Il piacere che non torna a casa: Marlena e la dimensione eroica della dipendenza

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Quando un tossicodipendente guarda alla propria situazione, il suo sguardo non è lo stesso di chi sta fuori. Essere dentro un cervello che fa “girare” la tossicodipendenza significa pensare in funzione della cosa da cui si è dipendenti. Come se quella cosa non potesse scomparire, essere accantonata, passare in secondo piano. Come se da quella cosa dovesse senza dubbio venire l'unico possibile appagamento. Ironia della sorte, questa smania e questo desiderio non sono necessariamente giustificate né dal passato, né tantomeno del presente, ma di come il cervello ha elaborato l'esperienza della droga. Sviluppare una dipendenza significa che il messaggio (inizialmente positivo, gratificante, utile) di una droga è fissato in maniera stabile e non più elastica come un assioma, cioè un punto di partenza della visione delle cose. Non più una cosa che viene “dopo” i punti fermi, ma un punto fermo.

In questo vissuto, il tossicodipendente si trova contemporaneamente a sognare un coronamento della propria storia d'amore con la sostanza, e allo stesso tempo a disperarsi per l'assenza dell'amore, come un amante che non riesce più a riconquistare la persona amata, senza che il destino gli conceda di dimeticarla. La memoria non è costruita in base a ciò che abbia senso fare nel presente (la sostanza è usata in maniera tale che non potrebbe più dare piacere, tecnicamente), ma in maniera eccessiva, cosicché la persona ricorda un piacere passato che non è più storicizzato, è assoluto: dovrebbe esistere ancora, sempre e sempre di più. Proprio per questa posizione “ideale” di piacere infinito e massimo, il cervello nella dipendenza è sempre insoddisfatto, carente di stimolo, inappagato. La risposta del cervello è cercare la sostanza ancora, di più, in maniera insistente come per dover raggiungere un tetto, un cielo.

Non si tratta di una personalità che parte già così, ma di una modificazione del cervello, che si “setta” come se suo compito fosse produrre e mantenere un piacere ideale. Se questo è il messaggio di fondo, è chiaro che tutto il resto diventa non soddisfacente, non sufficiente, non comparabile.

 

Spesso capita di sentire, dai pazienti che raccontano le loro dipendenze, un misto di storie tragiche e di altri passaggi “eroici”. I secondi prevalgono. Se il tossicodipendente inizia a parlare della sua sostanza, presto alla disperazione si sostituisce una sorta di fascinazione, di grandiosità. Come se il tossicodipendente in qualche modo volesse “essere all'altezza” del suo compito anche quando lo racconta, un buon soldato. Ferito, magari mutilato, traumatizzato, che ha visto brutture di ogni tipo, che chiede di tornare a casa. Come un soldato. Ma anche, così come tanti soldati, legato emotivamente all'esperienza del combattimento quasi come se continuasse a cercare la vittoria che non è riuscito ad avere.

 

Questa ambivalenza si può notare anche nelle canzoni e nei film che parlano di dipendenza. Il racconto, se in prima persona, non è quasi mai “solo” triste e autocritico. E' eroico. Ci si distrugge, ma andando a cento all'ora. Ci si distrugge, ma scegliendo l'autodistruzione. Ci si distrugge, ma dimenticando il resto del mondo. Non è per niente detto che questa sia la realtà concreta che il tossicodipendente ha vissuto, ma è una dimensione mentale. Una dimensione “missionaria”.

 

Ascoltavo il brano “Marlena” dei Maneskin, proposto da una mia collega (testo e video in fondo all'articolo), e il testo mi suggeriva proprio questa interpretazione. Il brano canta di un'assenza, l'assenza di una fonte di appagamento, che non vuol tornare indietro, che ora si nega o non risponde più. Potrebbe essere qualsiasi cosa, dall'amore, all'ispirazione artistica. Io mi sono immaginato che significasse il piacere di chi è dipendente. Non necessariamente da droga, poi, dipendente in generale. La persona desidera, e resta a secco, e fin qui il concetto è semplice: una persona che lamenta l'assenza di un piacere che improvvisamente si interrompe, e di cui la persona ormai non può più fare a meno come fosse una linfa vitale essenziale. E' un'assenza che però, già dall'inizio, ha qualcosa di strano: non è Marlena che è assente, è qualcosa "dentro di sé" che manca, un segnale di assenza di chi è rimasto. Perché il testo dice "cammino per le strade della mia città...". Siamo dentro il cervello di chi canta, che non è alla ricerca dell'amante perduta in giro per il mondo, ma dentro di sé.

Ma più la canta, quest'assenza, e più finisce per rievocare con gloria la presenza. Più non c'è, più la memoria esplode. Più questo accade, più si passa dalla figura di un disperato che invano chiama a sé la sua salvezza (come Cristo in croce che invoca l'aiuto del Padre) ad un eroe che celebra la sua nuova vita “donata” da Marlena, che ora sembra non tornare più, ma che se ci fosse sarebbe una promessa di felicità eterna. Quello che l'assenza ha prodotto (l'assenza di piacere) è molto maggiore di ciò che la presenza del piacere ha prodotto. Alla fine nella dipendenza è così: l'oggetto del desiderio è ciò senza cui “la vita non può più essere perfetta”, ma non è mai stato così in passato, semplicemente la persona ha sviluppato questa aspettativa, e non torna indietro. Tornare indietro, se non si avesse una dipendenza, sarebbe doloroso ma semplice: Marlena non c'è, evidentemente non c'è più, non risponde, è indifferente o è altrove. E quindi peccato, ma si va avanti. Con nostalgia, amarezza, ma si va avanti. Invece chi canta l'assenza di Marlena risorge dalla sue ceneri ma non per dichiarare che si farà una vita nuova senza Marlena, bensì accecato ancora più di prima dalla voglia di riprodurre quello che Marlena non sta più donando, di correre verso un futuro pieno di Marlena, nonostante Marlena sia assente, da tanto e senza speranza.

 

Addirittura, si verifica quello che potremmo chiamare il capovolgimento della storia. Chi è dipendente racconta che niente può salvarlo se non la sua “droga”, così come accade ad esempio in un'astinenza. Ma questo rapporto non è quello originario, perché l'astinenza è una conseguenza dell'uso della droga. Dalla storia sembrerebbe che Marlena abbia salvato chi parla da una vita buia, e che quindi adesso sia tornato il buio, il freddo e il vuoto, senza di lei. Invece il dubbio è che questo buio, freddo e vuoto siano Marlena-dipendenti, e che prima ci fosse un qualcosa di molto meno marcato, meno disperato, e soprattutto di meno vincolato.

 

Adesso la felicità sembra legata alla sola presenza di una Marlena. Prima poteva essere legata alla presenza di qualcuno. Adesso no: è un vuto che solo Marlena potrebbe riempire, o comunque la persona è convinta di questo, e non cerca e non aspetta altro. La felicità ha assunto un'identità, e poi è sparita, cosicché non si può cambiarle nome, soltanto aspettare che torni. Questa è la maledizione delle dipendenze, che non permettono di staccarsi dall'aspettativa, fasulla e amplificata, di una felicità derivante solo e soltanto da quello stimolo. Come in una usura emotiva, si pagano gli interessi infiniti di un prestito di piacere tutto sommato limitato, cosicché la felicità è vincolata al buon rapporto con l'usuraio. Mentre la vittima dell'usura lo sa, e non è certo in amore con il suo persecutore, la persona che è dipendente vive in questo amore vincolato per ciò che gli sta donando ormai solo un debito di piacere.

 

Secondo i Maneskin Marlena non parla di droga, ma di un legame sì. Alcuni dei suoi passaggi sono comunque utilissimi nel descrivere la dimensione mentale di chi è appunto legato in maniera patologica a qualcosa. Potrebbe essere una dipendenza erotica, la forma è la stessa, e lo stesso sembra essere il sottofondo biologico. Se fosse una droga, sarebbe probabilmente un oppiaceo, per l'accostamento di dolore, dell'effetto intimo (la carezza che toglie le lacrime, la capacità di fermare il dolore, etc).

 

Sul piano medico, la cosa più importante da ricordare è che la ricaduta, fondata su questo desiderio ambivalente, tra malinconia e slancio missionario, è ricaduta per modo di dire. Il tossicodipendente non si affloscia, non si siede, non cade all'indietro, ma prende il volo, accelera, e sfugge a chi era pronto a sorreggerlo, ma non sa cosa fare per fermarlo.

 

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Video https://www.youtube.com/watch?v=ZZjnfWx0cvw

Testo: https://www.teamworld.it/testi-traduzioni/torna-a-casa-maneskin-testo-nuovo-singolo-e-significato-del-brano/

 

 

Data pubblicazione: 08 dicembre 2018

10 commenti

#1
Ex utente
Ex utente

Buongiorno,
La Prima volta che ascoltai questa canzone , erroneamente avevo identificato marlena non come una persona fisica ,ma uno stato di una mente smarrita in cerca del proprio Io,con la richiesta consapevole di richiedere a se stesso /a di tornare a casa.
Buona Domenica .

#6
Utente 436XXX
Utente 436XXX

Saranno anche sbagliati tecnicamente, ma non é entrato nel merito di nessuno di essi. La invito a leggere le sue risposte anche ad altri consulti da lei erogati. Se c'è qualcuno che dovrebbe essere allontanato dal sito, perché offensivo verso un'intera categoria (quella dei pazienti) questo é proprio lei.

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