Parkinson diagnosi.

Con uno skin test si può fare diagnosi precoce di Parkinson?

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Dr. Mauro Colangelo Neurologo, Neurochirurgo

Anumantha Kanthasamy, del Department of Biomedical Sciences, Parkinson's Disorder Research Program, Iowa State University, Ames, Iowa (USA) ha di recente pubblicato su Movement Disorders, rivista ufficiale della International Parkinson and Movement Disorder Society, i risultati di una interessante quanto promettente ricerca nell’articolo “Blinded RT‐QuIC Analysis of α‐Synuclein Biomarker in Skin Tissue from Parkinson's Disease Patients”.

Per comprendere l’effettiva importanza della ricerca, è necessario innanzitutto rimarcare che una necessità clinica tuttora insoddisfatta è rappresentata dalla possibilità di porre una diagnosi precoce della malattia di Parkinson (MP), di fondamentale importanza per curarla più efficacemente e rallentarne la progressione. 

Infatti, la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, il neurotrasmettitore che gioca un ruolo cruciale nella regolazione dei movimenti, inizia decenni prima dell’esordio dei sintomi patognomonici della malattia.

I sintomi precoci che possono aiutare ad identificare il Parkinson sono disturbi non motori (disturbi gastro-enterici, insonnia, iposmia, disfunzioni sessuali, depressione o ansia) ma sono aspecifici per cui si cerca di identificare i biomarcatori. 

E’ recente l’acquisizione che nelle malattie neuro-degenerative, tra cui la MP, i neuroni danneggiati rilasciano nei liquidi extra-cellulari pezzi della loro struttura, i neuro-filamenti a catena leggera (NfL), che vengono ritrovati nel liquor cefalo-rachidiano e nel sangue.

Tuttavia, essendo aspecifico, un livello aumentato di NfL non si può assumere come biomarcatore per una diagnosi precoce della MP.

Gli studi di immunoistochimica hanno consentito di identificare aggregati di alfa-synucleina su campioni autoptici della cute di pazienti affetti da MP.

L'α-sinucleina è la proteina anomala dei corpi di Lewy, che si sviluppano all'interno dei neuroni nelle malattie neurodegenerative, come il Parkinson, che sono anche note come sinucleinopatie.

La ricerca di Kanthasamy è consistita nell’analisi, in doppio cieco, di 50 prelievi di cute di cui il 50% proveniente da pazienti parkinsoniani e l’altra metà da soggetti senza malattie neurologiche.

L’analisi istochimica delle proteine ha consentito di diagnosticare correttamente in 24 casi su 25 che si trattava di un campione proveniente da paziente con MP, mentre in un solo caso dei controlli è stato riscontrato l’aggregato proteico.

Charles Adler della Mayo Clinic, Scottsdale, Arizona, considerato che attualmente l’unica certezza diagnostica della MP è data dal riscontro all’autopsia dell'α-sinucleina, ha enfatizzato l’importanza di questo studio che ha evidenziato la possibilità di ritrovarla in molti altri organi, ma principalmente nella cute, auspicando che gli stessi risultati siano replicabili in vivo su pazienti con MP ai primi stadi, con un semplice skin test.

Adler auspica che si possa realizzare su soggetti in fase prodromica, prima che si sviluppi la sintomatologia clinica della MP, e che in futuro il test possa anche consentire di misurare l’efficacia del trattamento farmacologico attuato.

James Beck, capo del comitato scientifico della Parkinson's Foundation, riconosce l’importanza di un tale approccio per una diagnosi precoce, che al momento presente è di enorme difficoltà, ed auspica che quanto prima i risultati di questa ricerca vengano confermati da più vasti studi su soggetti con sospetta Malattia di Parkinson.

Inoltre, la scoperta di questo biomarker periferico potrebbe anche consentire una valutazione della progressione longitudinale della malattia.

Data pubblicazione: 05 novembre 2020

4 commenti

#1
Dr. Antonio Ferraloro
Dr. Antonio Ferraloro

Come sempre un ottimo articolo pubblicato dall'amico e illustre Collega Mauro Colangelo. Di questo studio si è parlato al recente Virtual Congress della LIMPE-DISMOV, il maggiore Congresso italiano sui Parkinsonismi e i disturbi del movimento, che personalmente ho seguito da casa.
Ovviamente siamo di fronte ad una scoperta che, se confermata su grandi numeri e su pazienti "in vivo", aprirebbe prospettive entusiasmanti permettendo di effettuare una diagnosi prima della comparsa delle manifestazioni tipiche della malattia e quindi potendo instaurare un trattamento precoce per rallentarne il decorso.

#2
Dr. Mauro Colangelo
Dr. Mauro Colangelo

Antonio,
Grazie della tua competente osservazione e del tuo lusinghiero apprezzamento.

#3
Utente 510XXX
Utente 510XXX

Dott. Colangelo grazie. Questo suo nuovo articolo,sperando che nel tempo si abbiano conferme, è veramente importantissimo e,soprattutto, di grande supporto psicologico per coloro che sono colpiti da questa patologia fortemente invalidante fisicamente e,di conseguenza, anche moralmente. Mi permetta di chiedere,Secondo Lei, questa sperimentazione in vivo potrebbe essere,finalmente,la soluzione "definitiva" per questa fastidiosissima sintomatologia? Nel rinnovarla i ringraziamenti per il suo continuo contributo,le auguro buona serata.

#4
Dr. Mauro Colangelo
Dr. Mauro Colangelo

Gentile Utente 510030,
La ringrazio del commento ed apprezzo il suo vivo interessamento all'argomento. Lei ha perfettamente compreso che una diagnosi precoce, anche se non implica purtroppo pervenire ad una risoluzione del problema, riesce comunque a consentire un trattamento tempestivo di questa invalidante malattia e, come secondario endpoint, potrebbe facilitare il follow-up del paziente nel tempo.
Cordiali saluti

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