETTELHEIM B., La fortezza vuota, Ed. Garzanti, Milano, 1998.
  • DELACATO C.H., Alla scoperta del bambino autistico, Armando ed. Roma, 1989.
  • ERIKSON H. E., Infanzia e società, Armando ed. Roma, 1970.
  • FREUD S., I due principi regolatori della vita psichica, Boringhieri Torino 1962.
  • FRITH V., Autismo, Laterza ed., Bari, 1997.
  • KALFF D. M. Il gioco della sabbia, Ed. O. S. , Firenze, 1974.
  • LÉVY-BRUHL L., Psiche e società primitive, Ed. Newton Compton, Roma 1970.
  • MAHLER M. ,Le psicosi infantili, Boringhieri ed. Torino 1972.
  • PIAGET J, , Psicologia dell'intelligenza, Ed: Giunti- Barbera 1952.
  • PIAGET J., La costruzione del reale nel bambino, Ed. la Nuova Italia. 1975.
  • PIAGET J., La rappresentazione del mondo nel fanciullo, Ed. Borignhieri Torino, 1973.
  • PIAGET J., Lo sviluppo mentale del bambino, Ed. Einaudi, Torino, 1967.
  • SPITZ R., Il no e il sì, Armando ed. Roma, 1970.
  • SPITZ. R., Il primo anno di vita del bambino, Universitaria , Firenze 1966.
  • TINBERGEN, Bambini autistici, Ed. Adelphi, Milano, 1972.
  • WING L., I bambini autistici, Armando editore Roma, 1974.
Data pubblicazione: 02 giugno 2010

Autore

a.vita
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 1966 presso Univ. Urbino in Pedagogia.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Marche tesserino n° 200.

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