Artrite psoriasica

L’artrite psoriasica è una spondiloartrite o entesoartrite il cui aspetto peculiare è costituito dalla presenza di psoriasi cutanea e/o ungueale. L’esistenza di una artrite nei pazienti affetti da psoriasi fu descritta per la prima volta da Charles Bourdillon alla fine del secolo scorso, ma solo nel 1963, sulla base dei contributi di Verna Wright, fu riconosciuta come una forma clinica autonoma.

L’artrite psoriasica si manifesta in circa il 25% dei pazienti psoriasici e solitamente la manifestazione cutanea precede quella articolare nel 60% circa dei pazienti, mentre il contrario avviene nel 25% dei casi; una contemporanea comparsa di psoriasi e di artrite si verifica nel rimanente 15% dei casi. Inoltre non esiste una correlazione tra il tipo o l’estensione della psoriasi e un particolare subset articolare dell’artrite psoriasica.

 

Eziopatogenesi

Sia la psoriasi che l’artrite psoriasica mostrano una complessa eziopatogenesi cui concorrono fattori genetici, ambientali ed immunologici. E’ nota, infatti, la significativa associazione della psoriasi con gli antigeni HLA-B13 e B17, mentre l’artrite associa al DR4 nella sua forma periferica e al B27 nella forma assiale.

Sembra probabile che in un soggetto geneticamente predisposto, stimoli ambientali di diversa natura, mediante una attivazione dei T-linfociti, condizionino a livello cutaneo un disturbo della cheratinizzazione ed a livello articolare una attivazione delle cellule sinoviali e delle entesi.

Recentemente è stato inoltre dimostrato un coinvolgimento della mucosa del colon in pazienti con artrite psoriasica anche in assenza di sintomi intestinali che sembrerebbe indicare un meccanismo patogenetico molto più complesso. Si potrebbe ipotizzare il coinvolgimento di uno o più antigeni attivanti a livello dell’intestino una risposta infiammatoria mediata dalle cellule T con successiva migrazione a livello cutaneo e/o articolare.

 

Sintomi e manifestazioni dell'artrite psoriasica

Il quadro clinico dell’artrite psoriasica è caratterizzato da un marcato polimorfismo. Nel 1973 Moll e Wright proposero una classificazione dell’artrite psoriasica in cinque subset, che rappresentano in maniera più o meno compiuta tutto lo spettro clinico della malattia:

1. artrite delle articolazioni interfalangee distali;

2. artrite mutilante;

3. poliartrite simmetrica;

4. oligoartrite asimmetrica;

5. spondilite associata/non associata ad artrite periferica.

Nella nostra esperienza la spondilite, sia da sola che associata ad una artrite periferica, è indubbiamente la forma clinica di più frequente riscontro. Il quadro clinico mostra non poche differenze con la forma anchilosante idiopatica. La sacroileite, infatti, è solitamente unilaterale ed i sindesmofiti non sono marginali ed appaiono casualmente distribuiti lungo la colonna vertebrale. Circa il 30% dei pazienti presenta un’entesite periferica sintomatica ed il distretto più frequentemente colpito è il calcagno, più raramente il femore e la pelvi, ed, infine, circa il 10% dei pazienti presenta una spondilodiscite che si manifesta con maggiore frequenza nei casi di malattia di più lunga durata e può essere del tutto asintomatica.

Il secondo subset per frequenza è la poliartrite, prevalendo nel 25% dei casi. E’ stata per il passato ampiamente confusa con la forma reumatoide nonostante abbia diversi aspetti che la caratterizzano. In primo luogo l’assenza del fattore reumatoide nel siero; inoltre la distribuzione dell’impegno articolare mostra l’interessamento di sedi usualmente risparmiate nell’artrite reumatoide come le interfalangee distali, colpite nel 20% dei casi, le articolazioni manubrio-sternali e sterno-claveari, le entesi interessate in poco più del 10% dei casi, e la colonna vertebrale con sindesmofiti casualmente distribuiti anche in assenza di danno sacroiliaco.

Una mono-oligoartrite colpisce con distribuzione asimmetrica più del 10% dei pazienti. Le sedi più frequentemente interessate sono le articolazioni interfalangee prossimali e distali, le ginocchia, i polsi. Nel 40% dei casi l’impegno delle articolazioni interfalangee caratterizza il cosiddetto “dito a salsicciotto”.

Più rara è una artrite esclusivamente localizzata alle articolazioni interfalangee distali, riscontabile in poco più del 5% dei pazienti artritici.

Solo l’1% dei malati presenta la forma mutilante, caratterizzata da ampia distruzione delle falangi e delle ossa metacarpali, configurando quadri clinici abbastanza caratteristici.

 

Diagnosi

La diagnosi di artrite psoriasica si basa sull’approccio congiunto dermatologo - reumatologo. Due sono i fattori che confortano tale opinione: innanzitutto, la psoriasi coinvolge aree cutanee poco evidenti nel 20% dei casi e poi, un’onicopatia è presente in circa il 70% dei pazienti in cui l’artrite ha preceduto la comparsa di una evidente patologia cutanea.

In presenza di una psoriasi cutanea e/o ungueale sono a nostro avviso indicativi della diagnosi di artrite psoriasica i seguenti punti:

1. presenza di una sacroileite, specialmente se unilaterale;

2. presenza di sindesmofiti, specialmente se non marginali e casualmente distribuiti lungo il rachide;

3. presenza di “dito a salsicciotto”;

4. distribuzione asimmetrica dell’artrite;

5. assenza del fattore reumatoide nel siero e dei noduli reumatoidi sottocutanei;

6. assenza di una osteoporosi iuxtarticolare;

7. presenza di lesioni discitiche lungo il rachide e/o di manifestazioni entesopatiche e/o di una artrite coinvolgente le articolazioni interfalangee distali.

Nell’ambito della diagnostica differenziale vanno escluse ovviamente patologie cutanee e articolari. In particolare il dermatologo dovrà escludere le infezioni fungine e la dermatite seborroica, il reumatologo, a parte le altre spondiloartriti, l’artrite reumatoide e la gotta.

 

Trattamento dell'artrite psoriasica

La terapia dei pazienti con artrite psoriasica dipende dall’estensione della patologia cutanea e dall’interessamento articolare. In linea generale, l’aspetto più importante della terapia del paziente con artrite psoriasica rimane il controllo dell’infiammazione, che può essere raggiunto nei casi lievi dall’uso dei soli antinfiammatori non steroidei (FANS).

Nei casi più aggressivi è necessario l’utilizzo di un farmaco di fondo (Disease Modifying Anti Rheumatic Drugs, DMARDs). La terapia di fondo dell’artrite psoriasica include diverse possibilità, tra queste ricordiamo in primo luogo il methotrexate (MTX), efficace e generalmente ben tollerato alle dosi consigliate (7,5 – 15 mg settimanali). Con questo regime terapeutico gli effetti collaterali sono minimi e consistono in nausea, vomito e dolore addominale; meno frequentemente macrocitosi, stomatiti ed alopecia.

Un ulteriore aspetto è il rischio di epatotossicità legata a tale terapia, per cui è consigliabile un accurato monitoraggio della funzione epatica. La tossicità del MTX può essere aumentata dall’associazione con FANS; ciò perché questi ultimi si legherebbero con maggiore affinità alle proteine plasmatiche spiazzando il MTX che sarebbe più disponibile in circolo.

Va infine considerato come ultimo aspetto la possibile coesistenza di una epatite di tipo B o di tipo C o di un abituale consumo di alcolici. Queste situazioni sono già a rischio dì danno epatico, per cui l’impiego del MTX va considerato attentamente, caso per caso. In alternativa al MTX vanno considerati in primo luogo i sali d’oro (SD) o la sulfasalazina (SSZ). I SD non peggiorano la psoriasi e in generale sono ben tollerati.
L’unico aspetto sfavorevole che caratterizza il loro impiego è l’eccessiva latenza (2-3 mesi) prima che la loro efficacia terapeutica diventi evidente sul piano clinico.

La SSZ è un farmaco efficace e ben tollerato (dose media 2 g/die) che recentemente si è dimostrato particolarmente efficace nel trattamento della spondilite psoriasica. I numerosi effetti collaterali sono più temuti che descritti (fugaci rash, cefalea, neutropenia).

Un’ulteriore farmaco è la ciclosporina A (CsA) (dose iniziale 2,5 mg/kg/die incrementabile fino a 5 mg/kg/die) dimostratasi efficace nel trattamento della psoriasi grave. L’alto costo e la tossicità renale sono fattori che ne limitano l’impiego a casi selezionati. È necessario un attento monitoraggio del paziente con periodici controlli della funzionalità renale e della pressione arteriosa con aggiustamenti della dose sulla base delle eventuali variazioni. Studi molto recenti suggeriscono comunque l’uso della ciclosporina per periodi necessariamente ben definiti.

Infine una ulteriore possibilità terapeutica è rappresentata dalla Leflunomide (LEF) (dose iniziale: 100mg/die per tre gironi; poi 20 mg/die).
La LEF è un farmaco efficace e ben tollerato, i cui effetti collaterali sono minimi e consistono in nausea, vomito e dolore addominale; occasionalmente lieve ipertransaminasemia che regredisce con la sospensione del farmaco.

Vanno infine ricordati, tra i nuovi immunosoppressori di tipo biologico, l’infliximab e l’etanercept, anticorpi che con diverso meccanismo d’azione (blocco diretto per il primo, blocco recettoriale per il secondo) neutralizzano l’azione del Tumor Necrosis Factor (TNF).
La somministrazione di infliximab ed etanercept va effettuata sotto stretto controllo dello specialista dal momento che il blocco del TNF potrebbe potenzialmente esporre il paziente trattato al rischio di severi eventi avversi di natura prevalentemente infettiva.

Questi farmaci oltre ad un efficace controllo dei segni e dei sintomi dell’artrite, assicurano una evidente riduzione della progressione radiologica dell’erosione articolare, proponendosi quindi nella terapia dell’artrite psoriasica come un’ottima alternativa ai trattamenti tradizionali, qualora essi non siano stati in grado di assicurare un adeguato controllo della malattia.

Oltre alla terapia farmacologica generale va considerata quella farmacologica locale con il possibile impiego intraarticolare di corticosteroidi. Tale modalità terapeutica è particolarmente consigliata nelle oligoartriti e nel trattamento delle tendiniti e borsiti e va comunque praticata con grande cautela, per il pericolo di infezioni batteriche, e ben tenendo conto degli effetti collaterali a carico della cartilagine e dell’osso subcondrale, particolarmente severi per terapie prolungate.

Accanto alla terapia farmacologica va sempre considerato un programma fisiochinesiterapico il quale oltre alla prevenzione delle deformità deve comunque assicurare il corretto mantenimento della funzionalità articolare.

La terapia chirurgica può sia prevenire l’instaurarsi di deformità sia correggere queste una volta presenti. Nel primo caso va considerata l’asportazione della membrana sinoviale nei casi in cui il panno sinoviale è particolarmente aggressivo, abbondante e mal controllato dalla terapia farmacologica.

La terapia ortopedica corregge le deformazioni articolari ed in casi selezionati è indicato l’impiego di protesi sia delle articolazioni interfalangee o metacarpofalangee che delle grandi articolazioni (ginocchia, coxo-femorali e scapolo-omerali).

 

Data pubblicazione: 19 aprile 2011

Autore

r.peluso
Prof. Rosario Peluso Reumatologo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università degli Studi di Napoli Federico II.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Napoli tesserino n° 29447.

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