Meno protesi peniene per risolvere un disturbo dell'erezione

giovanniberetta
Dr. Giovanni Beretta Andrologo, Urologo, Patologo della riproduzione, Sessuologo

Questa sembra essere la tendenza di fondo, segnalata in un recente lavoro pubblicato in questi giorni sul “The Journal of Sexual Medicine” e condotto da un gruppo di clinici del Dipartimento di Urologia del Weill Cornell Medical College e del Dipartimento di Chirurgia del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York.

Nel primo decennio del XXI° secolo questa indicazione chirurgica, in presenza di un problema erettivo, si è dimezzata anche se l’inserimento di una protesi peniena rimane sempre una valida alternativa per risolvere alcuni casi di deficit più complessi o con altre comorbidità presenti.

 

Negli Stati Uniti d’America questa procedura chirurgica interessa, ogni anno, circa 20.000 uomini con deficit erettivi, di natura organica, e resistenti alle comuni terapie farmacologiche.

Per arrivare a queste conclusioni il gruppo di ricercatori ha valutato tutti i dati provenienti dai vari Centers for Medicare e Medicaid Services statunitensi dal 2001 al 2010.

Da questa valutazione epidemiologica emerge che, benché le diagnosi di deficit dell’erezione siano aumentate in quel periodo del 165% (100.840 casi del 2001 contro i 266.980 del 2010), le indicazioni all’inserimento di una protesi peniena semplice, semirigida o complessa, multicomponente di tipo idraulico sono scese dal 4,6% dei casi nel 2002 al 2,3% nel 2010.

Altro dato interessante che emerge, sempre dall’analisi di questi dati, è che la percentuale di uomini con patologie complesse, a cui è stata inserita una protesi, è aumentata dall’11,8% al 22,5%.

Le conclusioni dei nostri clinici, che si possono condividere anche alle nostre latitudini, sono che, prima la terapia tramite iniezioni intracavernose di farmaci vasoattivi poi l’utilizzo dei farmaci per uso orale, iniziato con il Sildenafil (lo storico Viagra), hanno drasticamente modificato tutte le strategie terapeutiche che oggi vengono utilizzate, lasciando la soluzione chirurgica come ultima e “radicale” tappa, capace comunque di riportare un uomo ad avere una regolare attività sessuale, anche di tipo penetrativo.

 

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Data pubblicazione: 08 luglio 2015

Autore

giovanniberetta
Dr. Giovanni Beretta Andrologo, Urologo, Patologo della riproduzione, Sessuologo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1977 presso Università di Milano.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Firenze tesserino n° 12069.

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