La natura nel senso di vita: dai vaccini alla vitamina D e alla collagenopatia carenziale

Revisione Scientifica:

brunosilvestrini

È stata una sorta di ubriacatura, anzi di follia collettiva della maggioranza di noi ricercatori, o scienziati come amiamo chiamarci. Mi riferisco all'idea che nei nostri laboratori potessimo inventare farmaci paragonabili a quelli racchiusi nel nostro organismo. L'avrei capito nei maestri del passato, che non disponevano di conoscenze biologiche paragonabili alle nostre, ma non oggi. Ne parla un docente universitario a riposo, che non ha resistito al fascino del WEB: non tanto per la platea che gli mette a disposizione, quanto piuttosto perché gli consente di aprire un dibattito con l'uomo della strada e col medico di base, oggi più aperti e reattivi ai mutamenti della scienza ufficiale.

Gli unici farmaci capaci di debellare per sempre una malattia sono stati inventati dalla natura intesa nel senso di vita, nel corso del processo evolutivo che in alcuni miliardi di anni le ha consentito di sviluppare un armamentario terapeutico stupefacente. Prendiamo le infezioni, ad esempio. Per combatterle, il nostro organismo non si avvale più degli antibiotici fungini, che sono armi primordiali, paragonabili alla clava dell'uomo primitivo. La natura lo ha dotato di una fabbrica che li produce di volta in volta a misura dell'aggressore, sapendone inoltre ribatterne le eventuali contromisure. Il problema della resistenza agli antibiotici è stato risolto così, una volta per tutte. Questa fabbrica appronta e sforna un nuovo “anticorpo”, il nome dato ai suoi antibiotici, in appena un paio di settimane. È un tempo record, se confrontato agli anni che servono a noi, ma ci sono infezioni talmente rapide, da uccidere prima che queste armi siano disponibili. Il rimedio la natura l'ha trovato. Consiste nel non fermare mai il “sistema immunitario”, come è stata chiamata la sua fabbrica di anticorpi. Lo mantengono all'erta, pronto a scattare al minimo segnale di pericolo, i miliardi di microrganismi presenti nel nostro intestino, oltre che nell'ambiente. Essi svolgono egregiamente questo compito anche se non sono identici al loro corrispettivo maligno. Per esempio, contro il vaiolo funziona anche la varicella, che è una malattia meno pericolosa. Lo ha scoperto nel 1700 Benjamin Colman non in un laboratorio, ma sul campo (Colman, 1721). Attenzione, dico ai genitori che credono di proteggere i figli sterilizzandoli e non vaccinandoli: li state crescendo come fiori di serra, che alla prima folata di vento si afflosciano. Credete di fare il loro bene, ma sbagliate. Le grida contro le vaccinazione fanno rabbrividire chi, come me, ha vissuto lo sgomento dei compagni di scuola uccisi o storpiati da malattie che oggi non fanno più paura, come la difterite o la poliomielite. Per rispondere, mi riferisco ai giornalisti che danno spazio a queste grida, basterebbe rileggersi il documento prodotto vent'anni fa del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB, 1995). Anche i chemioterapici e gli antibiotici sono efficaci contro le infezioni e hanno salvato milioni di malati, ma si differenziano dai vaccini perché si sostituiscono all'organismo, agendo in sua vece. Sono milizie mercenarie, che combattono i singoli episodi infettivi, ma non proteggono dalle ricadute; al contrario, spesso le facilitano sguarnendo le difese dell'organismo. Per anni mi sono limitato a insegnarlo agli studenti che assistevano alle mie lezioni. Ora non più. Non solo mi rivolgo a una platea più estesa e variegata, ma la sollecito a ribattere, condividendo le mie ragioni o, se non sono d'accordo, a confutarle.

I vaccini sono appena il primo, acerbo frutto fornito dallo studio di questo incomparabile armamentario terapeutico d'origine naturale. L'ha mostrato Louis Pasteur col vaccino antirabbico, che agisce in senso curativo oltre che preventivo, ma siamo nel 1800 e da allora pochi l'hanno seguito. Nel mio piccolo l'ho fatto io con l'ipotesi della “immunocinetica”, che apre uno spiraglio di luce al trattamento dei tumori, ma lì mi sono fermato (Silvestrini, 2014).

Le vitamine e gli altri elementi essenziali nascosti nel cibo comune forniscono un altro esempio delle opportunità terapeutiche nascoste nel nostro organismo. Mentre il sistema immunitario difende la salute dagli attacchi, questi farmaci endogeni la presidiano permanentemente, catalizzando e sostenendo i processi fisiologici che sono alla sua base. La loro importanza è documentata dalle conseguenze derivanti dalla loro deprivazione: non solo le patologie riferibili al ruolo specifico di ciascuno di essi, ma il subentrare di altre malattie, legate semplicemente all'indebolimento delle difese generali contro le aggressioni, interne ed esterne. A parte le malattie ereditarie, che sono connaturate nel nostro genoma, tutte le altre sono normalmente tenute a bada dall'organismo sano. Praticamente non c'è affezione, esogena o endogena, che non dipenda dallo stato dei processi elementari alla base della salute. Per quanto ne sappiamo, Ippocrate è stato il primo a cercare i farmaci, intesi nel senso di medicine, nella persona sana. Né lui, né gli altri che l'hanno seguito lungo questo percorso, hanno avuto bisogno di animali da laboratorio o di volontari, sani o malati, per sperimentarli. Queste medicine vanno cercate negli alimenti, dove attendono solo di essere portate alla luce e valorizzate in chiave scientifica. Sulla storia della loro scoperta non ritorno, dato che l'ho già racconta nel mio ultimo libro, salvo per una, particolarmente significativa.

Siamo nella seconda metà del 1700, quando lo scorbuto affliggeva gli equipaggi di lungo corso manifestandosi con emorragie gengivali, caduta dei denti, feci sanguinolente e febbri violente, seguite da una prostrazione spesso mortale. All'epoca qualcuno aveva già notato il valore curativo di alcuni vegetali. Nel 1553 l'esploratore Jacques Cartier, scopritore del Canada, aveva riportato la notizia che gli Indiani curavano lo scorbuto con un infuso di foglie fresche. Nel 1593 Richard Hawkins si era spinto fino a raccomandare ai marinai il succo d'agrumi. James Lind, un medico della marina britannica, va oltre: ne documenta l'efficacia con i criteri moderni della “medicina dell'evidenza”. Arruola un gruppo di malati di scorbuto e li “randomizza”, ovvero li suddivide in gruppi omogenei ognuno dei quali è trattato con una diversa varietà di cibo fresco. Grazie agli scambi commerciali con la Sicilia, già allora vivaci, dispone di agrumi il cui succo rivela un potente effetto curativo e preventivo. È il 1747, una data da ricordare perché corrisponde al primo studio clinico controllato dell'epoca moderna.

James Lind ha sicuramente arruolato i marinai coinvolti nel suo studio senza chiedere il loro consenso, ma meriterebbe d'essere giudicato con rispetto perfino oggi, in un'epoca nella quale il consenso libero e informato è imposto dalla legge e da solenni dichiarazioni mondiali sui diritti della persona umana. La sua è stata una “terapia sperimentale”, le cui finalità scientifiche coincidono con la cura di una malattia grave, potenzialmente letale. Inoltre, James Lind è ricorso a un rimedio d'origine naturale, collaudato da un precedente uso alimentare. Al massimo, il succo d'agrumi avrebbe potuto irritare la mucosa oro-faringea erosa dallo scorbuto, che è un effetto collaterale da poco. Io stesso, in circostanze analoghe, continuo a comportarmi così, nel rispetto di un codice deontologico dettato dal Giuramento di Ippocrate.

James Lind non si ferma alla scoperta scientifica, ma si batte per tradurla in pratica e diffonderla. Chiede udienza alle autorità sanitarie del tempo e sollecita l'equivalente della moderna registrazione dei medicinali erogati gratuitamente. I suoi sforzi hanno successo nel 1795, un anno dopo la sua morte, quando su disposizione dell'Ammiragliato ogni nave della Marina militare britannica sarà dotata di un barile di succo d'agrumi. James Lind è stato un grande della medicina. Eppure, chi ne cercasse il nome nelle enciclopedie rimarrebbe deluso. Su qualcuna l'occhio corre sulla voce Lind, ma si tratta di Jenny Lind, famosa soprano svedese.

Al pari dei vaccini, anche le vitamine sono state inizialmente impiegate sotto forma di preparazioni grezze, incostanti nella composizione e negli effetti. Per esempio, il succo d'agrumi conservato nei barili della flotta britannica si degradava ed inquinava facilmente. Lo stesso vaccino antivaioloso ottocentesco, d'altronde, in alcuni casi aveva prodotto reazioni gravi, perfino mortali. È quindi occorso perfezionarli, identificandone i principi attivi e in modo da poterli usare o come tali oppure come indicatori del grado di potenza e sicurezza delle preparazioni originali. Nel 1911 Kazimierz Funk isola dall'integratore alimentare usato dall'ammiraglio Takaki contro il beriberi la vitamina B1, detta anche tiamina. La vitamina D è isolata da E.V. McCollum nel 1922. Qualcuno della mia generazione ancora ricorda il sapore nauseabondo dell'olio di fegato di merluzzo, precedentemente impiegato in sua vece. La vitamina C, o acido ascorbico, è isolata nel 1928 da Albert Szent-Gyorgyi, che nel 1937 vincerà il Premio Nobel. Accanto alla vitamina C identifica la rutina ed altri flavonoidi, ai quali attualmente si riconoscono importanti proprietà terapeutiche. Questi principi attivi meritano d'essere valorizzati congiuntamente, perché hanno effetti sinergici. La maggior parte delle altre vitamine è identificata tra il 1910 e il 1950 da vari gruppi di ricercatori, le cui indagini saranno coronate da una quindicina di Premi Nobel.

Lo scorbuto, il rachitismo, la cecità da xeroftalmia e il gozzo endemico, per citare alcune di queste affezioni, sono diventate talmente rare, che a un giovane medico può capitare di non incontrarle mai nell'intero arco della sua vita professionale. Io non conosco un solo farmaco dell'altra medicina, quella mercenaria per intendersi, che abbia fatto altrettanto. Eppure, anche qui siamo appena all'inizio di un percorso tuttora inesplorato.

Questa lezione prosegue con la vitamina D, termine che designa un gruppo di sostanze liposolubili (D1, D2, D3, D4 e D5), coinvolte nell'assorbimento e nelle funzioni fisiologiche del calcio, del fosfato e di altri elementi essenziali, quali ferro, iodio, magnesio, zinco e, secondo qualcuno, litio. Le più importanti e meglio studiate sono la D2, o ergocalciferolo, e la D3, o colecalciferolo), d'origine vegetale la prima, animale la seconda. La loro carenza si manifesta sotto forma di rachitismo nel bambino, di osteomalacia nell'adulto e, secondo indagini relativamente recenti, di altri disturbi organici e mentali. Sull'argomento sono disponibili ottime rassegne, anche in chiave evoluzionistica, come quella di Cianferotti e Marcocci (2010), che segnalo al lettore. Oggi sappiamo che la vitamina D proviene per il 5 per cento dalla dieta e per il 95 per cento dalla pelle, dove è prodotta attraverso un processo di fotosintesi. Il trattamento delle patologie causate dalla sua carenza si pone, di conseguenza, a due livelli: da un lato come apporto alimentare della vitamina D e dei suoi precursori richiesti per la sintesi endogena, dall'altro in termini di capacità produttiva endogena. Il primo di questi due elementi chiama in causa come materia prima il colesterolo, il cui ruolo in questi e in altri processi fisiologici è stato fin qui troppo trascurato. Il secondo elemento ci riporta al sistema immunitario, citato nella prima parte di questa lezione come fabbrica degli anticorpi. Le due situazioni, tuttavia, appaiono diverse. La tecnica adottata dalla natura per il sistema immunitario assomiglia alle manovre militari, che simulano la guerra. Per produrre la vitamina D, la cute da un lato è rimasta alla sintesi clorofilliana, che ricava l'energia direttamente dall'irradiazione solare, ma rischia, se non è debitamente alimentata d'incorrere nella sindrome nota come “collagenopatia carenziale” (Silvestrini, 2014). Sotto questo profilo alla ricerca italiana va riconosciuto il merito di un'integrazione alimentare, che per la prima volta punta al rafforzamento della fabbrica endogena coinvolta, responsabile della produzione endogena di vitamina D. Senza farne il nome, è un integratore a base di collagene, calcio e vitamina D.

Questa è la medicina della salute. È la Terra promessa del ricercatore, turgida di frutti maturi che attendono solo d'essere liberati dal fogliame, raccolti e valorizzati in medicina. Non richiede attrezzature costose, né mezzi straordinari. Non richiede nemmeno la cosiddetta “vivisezione”, che in realtà è una sperimentazione non terapeutica, spesso condotta più sull'uomo, che sull'animale. Non la richiede perché è già stata effettuata nel corso del processo evolutivo delle specie viventi culminante nell'uomo e, aggiungo da medico, nell'armamentario terapeutico racchiuso nel nostro organismo (Darwin, 1859). A volte penso ai miei colleghi chiusi nei loro laboratori e mi domando: possibile che non lo capiscano, che non vedano questa straordinaria opportunità? Non è forse scienza anche questa? C'è chi invoca come spiegazione l'industria farmaceutica e il brevetto di prodotto, ma c'è dell'altro. La medicina della salute si studia sul grande libro della vita, che non è alla portata di tutti.

Bibliografia

  • Cianferotti L, Marcocci C. Vitamina D: La storia antica di un ormone moderno. L'Endocrinologo, 2010, 11(3): 121-129
  • CNB (Comitato Nazionale per la Bioetica): Le vaccinazioni. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria. 1995, Roma.
  • Colman  B. (1721), Some Observations on the New Method of Receiving the Smallpox by Ingrafting or Inoculation. Printed for Samuel Gerrish at His Shop Near the Brick Meeting-House.
  • DARWIN C. R. (1859), On the Origin of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle to Survive, John Murray, London.
  • Silvestrini B. (2013), Immunokinetics: A New Approach to Vaccines, Annali dell'Istituto Superiore di Sanità, 49(3): 306-308.
  • Silvestrini B. (2014), Il farmaco moderno. Un patto esemplare tra uomo e natura. Carocci Ed.
Data pubblicazione: 30 maggio 2016

Questo articolo fa parte dello Speciale Salute Farmaco Naturale 

Autore

brunosilvestrini
Prof. Bruno Silvestrini Farmacologo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1955 presso Università di Bologna.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Roma tesserino n° 14314.

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