Tutto sul disturbo della memoria

Revisione Scientifica:

maurocolangelo
Dr. Mauro Colangelo Neurologo, Neurochirurgo

Il disturbo della memoria può essere la conseguenza di più cause e non solo della malattia di Alzheimer; esiste infatti una significativa differenza fra il fisiologico declino della memoria nei soggetti anziani e la perdita di memoria che si determina nei quadri di demenza. La demenza è caratterizzata da un complesso di sintomi che includono, specialmente all'esordio, i disturbi della memoria, ma che progredisce con gradualità coinvolgendo l'attitudine del soggetto al lavoro, alle interazioni sociali ed all'autonomia personale. Diversamente, taluni problemi di memoria sono attribuibili a condizioni mediche che beneficiano di un adeguato trattamento quando appropriatamente diagnosticate. Inoltre, nel caso di disturbo di memoria dovuto al declino cognitivo lieve che accompagna l'invecchiamento, il soggetto non è impedito dal continuare la sua usuale performance quotidiana e dal proseguire correttamente i suoi impegni sociali. Il disturbo della memoria può consistere in una riduzione quantitativa configurando diverse forme di amnesia oppure in una alterazione qualitativa, in cui il ricordo risulta solamente falsato. L'accertamento medico per il disturbo di memoria è attuato mediante specifici test neuropsicologici e ricorrendo parallelamente ad esami strumentali che indagano le condizioni strutturali e funzionali del cervello. Le terapie sono relative alla condizione medica che promuove il disturbo della memoria e sono in larga parte basate sulla prevenzione.

 

BACKGROUND STORICO

Il concetto di memoria, in termini di studio umanistico, è stato ampiamente discusso e rielaborato a partire dagli albori della filosofia greca. In particolare, fu Platone il primo ad occuparsi della definizione di memoria, fornendole un significato basato sulla sua concezione innata della conoscenza. Per Platone la memoria o "anamnesi" significava avere reminiscenza di un sapere appreso dall'anima nel mondo delle idee, prima di approdare sulla terra ed incarnarsi in un corpo. Quindi l'anima, nel processo di cognizione ed apprendimento, intuiva o per meglio dire recuperava informazioni che già possedeva, essendo il vero percorso di conoscenza avvenuto nel mondo delle idee, per cui il corpo non era considerato artefice del processo di elaborazione mnemonica.

Il medico e filosofo inglese John Locke, padre dell'Empirismo moderno e anticipatore dell'Illuminismo, nel suo Saggio sull'Intelletto Umano del 1689, si oppose alla concezione platonica della conoscenza innata, restituendo al corpo quella dignità che i platonici avevano mortificato.

Mezzo secolo dopo, un altro caposaldo a favore della corporeità del processo mnemonico nasce dalla corrente di pensiero empiristica nel “An Enquiry Concerning Human Understanding” del filosofo scozzese David Hume. Secondo questo Autore, la memoria consisteva nel ricordare le impressioni generate in cronologica successione dagli organi di senso attraverso l'osservazione del mondo. Quindi l'esperienza diventava la componente fondamentale della conoscenza e in tal modo la memoria si trasformava in una funzione puramente corporea.

A rafforzare l'idea che la memoria fosse inscindibile dalle altre attività corporee, sradicandola così da tutti gli astrattismi che per secoli l'avevano imbrigliata, intervenne il razionalismo di René Descartes, latinizzato come Cartesius, che ne tentò anche una localizzazione anatomica, seppure ingenua alla luce delle odierne conoscenze scientifiche, immaginando che nei processi di percezione, immaginazione e memoria fosse coinvolta la ghiandola pineale (o epifisi). Nella sua concezione razionalistica della conoscenza, Cartesio riconduce la memoria non più ad un'illuminazione divina, come teorizzato dai platonici, ma ad una produzione dell'intelletto ed è stato anche un antesignano nell'anticipare il moderno concetto delle aree cerebrali devolute a specifiche funzioni intellettive.

L'intuizione che l'area cerebrale coinvolta nelle funzioni mnemoniche fosse l'ippocampo avvenne solo nei primi anni del 900, grazie alle osservazioni cliniche del neurologo russo Vladimir Bechterev su di un paziente con gravi disturbi della memoria e del quale aveva poi esaminato il cervello post mortem. La prova si ottenne intorno al 1950, grazie al Neurochirurgo canadese Wilder Penfield, il quale dapprima osservò che la stimolazione del lobo temporale con elettrodi determinava nel soggetto sveglio l'affioramento di ricordi, e successivamente che l'asportazione bilaterale dell'ippocampo per la terapia dell'epilessia aboliva quasi del tutto la memoria.

Definizione del disturbo della memoria

Il disturbo della memoria, che genericamente si definisce dismnesia è un disturbo presente in molti tipi di patologie (traumatiche, infettive, tossiche, vascolari, degenerative, metaboliche) e consiste in una riduzione più o meno grave della capacità di apprendere e ricordare informazioni ed avvenimenti immagazzinati in precedenza. La memoria è una parte fondamentale della nostra identità, in quanto guida la nostra condotta in ogni momento attraverso il ricordo delle azioni compiute nel passato e dei risultati conseguiti. Ciò è reso possibile perché attraverso la memoria il cervello conserva ed assimila tutte le informazioni apprese durante l'esperienza pratica e per via sensoriale e che poi sono richiamate, sotto forma di ricordo, quando decidiamo di utilizzarle. In questo modo, grazie alla capacità di apprendimento e di immagazzinamento dei dati acquisiti, si realizza un bagaglio di conoscenze da cui dipendono tutte le nostre azioni soggettive e le condotte sociali, che sono appunto fondate sul recupero consapevole delle informazioni precedentemente archiviate nella memoria.

Per comprenderne meglio i disturbi, è necessario fare una premessa sul meccanismo fisiologico della memoria, che si snoda attraverso una serie di stadi concatenati fra di loro e che vengono sinteticamente riportati di seguito.

  1. Acquisizione (o codificazione): è lo stadio iniziale di formazione della memoria; il processo avviene se vi è motivazione all’apprendimento talché l’attenzione sia concentrata sull’analisi del dato nuovo, senza alcuna interferenza di pensieri retroattivi o proattivi.
  2. Memoria di lavoro (Working memory): consiste nel mantenere online un'informazione appena acquisita allo scopo di continuare ad aggiungervi ulteriori dati.
  3. Memoria di consolidamento: è il processo che consente la transizione da un'informazione trattenuta in modo labile ad una stabile e resistente alla distruzione e che viene integrata nel patrimonio delle proprie conoscenze.
  4. Memoria a breve termine: si riferisce alla capacità di tenere in mente offline una piccola quantità di informazioni (span) per un periodo breve di tempo (secondi o minuti), come ricordare un numero di telefono fino a quando non se ne prenda nota. Se l’informazione raccolta è uditiva, si definisce memoria ecoica, se è visiva memoria iconica, ma può anche essere tattile, olfattiva o gustativa.
  5. Memoria a lungo termine: è la capacità di mantenere un'informazione per periodi lunghi senza un limite pre-definito (giorni, mesi, anni o l'intera vita).
  6. Memoria di recupero: è il processo mediante il quale si richiamano i dati immagazzinati nella memoria a lungo termine.

Nelle ultime due decadi sono stati fatti progressi notevoli nella comprensione dei meccanismi cellulari e molecolari utilizzati nella formazione della memoria nei differenti tipi di apprendimento. Infatti, è oramai acquisito che il processo di memorizzazione, a livello neurofisiologico, richiede una serie di variazioni molecolari, cellulari e strutturali attraverso la sintesi di nuove proteine che si completano nel corso di ore o giorni ed altre che si estendono per periodi più lunghi di settimane, mesi o forse anche anni.

In particolare, ricerche recenti hanno confermato che nella memoria a breve termine l'attività sinaptica viene modellata in maniera temporanea mediante il ricorso a proteine che già esistono; invece per l'attività di consolidamento (memoria a lungo termine), la sinapsi deve essere variata in modo stabile e non solo in senso quantitativo, ossia deve aversi un vero rimodellamento della sua conformazione. Ciò richiede l'attivazione dei geni che presiedono alla sintesi proteica (RNAm) per procedere alla formazione di proteine nuove: i dati consolidati si associano quindi a strutture sinaptiche nuove. Se le fasi descritte si succedono regolarmente, la memoria è considerata stabile o consolidata, se invece una delle fasi è alterata si realizza il disturbo di memoria.

A seconda delle modalità di utilizzo delle informazioni archiviate, la memoria si distingue nelle due seguenti forme:

  1. La memoria esplicita (o dichiarativa) consente di richiamare alla mente, verbalmente o non verbalmente, eventi ed esperienze personali (memoria episodica) oppure nozioni, come un numero di telefono o una poesia (memoria semantica). E' cioè quella forma di memoria che riguarda le informazioni di cui siamo consapevoli e che consapevolmente recuperiamo; è la memoria del linguaggio parlato.
  2. La memoria implicita (o procedurale) è quella in cui le informazioni sono ritenute e recuperate secondo modalità quasi automatiche, ossia essa si utilizza indipendentemente da processi consci e senza cioè che vi sia una rappresentazione cosciente. E' la memoria di come si fanno le cose e di come si usano gli oggetti. La perdita di questo tipo di memoria, ad esempio, rende impossibile effettuare attività come vestirsi, andare in bicicletta o suonare il piano e così via.
    Le aree cerebrali coinvolte nei processi di memorizzazione sono rappresentate da un insieme di strutture (ippocampo, amigdala e corteccia cerebrale associativa) che sono responsabili di specifiche attività e per questo sono funzionalmente connesse fra loro da una specifica rete neuronale, che ha come principale neurotrasmettitore il glutammato. Esse costituiscono il sistema limbico che è il regista della rappresentazione di un insieme di attività, funzionalmente integrate e reciprocamente subordinate, costituite da memoria, comportamento ed emozioni.

L'ippocampo, situato nella profondità del lobo temporale e così denominato per la forma che ricorda un cavalluccio marino, è preposto a codificare le informazioni cioè è il responsabile della working memory ma è anche coinvolto nella memoria dichiarativa a lungo termine. Studi recenti, basati su indagini di neuro-imaging nei casi di alterazioni patologiche della memoria, hanno evidenziato una differente specificità nell'organizzazione dei processi mnemonici da parte dell'ippocampo del lato dominante (cioè il sinistro nei destrimani) rispetto a quello del lato non dominante. L'ippocampo sinistro è connesso con la memoria verbale e mostra, pertanto, un'attività più intensa quando si mette in funzione la memoria semantica. Infatti se è interessato da un processo lesionale, nel soggetto che ne è affetto si riscontrano disturbi della memoria verbale. L'ippocampo di destra (o del lato non dominante) presiede al cosiddetto “apprendimento ambientale”, ossia conserva la memoria legata allo spazio; in questo caso, una sua lesione si esprime funzionalmente come disturbo nell'orientamento spaziale. Per ultimo, l'ippocampo è coinvolto nel consolidamento della memoria a breve termine costituendo la sede di stazionamento transitorio dei dati che stanno per affluire nella memoria a lungo termine.

L'amigdala, così denominata per la sua forma simile ad una mandorla, è situata anteriormente all'ippocampo ed è l'organo deputato a gestire le emozioni ed in particolar modo la paura; riveste una funzione importante nel modellamento e nella conservazione della memoria attraverso la colorazione emozionale ed affettiva ai ricordi. Il suo ruolo nel processo mnemonico entra in azione allorquando è percepito uno stimolo di potenziale pericolo, nel senso che attiva la memoria di recupero per richiamare quelle informazioni che possono risultare utili a fronteggiarlo. A differenza dell'ippocampo, non immagazzina un fatto ma l'emozione legata a quel fatto, per cui se in una situazione presente si prova una emozione che ne “ricorda” una analoga, per associazione si ricongiunge a quell'evento che l'ha prodotta e ciò accade prima che lo faccia il pensiero cosciente. Ciò è finalizzato ad attuare con urgenza le stesse misure di difesa dell'esperienza passata, che è stata catalogata con una emozione analoga. Quando diciamo “ho reagito istintivamente” significa che in quel frangente eravamo comandati a farlo dall'amigdala. Esempio di azione istintiva: generalmente apprendiamo che il fuoco scotta a seguito di un'esperienza sgradevole che resta per sempre impressa nell'amigdala; in seguito, è solo sufficiente avvicinarci al fuoco che i sensi informano l'amigdala che ricorda la sensazione e ci comanda di allontanarci dal pericolo.

La corteccia cerebrale associativa, prevalentemente quella pre-frontale, è la sede in cui viene elaborato il pensiero e costituisce la banca dati dove i dati mnemonici vengono definitivamente conservati ed utilizzati per associare nuovi pensieri al momento del loro ingresso nel cervello secondo il meccanismo logico dell'analogia.

Esistono sostanze, definite enhancers (rinforzanti), in grado di stimolare l'immagazzinamento dei ricordi e farli rimanere più a lungo stimolando le connessioni interneuronali e migliorando quindi la capacità mnemonica. In tal senso, ad esempio, è stato dimostrato che l''IGF-1 (insulin-like growth factor) o somatomedina riveste un ruolo notevole.

Segni e sintomi della dismnesia 

Un disturbo di memoria deve essere sospettato in un soggetto che comincia a non essere più in grado di risolvere problemi o a prendere decisioni oppure a non ricordare bene luoghi con cui prima aveva grande familiarità oppure a presentare una crescente difficoltà nel realizzare compiti o azioni, soprattutto se queste azioni hanno bisogno di molta attenzione. Il disturbo si considera stabilizzato allorquando il soggetto ha palesemente difficoltà nella scrittura, nella lettura o nell'apprendere nuove parole oppure comincia a perdersi o a sentirsi confuso facendo percorsi abituali.

Come principio generale, quando si instaura un disturbo della memoria di fissazione i nuovi ricordi non riescono a fissarsi e a sostituire per aggiornamento quelli vecchi, mentre un disturbo alla memoria di rievocazione non permette ai vecchi di tornare in mente e tutti i ricordi sono continuamente aggiornati, fino alla scomparsa totale, nei casi più gravi, della percezione del proprio passato. La perdita di memoria è chiamata amnesia, che può essere anterograda (quando non è più possibile apprendere e ricordare eventi dopo l'evento lesivo) o retrograda (quando viene cancellata la memoria relativa ad un periodo di tempo di lunghezza variabile antecedente al momento in cui si instaura la lesione). L'amnesia lacunare è un tipo di amnesia retrograda di frequente osservazione nei casi di trauma cranio-encefalico moderato o severo, per cui il soggetto non ricorda l'evento traumatico e le sue modalità di accadimento. Se l'amnesia anterograda è associata all'amnesia retrograda si parla anche di amnesia globale.

In relazione alla durata nel tempo ed alla sua entità, l'amnesia può essere transitoria (come nel caso dell'amnesia lacunare post-traumatica), con successivo ripristino della normale funzionalità mnemonica; stabile (se provocata da un evento morboso grave, come ad esempio nell'arresto cardiaco); progressiva (come accade in malattie degenerative caratterizzate da decadimento cognitivo, come la malattia di Alzheimer, demenza a corpi di Lewy, etc).

Ma i disturbi della memoria non sono caratterizzati solo da deficit come è peculiare delle diverse forme di amnesia; esistono infatti anche altre manifestazioni che in vario grado esprimono una alterazione qualitativa del normale processo di memorizzazione.

Se si crea una falsificazione della memoria attraverso una distorsione del ricordo, questo è ciò che si definisce una paramnesia così come, per analogia, si dice parestesia per indicare una sensazione corporea abnorme. Una tipica paramnesia si verifica se ad un soggetto una situazione o un posto nuovo appaiono inspiegabilmente familiari e, non riuscendo a trovare una spiegazione a questo deja-vu, si convince di averlo vissuto in precedenza o al più di aver fatto un sogno premonitore.

Se un individuo possiede una capacità mnemonica autobiografica tale da permettergli il ricordo di gran parte degli eventi vissuti nella propria vita, si dice che presenta ipermnesia o anche ipertimesia. Infatti, ad esempio, se ad un soggetto ipertimesico viene chiesto di raccontare il suo primo appuntamento galante, che risale magari a 20 anni prima, egli ne ricorda immediatamente il giorno della settimana, elenca minuziosamente i vestiti che ha indossato in quell'occasione, la sequenza temporale delle azioni che ha svolto nella preparazione dell'appuntamento, le parole che ha pronunciato prima, durante e dopo l'appuntamento, i vestiti che aveva indosso il partner e parla anche di particolari aggiuntivi insignificanti come una scatola di fiammiferi schiacciata sotto le scarpe sulla via del rientro a casa.

Se i ricordi appaiono falsati in termini di spazio o tempo per errore di locazione, si parla di allomnesia, situazione in cui si ricade quando si sostiene anche con convinzione che un determinato evento sia accaduto in un luogo ed in un momento diversi da quelli reali.

L'ecmnesia è un disturbo della memoria, di tipo allucinatorio, in cui alcuni soggetti trasformano i ricordi del passato in esperienze attuali: in altre parole il passato si manifesta come se fosse presente. Ciò è in relazione il più delle volte con stimoli sensoriali, per esempio di tipo olfattorio, che inducono a rievocare con la mente esperienze archiviate e che sono rivissute in quel momento.

La dimenticanza inconsapevole di eventi considerati inaccettabili è un elemento cardine della dottrina freudiana ed è definita rimozione. Spesso alla rimozione si associa un ricordo di copertura (detto anche ricordo paravento) che è tollerabile a livello conscio ma che nasconde, inconsciamente, un evento traumatico.

Se un ricordo visivo è vissuto in modo talmente vivido da sembrare addirittura un'allucinazione, in quel caso si parla di immagine eidetica.

Quando si verifica una temporanea incapacità di ricordare un nome proprio o di un oggetto, in assenza di altre manifestazioni di declino cognitivo, si è nella condizione di occasionale letologia.

La disnomia è la difficoltà o incapacità a richiamare alla memoria la parola corretta quando è necessaria, che si manifesta in corso di crisi di epilessia temporale e nei soggetti confusi, sotto l'azione di sostanze psico-attive (droghe, LSD,etc.).

Il lapsus memoriae può dipendere da una momentanea confusione o da vuoti di memoria a genesi multipla (stanchezza, intossicazione, etc.). Anche questo disturbo della memoria è un elemento della dottrina psico-analitica di Freud che lo descrisse nell'opera “Zur Psychopathologie des Alltagslebens” come un prodotto di mascheramento di pensieri inconsci.

Cause dei disturbi mnemonici

Un disturbo delle funzioni mnesiche si può verificare a causa di numerose patologie cerebrali, fra cui le principali per rilevanza clinica sono la malattia di Alzheimer e le altre demenze corticali e sottocorticali ed il morbo di Parkinson, che disconnettono il circuito tra l'ippocampo, i nuclei della base ed i lobi frontali. L'entità del disturbo dipende dalla sede, dall'estensione e dall'eventuale irreversibilità della lesione. Come è stato già detto un disturbo della memoria che si manifesti come amnesia retrograda può presentarsi in seguito ad un trauma cranico, oppure può conseguire a disturbi psicologici infantili che, secondo l'interpretazione freudiana, causerebbero l'oblio di eventi inaccettabili.

Importante sottolineare che un disturbo della memoria è di frequente riscontro nelle persone soggette a patologie psichiatriche, quali i disturbi dissociativi, la paranoia e altre condizioni che causino delirio. Nei pazienti affetti da depressione, i problemi concernenti l'attenzione e la memoria sono presenti non solo durante la fase di calo dell'umore, ma anche nella fase di scomparsa dei sintomi. Lo stato di ansia associata alla propria salute (ipocondria) può determinare difficoltà di memoria e di concentrazione alimentate dal senso di impotenza rispetto alle difficoltà cognitive, che sono percepite come particolarmente gravose. Altra possibile causa è lo stato di intossicazione alcoolica cronica che produce attraverso lo squilibrio dietetico una carenza di vitamina B1 (tiamina) e che è responsabile dell'encefalopatia di Wernicke-Korsakoff. Il disturbo mnemonico dell'etilista è tipicamente caratterizzato dalla confabulazione, il paziente cioè riempie il vuoto di memoria con produzioni fantastiche deliranti.

Un'altra causa del disturbo di memoria che deve essere menzionata è la difficoltà di recepire correttamente il contatto con la realtà esterna. Infatti, tramite i nostri sensi, il cervello riceve enormi quantità di segnali di vario genere, dei quali siamo più o meno consapevoli, ma la maggior parte dei quali non lascia traccia. Se una persona soffre di presbiacusia (che significa riduzione senile dell'udito e si manifesta con l'incapacità di sentire i suoni di frequenza elevata) può avere problemi nell'ascoltare la voce delle persone. Chi è affetto da questo disturbo può apparire smemorato, quando, invece, il vero problema è la mancanza di corrette informazioni. Analogamente anche i disturbi della vista possono determinare, anche se indirettamente, deficit della memoria. Anche l'avanzare dell'età, con il deterioramento cognitivo lieve, determina danni alle facoltà mnemoniche, facendo dimenticare prima di tutto i nomi delle persone.

Un disturbo di memoria può anche essere ricondotto ad uno stato di ipotiroidismo.

Per ultimo, difficoltà cognitive relative alla memoria ed all'attenzione rientrano in taluni quadri di patologia funzionale quali l'emicrania, la fibromialgia e la sindrome da fatica cronica.


FATTORI DI RISCHIO

Allorquando dopo la sesta decade di vita si renda evidente una forma di deficit della memoria e dell'apprendimento (declino cognitivo lieve), anche non particolarmente grave, è altamente consigliato sottoporsi ad una valutazione neuropsicologica al fine di individuare la eventuale necessità di un trattamento precoce, perché potrebbe aumentare la probabilità di sviluppare negli anni successivi una forma di demenza Alzheimer-simile.


QUANDO RIVOLGERSI AL MEDICO

Una lieve deflessione delle performance cognitive con il passare degli anni è da considerarsi fisiologica purché non ne risulti inficiata l'autonoma esplicazione delle occupazioni della vita di tutti i giorni. Ma se il disturbo della memoria comincia ad essere persistente e ad avere un'intensità tale da creare un crescente disagio, specialmente se si accompagna a disorientamenti nel tempo e nei luoghi, allora diviene imperativo sottoporsi ad una visita neurologica. Analogamente, bisogna suonare il campanello di allarme se al disturbo della memoria si associano anche variazioni dell'umore, aumento dell'apatia ed una tendenza al ritiro sociale. E' oramai incontrovertibile che solo attraverso un inquadramento diagnostico precoce dei disturbi cognitivi si può tentare di arginarne la progressione verso forme invalidanti di demenza.

Controlli e diagnosi

Durante la visita un neurologo specializzato in disturbi cognitivi raccoglie un'anamnesi dettagliata ed effettua il primo step diagnostico che consistere nella valutazione dello stato neurologico del soggetto (livello di coscienza e di attenzione, integrità dell'eloquio, della capacità di lettura e scrittura, etc.) e somministra un breve test di screening per una valutazione qualitativa delle funzioni cognitive.

A ciò fa seguito un attento esame del suo stato psicologico, per escludere che il soggetto si trovi in una temporanea condizione di demotivazione personale o di depressione, fattori che notoriamente incidono sul suo livello di attenzione e che potrebbero indurre alla erronea conclusione di ascrivere un deficit di memoria a disturbo cognitivo. Dopo la valutazione clinica, se lo specialista lo ritiene opportuno, è suggerita l'esecuzione di alcuni degli accertamenti diagnostici di approfondimento, di cui è detto in seguito.

Il passo successivo consiste nella somministrazione di test neuropsicologici che consentono una valutazione quantitativa del disturbo di memoria in quanto il paziente può minimizzare o addirittura negare l'esistenza di problemi mnesici o al contrario sovrastimare dimenticanze anche modeste riscontrate nel corso delle attività quotidiane, attribuendole alla insorgenza di una patologia neurologica degenerativa. Il risultato dei test è espresso da un punteggio che esprime di quanto le prestazioni del paziente si discostino da quelle rilevate su campioni di controllo con caratteristiche analoghe di età, sesso e scolarità.

  1. I test della memoria a breve termine (MBT)
    Sono rivolti a definire la massima capacità di immagazzinamento (Span) di materiale nella memoria a breve termine.

    • Digit Span (in versione Forward e Backward): il soggetto deve ripetere delle coppie di sequenze di cifre (in avanti nel Forward o a rovescio nel Backward) nello stesso ordine in cui vengono pronunciate dall'esaminatore. L'89% dei soggetti normali ha uno span fra 5 e 8; uno span di 4 è considerato borderline mentre 3 è nettamente deficitario.
    • Test di Corsi: si propone, toccando con l'indice, una sequenza standard di lunghezza crescente di cubetti numerati; appena terminata la dimostrazione si chiede al soggetto di riprodurla. Il test consente la misura dello span di memoria visuo-spaziale il cui valore di punteggio medio è uguale a 5 su un campione di 321 soggetti italiani.

  2. I test della memoria a lungo termine (MLT)
    Servono a valutare la capacità dei processi di analisi ed elaborazione dell'informazione assunta in MBT per l'immagazzinamento nella MLT.

    • Memoria di prosa: l'esaminatore legge un raccontino e chiede al soggetto di ripeterlo (rievocazione immediata); dopo la rievocazione, viene letto una seconda volta ed ha luogo la seconda ripetizione (rievocazione differita). Il punteggio massimo per ogni rievocazione è 8; il punteggio grezzo è confrontato con i valori medi e le deviazioni standard.
    • Test del breve racconto: somministrato in modo analogo al precedente, ma è riferito ad un fatto di cronaca che viene letto dall'esaminatore. In questo test esistono differenze tra i punteggi medi in funzione dell'età e della scolarità e sono significativamente diversi fra maschi e femmine.
    • Coppie di parole: l'esaminatore pronuncia delle parole che devono essere ripetute nel medesimo ordine. Se il soggetto rievoca correttamente almeno 2 stringhe su 3, si passa alla stringa di lunghezza maggiore. Lo span è rappresentato dalla serie più lunga per la quale sono state ripetute correttamente almeno due stringhe.
    • La memoria episodica recente: si mostrano tre oggetti di uso comune che vengono poi nascosti in 3 posti diversi; dopo 10-15 minuti si chiede al soggetto quali oggetti sono stati nascosti e dove.
    • Mini Mental State Examination (Folstein et al, 1975): è il test di più frequente adozione per la valutazione dei disturbi dell'efficienza intellettiva in quanto fornisce un quadro del livello cognitivo globale del paziente (l'orientamento spazio-temporale, la memoria a breve termine, la memoria di lavoro, il linguaggio e le abilità prassico-costruttive). Il punteggio totale è compreso fra un minimo di 0 ed un massimo di 30. Punteggi particolarmente bassi al MMSE (> 18) sono indicativi di un deterioramento cognitivo grave. Un punteggio compreso fra 18 e 23 è indice di una compromissione fra moderata e lieve, un punteggio pari a 26 è considerato borderline.

Se la valutazione neuropsicologica evidenzia un significativo coinvolgimento dei processi di fissazione e di rievocazione mnemonica, si impone il ricorso ad indagini strumentali che hanno il duplice scopo di escludere possibili cause organiche dei sintomi cognitivi e, dall'altro, di valutare il grado di compromissione cerebrale. A tal fine risulta prezioso l'apporto del Neuroimaging fornito in prima istanza dalla TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), utile per misurare lo spessore degli emisferi cerebrali, ed ancor più dalla Risonanza Magnetica funzionale dell'encefalo (RMf), che consente di ottenere un'immagine della struttura del cervello molto particolareggiata con particolare riferimento alla perdita progressiva di materia grigia nel cervello, che è lieve nel decadimento cognitivo lieve e notevole nella malattia di Alzheimer conclamata. Significativa importanza riveste anche la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), che valuta il flusso del sangue nel cervello che è peculiarmente ridotto nei pazienti affetti dalla m. di Alzheimer. Quale corollario al profilo diagnostico della valutazione globale del soggetto che presenta disturbo della memoria occorre citare i test ematici per la determinazione di ferro, glicemia, vitamine, colesterolo ed altro.

Nel caso in cui gli accertamenti diagnostici neuro-psicologici confermino un deficit cognitivo, quali sono i controlli da effettuare?

È fondamentale sottoporsi ad un adeguato follow-up sequenziale delle funzioni cognitive; infatti i dati della Letteratura supportano che i disturbi di lieve entità, come ad esempio un deficit isolato della memoria di rievocazione, possono anche rimanere stabili nel tempo se non addirittura migliorare.

Se invece i disturbi tendono gradualmente a peggiorare, in quel caso è opportuno iniziare una terapia farmacologica specifica.

Terapie per i disturbi di memoria e concentrazione

Da tutto quanto è stato sinora esposto emerge che al fine di individuare gli interventi terapeutici più opportuni per i disturbi di memoria e concentrazione, quando percepite come invalidanti, è innanzitutto importante identificarne le cause.
Qualora emerga quale fattore rilevante in associazione alle difficoltà cognitive una condizione psichica riconducibile ad uno stato di ansia o di depressione,  il soggetto dovrà essere trattato con appropriata terapia farmacologica, eventualmente affiancata da un percorso psicoterapico. Tenendo conto dell'impatto di alcuni farmaci psicotropi sulle prestazioni cognitive, particolare attenzione verrà data alla scelta del farmaco più adatto.

Se sono identificati fattori di rischio, quali ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemie, cardiopatie, presbiacusia si agirà nella maniera più opportuna allo scopo di tenerli sotto controllo. Egualmente si dovranno correggere irregolari stili di vita, per minimizzare il rischio del declino cognitivo. È ben noto infatti che i più efficaci fattori protettivi includono costante attività intellettiva, regolare igiene di vita ed adeguata attività fisica.

Trattando della farmacoterapia convenzionale è doveroso puntualizzare che non esistono farmaci “nootropi” miracolosi per la memoria.
L'impiego di alcune vitamine, particolarmente la vitamina E, ed i preparati donatori di colina hanno dimostrato qualche effetto positivo nel limitare l'evoluzione dei sintomi che accompagnano il decadimento cognitivo.

L'omotaurina, trovata inizialmente nelle alghe marine ed attualmente prodotta per via sintetica, ha dimostrato di proteggere il cervello dall'invecchiamento e di migliorare la funzionalità della memoria inibendo la formazione di aggregati fibrillari neurotossici. Si tratta di una molecola associata ad un buon profilo di sicurezza e tollerabilità, che ha mostrato di esercitare benefici effetti cognitivi statisticamente significativi, particolarmente nei domini ADAS-cog della memoria, delle abilità di pianificazione ed esecuzione e delle abilità verbali in una sotto-popolazione omogenea APOE4+ dello studio ALPHASE. Analisi post-hoc hanno altresì rivelato un'azione neuro-protettiva nella riduzione della perdita di cellule ippocampali.

L'orientamento odierno per la prevenzione della malattia di Alzheimer e delle altre demenze si fonda sull'individuazione di fattori di rischio e sull'adozione precoce di fattori protettivi per il declino cognitivo (controllo della dieta ed utilizzo dell'olio extra-vergine di oliva, aumento dell'attività fisica e dell'esercizio mentale) e nella prevenzione medica di comorbidità (controllo dell'ipertensione, del diabete o della dislipidemia).

Concludendo, l'odierno trattamento dei disturbi di memoria consiste innanzitutto in misure preventive ed in una strategia terapeutica combinata, con utilizzo di farmaci e programmi di riabilitazione cognitiva per il rinforzo delle memoria, che raggiungono il miglior risultato nei pazienti con forme non avanzate. Anche la terapia occupazionale, attuata mediante il coinvolgimento dei pazienti in attività intellettive, sociali e ricreazionali, ha mostrato di ritardare il declino cognitivo e migliorare le attività quotidiane, con il supporto di figure professionali con competenze specifiche in questo ambito.

Per ultimo, non si insisterà mai abbastanza sul valore dell'alimentazione, che deve essere soprattutto parca, perché i pasti abbondanti riducono le prestazioni intellettive e l'efficienza mnemonica, e ricca di quelle sostanze che hanno dimostrato di favorire le funzioni cognitive.

Cibi ideali per la memoria sono gli alimenti ricchi di fosfolipidi (lecitina), fibre, minerali (soprattutto ferro e zinco), vitamine (in particolare acido folico, betacarotene e vitamina C) e antiossidanti (polifenoli, bioflavonoidi, antociani), contenuti in larga parte in frutta e verdura e tè verde. L'alimentazione deve inoltre essere composta da alimenti a basso contenuto di grassi saturi (carni grasse, formaggi e prodotti di origine animale in genere) e di colesterolo e ricca, invece, di grassi insaturi che si trovano in noci, pesci grassi, oli vegetali come quello extra-vergine d'oliva o di girasole.

 

PREVENZIONE


Allo stato attuale delle conoscenze mediche nel campo dei disturbi cognitivi è dimostrato che per un'adeguata prevenzione dei disturbi della memoria un ruolo fondamentale è rivestito dal corretto controllo dei fattori di rischio vascolare.

È inoltre necessario mantenere un buon livello di attività fisica, congruo con l'età, ed allenare la nostra mente, continuando a praticare attività intellettive, ludiche e sociali.

Data pubblicazione: 10 ottobre 2017

Autore

maurocolangelo
Dr. Mauro Colangelo Neurologo, Neurochirurgo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1972 presso Università Napoli.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Napoli tesserino n° 11151.

Iscriviti alla newsletter

Guarda anche Memoria 

Contenuti correlati