Terapia di un'anoressica

a.vita
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta

La Terapia di un'anoressica è una sfida con se stessi, come psicoterapeuti, con la sorte, con il mistero della patologia. A volte riesce, a volte non si ottengono guarigioni.

Questo scritto è la cronistoria di un caso che ho trattato cinque anni or sono. La terapia fu interrotta volontariamente dall’interessata dopo dieci sedute.

“Il soggetto in questione è una ragazza di ventuno anni, obesa sino all’anno scorso, situazione esplosa durante la fase adolescenziale, dopo le fasi prepubere e puberale durante le quali si registrava un peso abbondante, decisamene superiore a certi parametri medi. Il soggetto riferisce che, dopo diversi tentativi, è riuscita a mettere in atto una propria dieta in modo incontrollato e che la porta a uno stato di dimagrimento in poco tempo pari al 45% del suo peso.
Scompaiono le mestruazioni. L’amenorrea viene combattuta con dei farmaci che fanno subito effetto, ma per breve tempo perché le mestruazioni si bloccano ancora.
Il dimagrimento si stabilizza su soglie molto basse, considerate pericolose per i vari medici curanti.

La ragazza è affidata alle cure dello psicoterapeuta. Lei dimostra subito di non accettare questo tipo di terapia che le viene richiesto ”accoratamente” e con grandi preghiere da parte del padre. Cede alle insistenze del genitore con una specie di contratto stipulato con lo psicologo: si sottoporrà a dieci sedute, dopodiché sarà libera di andarsene per la sua strada.

Durante le sedute, la ragazza ritiene inutile ogni indagine psicologica, ne sminuisce o ne nega qualsiasi utilità, asserendo che il dimagrimento è dovuto a una propria decisione, e che i motivi che l’hanno indotta a prendere una tale iniziativa erano e sono quelli di voler cambiare aspetto, forma e dimensione.  Ammette, a tratti, che “forse” l’errore era stato quello di non aver previsto che le poteva sfuggire di mano il controllo del suo percorso di dimagrimento, fenomeno peraltro svalutato più volte, sia nella portata, sia nella gravità degli effetti.

Continua ad affermare che il pericolo per la sua salute non c’è mai stato e che l’assenza delle mestruazioni può essere intesa come un fatto naturale che avviene nel caso di una repentina perdita di peso, perdita considerata “liberatoria” dall’ingombro dei propri chili “portati inutilmente a spasso”.
Non desidera l’introspezione psicologica perché il raccontarsi a un’altra persona è come “darsi a qualcuno ”. “Il problema è mio”, dice.

Il soggetto ha difficoltà a parlare, ha un respiro affaticato. E’ riservata, chiusa, rinserrata in se stessa. Siede sulla punta di una sedia che non è quella riservata ai clienti. E’ lei stessa che la sposta dall’angolo del computer, la sistema a fianco della poltrona di destra appena entra nello studio. Si tiene stretta in grembo la solita borsetta, quasi fosse uno scudo protettivo.
Qualche volta sorride, ma di solito è tesa, e gli sguardi che lancia attraverso gli occhiali sono pieni di pensieri, di emozioni, di sentimenti inespressi. I suoi occhi sono guardinghi, a volte sfuggenti, preoccupati e vigili. La collaborazione alla terapia è del tutto inesistente”.

 

La ragazza riferisce di aver iniziato la dieta perché non accettava più il suo stato di obesità.
Tale fenomeno viene descritto ampiamente nella letteratura specialistica come una reazione a un “senso paralizzante” d’inefficienza fisica (Bruch e altri) che pervade ogni pensiero e ogni attività, e a cui il soggetto cerca di porre drastici rimedi.
Gli aspetti psicodinamici del problema sono difficili e complessi e, per poter spiegare molti dinamismi messi in atto dal nostro soggetto, ho tenuto in attenta considerazione, in sede terapeutica, le teorie convergenti di diversi autori (tra cui Bruch, citata, Sullivan di “Casi clinici” e “La moderna concezione della psichiatria”, e Selvini Palazzoli).
Per interpretazioni soddisfacenti, positive e risolutive sul piano psicodinamico, ho preso in considerazione almeno tre fattori principali dello sviluppo umano:

  • la soddisfazione
  • la sicurezza
  • il senso del potere.

HO tenuto presente, al pari degli autori citati, che ogni soggetto umano, nella propria fase di crescita e nella propria vita, ha bisogno di tutti gli elementi citati e che la mancanza di uno di essi determina uno sconvolgimento di tutta la struttura psichica del soggetto.
Infatti, nel caso in questione, la soddisfazione di un’alimentazione abbondante e consumata con ansia e con atteggiamenti compensatori viene a costituire, a un certo momento della vita, un pericolo, e determina la nascita di Insicurezza con perdita del Potere.
Tutto ciò è stato dedotto dal racconto della ragazza, peraltro alquanto riluttante, che ha fatto capire di aver vissuto una sofferenza sul piano affettivo ed anche insoddisfacenti rapporti interpersonali, specialmente con l’altro sesso, a cui si sono aggiunte delle frustrazioni derivate da difficoltà scolastiche a livello universitario.
Poiché la ragazza non aveva mai sperimentato insuccessi del genere e poiché, probabilmente, aveva riposto nella carriera scolastica desideri e bisogni di successo, e aspettative di approvazione, sublimando e convertendo in tal modo tutte quelle spinte che provenivano dal piano inconscio e in particolare dalla sfera affettivo - sessuale, lei deve aver vissuto in maniera drammatica detta situazione che ha scatenato la volontà di dimagrire, un rifiuto del proprio corpo e il desiderio di mutare aspetto.
E’ ampiamente provato, d’altronde, che la coscienza della deformazione fisica (obesità) assume generalmente un significato di impotenza (Sullivan). L’obesità, inoltre, è d’impaccio per le capacità mentali.
Ho dedotto, pertanto, che insicurezza e impotenza hanno capovolto il desiderio sino allora realizzato sul piano della soddisfazione orale-alimentare, provocando una reazione abnorme.
E poiché le esperienze orali - alimentari minano il bisogno stesso della soddisfazione per la perdita di sicurezza e del sentimento di potere, è stato sovvertito dalla ragazza il costume sino allora seguito, modificandolo in una scorretta ed eccessiva alimentazione.

“La ragazza accusa la famiglia di non essersi mai occupata della sua passata “obesità” e di non essere stata mai oggetto di nessuna attenzione da parte dei genitori per fermare l’eccesso di alimentazione.
Diversamente lamenta un comportamento “ anomalo” ed “eccessivamente preoccupato” da parte dei genitori in questo periodo di magrezza. E’ come se la ragazza rimproverasse ai genitori di aver avuto toni di sicurezza nei confronti della propria femminilità messa al sicuro dall’obesità.
Ciò è avvalorato da fantasie attuali che richiamano sentimenti ambivalenti nei confronti dei genitori per essere stata spesso trattata come una “bambina”.”

Scatta, comunque, sin dal primo colloquio, il meccanismo di difesa che si manifesta come “negativismo” dello stato psicopatologico, e la ragazza mette in atto ogni sorta di ostinata resistenza per evitare qualsiasi approccio terapeutico di carattere psicologico.
L’ubbidire ai genitori a sottoporsi a una terapia psicologica mira, con ogni probabilità, a mitigare o eliminare ogni forma di angoscia del proprio Super Io.
Altro meccanismo di difesa messo in atto dal soggetto è quello dello “spostamento” delle proprie tematiche interne su problemi esterni di poco conto e quindi di scarsa risonanza psicologica interna.
Un ulteriore dinamismo difensivo è quello di voler dimostrare la propria forza con un lavoro massacrante (agenzia di pulizie), svolto per dodici ore consecutive presso un ristorante, negando con ciò la propria astenia e il suo stato di emaciazione (caso analogo è riportato anche dalla Selvini).

Si ritiene inoltre, che il lavoro le serva per altri due motivi:

  • incontrare qualcuno e quindi combattere il proprio stato di isolamento fuori dalla famiglia, ma con amicizie superficiali e occasionali, e comunque non impegnative;
  • evitare lo stare in famiglia la domenica, cosa che le ricorderebbe troppo palesemente il suo stato di solitudine. Va da sé, tuttavia, che l’impotenza e l’insoddisfazione con senso d’insicurezza sul piano del rapporto interpersonale favorisce l’acquisto di potere sul piano intrapsichico: lei acquista potere sul proprio corpo che porta fino a uno stato eccessivo di “emaciazione”.

Lo stato di conflitto intrapsichico, tuttavia, si esercita anche sul piano degli affetti e (della sessualità- mai indagata se non indirettamente) che lei rifiuta per non esporsi al rischio:

  • di essere rifiutata (o almeno di sospettarlo),
  • di lasciarsi andare, evitando con ciò un’eventuale delusione grande e non sopportabile,
  • di vivere una “sessualità” per la quale non si sente matura.

Il diventare emaciata è una ricerca di sicurezza (mettersi al sicuro da frustrazioni), e quindi è l’evitare insoddisfazioni e l’esercitare la propria potenza, come controllo degli aspetti negativi del vivere sociale (identico dinamismo è descritto in alcuni casi della Selvini Palazzoli).
Può accadere che il nostro soggetto anoressico riprenda la terapia psicologica interrotta, pur senza entusiasmo e scarsa partecipazione... La preoccupazione, tuttavia, è che ciò potrebbe verificarsi in tempi troppo procrastinati e subordinatamente a un aggravamento della situazione.
Il rifiuto da parte della nostra ragazza di una terapeuta donna è dovuto, probabilmente, al fatto che in ogni anoressica, e quindi anche in lei, ci sono aspetti non risolti nel rapporto madre-figlia, anche se non è stato possibile accedere a problematiche di tal genere. Il clan femminile, tuttavia, è sentito come l’unico possibile, mentre isolata appare l’affettuosa figura del padre al quale la ragazza è molto legata e che viene valutato e considerato molto positivamente.
Gli elementi onirici sono significativi, sia per gli aspetti riguardanti il cibo e all’atto del cibarsi, sia per i riferimenti al clan femminile con svalutazione delle figure maschili che appaiono frustranti e pericolose, ad eccezione di quella del padre. Ma anche alcune figure femminili appaiono violente e pericolose per la propria incolumità fisica e psicologica.
Il test di Wartegg, al quale la ragazza è stata sottoposta, ha evidenziato peraltro aspetti patologici a livello orale, disturbi al quadro della femminilità e al quadro della protezione materna.
Da notare, infine, che la madre non si è mai fatta vedere in studio e non ha preso mai nessun contatto con me, e non c’è stato mai alcun tipo d’interessamento per i problemi della figlia.

 

Considerazioni

Nel bambino o nella bambina la soddisfazione primaria è basata sulle loro prime esperienze orali riguardanti la fame e la sete e quindi il cibarsi. Cibarsi non è soltanto un aspetto biologico, ma anche un processo psicologico condizionato dal legame empatico con la madre. Prima ancora della coscienza, nel bambino o bambina, nasce un modo di sentire l’altro, di mutua comunicazione o comunione, di “patecipation mistique”, di contagio emotivo. Poiché il bambino nasce immaturo, l’indipendenza che egli dovrà raggiungere è determinata in gran parte dai rapporti interpersonali. Dipende quindi dalle relazioni il problema di una sana maturità psicologica.
Il bambino o la bambina hanno bisogno di sicurezza; essa è data dal grado di approvazione e di godimento che il bambino sperimenta. Il bambino avverte sia la soddisfazione, sia la sicurezza nel rapporto empatico con la madre. Quando questo rapporto è negativo, nascono insicurezze, insoddisfazioni, ansietà. Lo Spitz formula anche l’ipotesi che la difficoltà di nutrizione del bambino si ha nel caso in cui la madre sia psicologicamente disturbata. Una madre disturbata appare ambivalente perché ha una rigida struttura morale, preme sull’aspetto formale della nutrizione, ma non ne gioisce. Lo stato ambivalente della madre priva il bambino dello stato di euforia, di accettazione gioiosa, giocosa e generosa dei suoi stati di soddisfazione. Lo priva anche del senso di sicurezza, di benessere e di approvazione interpersonale.
Date le prime due, il bambino o la bambina sperimentano il senso del potere. Potere è raggiungere la propria soddisfazione. Potere è raggiungere sicurezza. Con le prime esperienze, poi, i bambini esperimentano l’agire di propria iniziativa, l’afferrare, il prendere, il trascinarsi carponi, il conquistare lo spazio.
E’ necessario e opportuno, quindi, non disconfermare le azioni del bambino con critiche e con repressioni perché se ciò avvenisse, potrebbe “nascere un disordine dell’integrazione delle funzioni corporee e dell’immagine corporea di sé” (Sullivan). Aggiunge la Bruch che se “la falsificazione della coscienza corporea è severa, una persona può sentire che non possiede il suo corpo, che non ha il controllo delle sue funzioni, cosa che è patognomica nelle anoressiche mentali”.
Si ritiene, pertanto, che la necessità di tenerezza e quello della convalida vengano a intersecarsi: la tenerezza e la sua necessità vengono insieme all’accoglimento tenero e caldo del bambino sin dalla nascita.
Segue poi la convalida dell’iniziativa per un equilibrato sviluppo psico-fisico del soggetto.

Data pubblicazione: 03 giugno 2010

Autore

a.vita
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 1966 presso Univ. Urbino in Pedagogia.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Marche tesserino n° 200.

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