Tumore della prostata a basso rischio: meglio la sorveglianza attiva

giovanniberetta
Dr. Giovanni Beretta Andrologo, Urologo, Patologo della riproduzione, Sessuologo

Tumore della prostata a basso rischio: meglio la sorveglianza attiva o la vigile attesa.

Questo atteggiamento clinico non aggressivo sembra essere diventato in questi ultimi anni l’approccio più indicato e consigliato nei maschi con un tumore della prostata ben localizzato e a basso rischio.

 

      

 

In un recente passato questi pazienti con livello di antigene prostatico specifico (PSA) inferiore a 10 ng per ml e Gleason 6, che rientravano nella categoria T1c-T2a, erano indirizzati verso una prostatectomia radicale

Dal 2010 le linee guida nord-americane hanno incominciato a raccomandare un gestione “conservativa” del carcinoma della prostata a basso rischio come alternativa possibile alla prostatectomia radicale o alla radioterapia.

 

        

 

Questo studio, in realtà una lettera di ricerca, condotto da alcuni clinici del Dana-Farber Cancer Institute, Brigham and Women's Hospital di Boston e pubblicato ora su JAMA, ha analizzato le modalità di gestione del cancro alla prostata negli Stati Uniti d’America dal 2010 al 2015 su 165.000 casi utilizzando le informazioni fornite da un database nazionale di statistiche sulle varie problematiche oncologiche.

 

         

 

La ricerca ha messo in luce come la pratica di usare una sorveglianza attiva e vigile attesa nei cancri prostatici localizzati a basso rischio è cresciuta dal 14,5% nel 2010 al 42% nel 2015 ed è da allora praticamente l’approccio clinico più utilizzato aumentando tra i pazienti con patologia a rischio intermedio e rimanendo invariata negli uomini con malattia ad alto rischio.

Comunque l'indicazione verso una prostatectomia radicale, con rimozione dell’intera ghiandola prostatica, è aumentata in questi anni nei pazienti con un cancro ad alto rischio.

 

        

 

Gli autori dello studio comunque denunciano un limite della sorveglianza attiva che sembrerebbe legato alla mancanza di precisi dati sulle modalità con cui questa viene svolta nella varie strutture considerate; ciò è chiaramente un problema da non sottovalutare e che potrebbe influire non positivamente invece sull’applicazione di questa pratica “non invasiva” nella gestione clinica complessiva di altri tumori prostatici con rischio clinico diverso.

Si attendono ora altre valutazioni, soprattutto di tipo epidemiologico, più mirate.

 

Fonte:

https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2724897

Altre informazioni:

https://www.medicitalia.it/blog/urologia/3699-i-perche-del-cancro-alla-prostata.html

https://www.medicitalia.it/news/urologia/7299-tumore-della-prostata-a-volte-e-meglio-la-sorveglianza-attiva.html

 

Data pubblicazione: 18 febbraio 2019

Autore

giovanniberetta
Dr. Giovanni Beretta Andrologo, Urologo, Patologo della riproduzione, Sessuologo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1977 presso Università di Milano.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Firenze tesserino n° 12069.

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2 commenti

#1
Utente 265XXX
Utente 265XXX

sarei interessato a una informazione approfondita su questo metodo . Grazie

#2
Dr. Giovanni Beretta
Dr. Giovanni Beretta

Purtroppo rimangono a tutt'oggi i limiti già indicati; come la "mancanza di precisi dati sulle modalità con cui questa sorveglianza attiva viene svolta dai diversi urologi e nelle varie strutture considerate e questo è chiaramente un problema da non sottovalutare anche nella gestione clinica complessiva di altri tumori prostatici con rischio clinico diverso.

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