Il dolore pre-operatorio

Revisione Scientifica:

lorenzomoretti

Nella pratica clinica vengono affrontate giornalmente numerose condizioni patologiche di carattere ortopedico che possono condurre a differenti livelli di invalidità per il paziente. Sebbene il trattamento chirurgico sia spesso risolutivo, molte patologie ortopediche dovranno essere affrontate e trattate inizialmente in modo conservativo. Inoltre, a causa dell'allungamento della durata media di vita e quindi dell'aumento della popolazione anziana, sono sempre più frequenti patologie degenerative a carico del sistema osteo-articolare (tra le più importanti ricordiamo l'artrosi, le patologie a carico della colonna vertebrale e le patologie a carico dei tendini della spalla e del ginocchio) che, a volte, necessitano chiaramente di un trattamento chirurgico ma che, per una serie di "problematiche internistiche" o semplicemente a causa della titubanza del paziente rispetto all'intervento, vengono approcciate con protocolli conservativi.

Artrosi

L'artrosi è una malattia cronica, che colpisce le articolazioni, di tipo degenerativo, a partenza dalla cartilagine, che porta alla progressiva perdita funzionale delle diverse componenti anatomiche che costituiscono l'ambiente articolare. In particolare, è caratterizzata dalla perdita irreversibile del trofismo della cartilagine che espone progressivamente il tessuto osseo sottostante provocando dolore e limitazione nei movimenti. Vari sono i possibili tipi di trattamento non chirurgico che si hanno a disposizione per alleviare i sintomi dell'artrosi. Tra questi, annoveriamo la fisioterapia, la terapia antidolorifica e le infiltrazioni di cortisonici o di acido ialuronico.

Un importante approccio non chirurgico che può ridurre la sintomatologia e rallentare l'evoluzione dell'artrosi è dato dalla kinesiterapia associata alle opportune modifiche nello stile di vita.  Un adeguato ed equilibrato programma di fitness e/o terapia occupazionale permette di ottenere una maggiore flessibilità delle articolazioni aumentandone l'ampiezza del movimento, un potenziamento muscolare e anche una riduzione del dolore. La massoterapia può essere utile in pazienti con "contrattura" muscolare che ostacola i movimenti articolari ed è spesso conseguenza a causa del sintomo dolore.

La terapia fisica, con tecar, ultrasuoni, magnetoterapia, laser e con sistemi ancora più innovativi come le onde d'urto o la pompa diamagnetica, appare un utile ausilio al dolore muscolo tendineo che consegue la patologia artrosica e può contribuire a migliorare la qualità di vita del paziente.

Per quanto riguarda i provvedimenti farmacologici, il paracetamolo e soprattutto i classici FANS sono i primi ad essere utilizzati nella fase acuta infiammatoria del dolore artrosico. Tuttavia, nelle fasi croniche ed in caso di dolore moderato e severo, soprattutto in presenza di pazienti che non possono assumere antinfiammatori (come i pazienti cardiopatici o con scompenso) o che molto probabilmente dovranno eseguire questa terapia per diverso tempo o che hanno già provato altre terapie senza successo, si opta per antidolorifici di derivazione oppiacea. Tra questi annoveriamo la codeina, la buprenorfina, il fentanile, il metadone, l'ossicodone ed il tramadolo. Questi farmaci agiscono a livello del sistema nervoso centrale innalzando la soglia percettiva algica e nello stesso tempo, riducono la componente emotiva che accompagna una sindrome dolorosa. In particolare, molto utilizzata, grazie alla sua efficacia e tollerabilità, è l'associazione di ossicodone cloridrato e naloxone cloridrato che permette di ottenere una potente azione antidolorifica con l'ossicodone riducendo con il naloxone la stitichezza, un tipico effetto indesiderato nel trattamento con antidolorifici oppioidi. Importante sottolineare come quest'ultimo principio attivo non interferisca con l'azione antidolorifica dell'oppiaceo per via della sua azione locale a livello intestinale.

Dato che la causa iniziale dei disturbi è attribuibile a una perdita della normale lubrificazione assicurata dal liquido sinoviale interposto tra le superfici articolari con successiva riduzione e/o scomparsa delle superfici cartilaginee, i tentativi di prevenzione e, a volte, di rallentamento dell'evoluzione anatomo-patologica dell'artrosi dell'anca e del ginocchio sono basati sull'utilizzo di condroprotettori. A tal fine si può utilizzare l'acido ialuronico, sostanza già presente fisiologicamente nel liquido sinoviale, che partecipa a ripristinare il grado di viscosità dello stesso. Si possono utilizzare preparati di varia derivazione e a vario peso molecolare e l'introduzione può essere ripetuta a  distanza di tempo variabile con una scelta basata sul grado di artrosi che si va a trattare. Molto spesso ciò rappresenta un trattamento di attesa all'intervento chirurgico.

Molteplici studi internazionali hanno confermato l'efficacia delle infiltrazioni di acido ialuronico, come ausilio e non come rigenerante, nota anche come visco-supplementazione, soprattutto nel trattamento della gonartrosi (artrosi del ginocchio) e della coxartrosi (artrosi dell'anca).

Oltre all'acido Ialuronico, è possibile trattare il dolore da artrosi con infiltrazioni intra-articolari di cortisone che configura un farmaco a base di steroidi con potenti effetti anti-infiammatori e quindi antidolorifici.

Le infiltrazioni del farmaco direttamente nell'articolazione con l'obiettivo di circoscriverne gli effetti collaterali, rispetto all'assunzione per via orale.
Solitamente, qualunque sia il cortisonico scelto, il principio attivo è in genere accompagnato da un anestetico locale. Lo schema terapeutico può variare in base al tipo di patologia e alla sua gravità e di solito prevede 3-4 infiltrazioni all'anno. Il potente effetto antinfiammatorio ottenuto contribuisce a dare sollievo al dolore ed ai versamenti articolari nella fase acuta della patologia, ciononostante un eccessivo numero d'infiltrazioni può danneggiare cartilagine, tendini, legamenti, ossa ed altre strutture intra ed extra-articolari favorendo l'evoluzione della patologia. Tra gli effetti collaterali più frequenti è da sottolineare il rischio di reazione infiammatoria, con dolore e rossore locali, l'atrofia cutanea e la depigmentazione e quello di complicanze infettive.

Nella pratica clinica attuale, sta prendendo sempre più posto la terapia intra-articolare con PRP (plasma ricco di piastrine). Mediante un prelievo di sangue venoso, e dopo centrifugazione a specifiche velocità e con specifiche tempistiche, si ottiene una sostanza gelatinosa che, in completa sterilità, viene re-iniettata all'interno dell'articolazione da trattare.

Il razionale di utilizzo di questa metodica è da ricercarsi nel fatto che, nelle piastrine sono contenuti dei fattori di crescita in grado di stimolare la rigenerazione tissutale, sia con un effetto sul numero di cellule in crescita, che sulla differenziazione cellulare stessa, a partire da cellule indifferenziate presenti in tutti i tessuti. Il microambiente tissutale stesso che ospita il gel infiltrato (tessuti cutanei, tendinei od ossei, ad esempio) determina poi la differenziazione fenotipica. Questa metodica, per noi, va eseguita quando siamo d'avanti ad un'artrosi di media entità che non risponde alla terapia con acido ialuronico.

Colonna vertebrale

Probabilmente la condizione patologica più frequentemente osservata nell'ambulatorio ortopedico è il cosiddetto “dolore vertebrale aspecifico” che comprende la stragrande maggioranza dei dolori vertebrali, compreso il comune mal di schiena. Tra le patologie responsabili di questa sintomatologia si possono annoverare: la discopatia degenerativa e le ernie discali con associata lombo-sciatalgia, l'artrosi inter-apofisaria, le spondilolistesi degenerative e le spondilolistesi da lisi istmica, la stenosi del canale, l'instabilità degenerativa segmentaria e la scoliosi degenerativa evolutiva. Queste sono le espressioni patologiche più comuni a carico della colonna vertebrale. Alcune di queste patologie possono risolversi definitivamente solo mediante intervento chirurgico. Esistono, d'altro canto, lombalgie sine materia correlati spesso a problemi posturali.

L'ernia discale è una patologia del disco intervertebrale che colpisce soprattutto il tratto lombare e cervicale della colonna vertebrale a causa dell'importante carico che viene riversato su questi e a causa della vulnerabilità locoregionale secondaria alla eccessiva mobilità che questo segmento vertebrale ha rispetto agli altri. La perdita di elasticità del disco compromette la sua funzione di ammortizzatore, riducendo lo spazio fra una vertebra e l'altra; l'alterato trofismo può indurre anche una sua protrusione verso il canale vertebrale causando dolore da compressione sulle radici nervose. Molte volte da una semplice protrusione si arriva ad una vera e propria ernia discale espulsa.

L'artrosi della colonna vertebrale rappresenta probabilmente la patologia più frequente a carico del rachide lombare e molto spesso è correlata al malfunzionamento dei dischi intervertebrali; rappresenta la causa più importante di lombalgia e può condurre alla stenosi del canale ed alla claudicatio di origine radicolare.

Non sempre l'artrosi e l'ernia del disco vanno operate. Spesso si preferisce un atteggiamento attendista fino all'eventuale comparsa di sintomi irreversibili come la perdita di sensibilità, dei riflessi o della forza muscolare.

Tra i farmaci più utilizzati, anche in questo ambito, gli antidolorifici cosiddetti “puri”, cioè senza una azione antinfiammatoria, rappresentano la terapia più prescritta dal medico ortopedico, anche perché recenti studi hanno dimostrato come l'azione combinata di ossicodone/naloxone abbia effetti antalgici rapidi e con pochi effetti collaterali. Ciononostante, in fase acuta è sempre più indicato, o almeno è prassi consolidata, l'utilizzo dei classici fans associati ai miorilassanti e cortisonici.  Altra arma a disposizione per alleviare e controllare il dolore è rappresentata dalla fisioterapia, o ai nuovi concetti di kinesiterapia e osteopatia, la quale aiuta ad ottenere un miglioramento delle posture, un recupero della forza e del tono muscolare. Solitamente, gli esercizi eseguiti vengono programmati e studiati per adempiere alle specifiche esigenze del disturbo e dolore del paziente; il principale obiettivo è quello di ridurre il mal di schiena ed aumentare le prestazioni fisiche. In linea generale, si riconoscono due tipologie di kinesiterapia, quella passiva ed attiva. La prima, come dice il nome stesso, si esegue senza che il paziente partecipi attivamente ed ha lo scopo di ridurre il dolore e rilassare la muscolatura. Tra le terapie fisiche possiamo ricordare il massaggio, il trattamento caldo-freddo, la TENS e gli ultrasuoni. Fondamentale però, è poi aggiungere degli esercizi attivi che possano riabilitare la funzionalità della colonna vertebrale. Questi comprendono lo stretching, al fine di allungare i muscoli posteriori della coscia, esercizi di rafforzamento della muscolatura della schiena e addominale ed attività aerobica di bassa intensità (camminare, nuotare). Qualora con la terapia antidolorifica e fisiokinesiterapica non si ottengano risultati soddisfacenti per il paziente, si può ricorrere alle infiltrazioni epidurali (o peridurali) di cortisone che vengono più comunemente chiamate "terapia del dolore"; questa si presenta utile per molti tipi di lombalgia e per il dolore riflesso alle gambe causato dall'infiammazione del nervo sciatico o dall'ernia del disco. Sebbene nella maggior parte dei casi si ottenga una rapida diminuzione della sintomatologia dolorosa nella fase acuta, essa necessita di essere effettuata in combinazione con un programma di riabilitazione globale per assicurare dei benefici a lungo termine: in tali casi l'iniezione di cortisone può dare un beneficio importante e rapido da poter consentire al paziente di progredire con un programma di recupero. L'effetto di questa terapia va da una settimana fino a un anno e, se efficace, si può ripetere due-tre volte in uno stesso anno.

Tendinopatie

Le lesioni tendinee e le degenerazioni che vanno incontro più spesso ad eventuali successivi interventi chirurgici sono quelle che interessano la spalla, il gomito o il tendine d'Achille. In tutti i casi il trattamento chirurgico è solo una tappa finale, pertanto questi pazienti vengono in genere per lungo tempo trattati conservativamente.

La tendinopatia della cuffia dei rotatori è una patologia della spalla caratterizzata da infiammazione e degenerazione dei tendini sovraspinoso, sottospinoso, sottoscapolare e piccolo rotondo. I rotatori sono muscoli situati intorno all'articolazione della spalla, che intervengono nei movimenti di rotazione esterna, interna e abduzione; i loro tendini stabilizzano la testa dell'omero all'interno della capsula articolare. Il tendine maggiormente interessato è il sovraspinoso, il quale passa tra l'acromion e la testa omerale ed interviene nell'abduzione (sollevamento laterale) del braccio; la tendinite e la rottura parziale del tendine sovraspinoso provocano dolore durante l'abduzione del braccio, mentre, in caso di rottura totale, l'abduzione è notevolmente ridotta. Nelle infiammazioni o rotture parziali, o in pazienti anziani o con controindicazioni all'intervento di riparazione, si preferisce attuare un trattamento inizialmente conservativo, avvalendosi sia della terapia farmacologica che fisioterapica.

Nei pazienti giovani e senza controindicazione all'uso dei fans, si eseguono cicli di anti-infiammatori non steroidei per via orale in associazione all'osservazione di un periodo di riposo. In contemporanea, il paziente è invitato a rafforzare gli altri muscoli stabilizzatori della spalla. Inoltre, per i dolori associati alla spalla (soprattutto dovuti alla tendinite del capo lungo del bicipite) si può effettuare la laser terapia, le onde d'urto o gli ultrasuoni. Invece, in caso di tendinite calcifica (formazione di cristalli di calcio sul tendine), estremamente efficaci sono le onde d'urto coadiuvate da terapia sotto acromiale con infiltrazioni di acido ialuronico. Qualora le precedenti terapie non producano buoni risultati per il paziente, potrebbe essere necessario ricorrere a iniezioni locali di corticosteroidi, sebbene i maggiori risultati rispetto ai FANS siano solo nel breve termine. Il principale svantaggio delle infiltrazioni intra-articolari di cortisonici, come è risaputo, è l'aumentato rischio di rottura dello stesso tendine; per tal motivo, vengono raramente ripetute sullo stesso paziente e di conseguenza sempre più frequentemente si utilizzano farmaci antidolorifici puri come ossicodone/naloxone in associazione ad un accurato piano fisioterapico e riabilitativo.

L'epicondilite conosciuta anche come "gomito del tennista", è una condizione dolorosa del gomito causata da un overuse dello stesso. Si tratta di una infiammazione dei tendini, così detti estensori, che collegano i muscoli dell'avambraccio sulla parte esterna del gomito. Questi vanno incontro a infiammazione e danno durante specifiche attività quali ad esempio sport o attività lavorative particolari, causando dolore e gonfiore sulla parte esterna del gomito, riduzione della forza di presa, e difficoltà ad estendere il polso.  Molte sono le possibilità di trattamento, e di queste il trattamento chirurgico è eseguito solo in casi estremi. Infatti, circa l'80% dei pazienti guariscono senza avere bisogno della chirurgia e con un trattamento conservativo di tipo medico e fisioterapico. Il primo passo verso la guarigione è quello di dare al braccio il giusto riposo. Questo significa che si dovrà smettere di fare sport o attività di lavoro che mimano i movimenti che hanno causato il problema per diverse settimane. Contemporaneamente l'infiammazione della regione anatomica dovrà essere trattata anche con farmaci fans, sia per os che con azione locale. Naturalmente anche in questa condizione patologica, qualora il dolore dovesse cronicizzarsi o essere più intenso si dovrà prendere in considerazione l'utilizzo degli antidolorifici oppioidi. Nei casi di epicondilite che resistono al riposo ed alla terapia medica in una fase acuta, ulteriori opportunità per il medico sono l'utilizzo di tutori ma soprattutto della terapia fisica. L'utilizzo di specifiche gomitiere con un cuscinetto centrato sul muscolo estensore dell'avambraccio può aiutare ad alleviare i sintomi, mettendo a riposo i muscoli e i tendini. Con il fisioterapista si potranno eseguire, oltre ad esercizi mirati a rinforzare i muscoli dell'avambraccio, diversi tipi di terapia fisica. La più efficace è senza dubbio la terapia con onde d'urto "bombardando" il gomito con onde che creano piccoli "microtraumi" che favoriscono i processi di guarigione naturale del corpo tendineo. Come ultima arma, prima di un intervento chirurgico, il medico può affidarsi all'efficacia delle infiltrazioni di corticosteroidi che rappresentano la terapia più efficace per risolvere l'epicondilite, sfruttando le potenti proprietà antinfiammatorie dei cortisonici.

La tendinopatia del tendine d'Achille è caratterizzata da una degenerazione del tendine d'Achille che riguarda generalmente quegli atleti che praticano discipline sportive in cui è presente la corsa o i balzi. Si tratta, sostanzialmente, di una patologia caratterizzata da dolore a livello del tallone, gonfiore lungo il decorso del tendine, e rigidità riflessa della caviglia. Capita più frequentemente agli atleti maturi come risultato di un accumulo di microtraumi ripetuti ed è correlata a un maggior rischio di rottura dello stesso tendine di Achille. Ai fini del trattamento, l'elemento più importante è sicuramente la tempestività cioè, prima si agisce, e più rapidi sono i tempi di guarigione. In acuto è importante intervenire con il ghiaccio e farmaci ad azione antinfiammatoria, e ovviamente un periodo di riposo di almeno 15 giorni, anche facendo uso di ausili come plantari di scarico che durante il cammino riducono la tensione a cui è sottoposto il tendine. Esistono diverse modalità di trattamento delle tendinopatie nell'ambito della medicina fisica, e tra queste vengono più frequentemente utilizzate la ionoforesi, l'ultrasuono, il laser e la crioterapia, senza dimenticare la prima scelta che è quella delle onde d'urto focalizzate. Importante sarà anche evitare di perdere flessibilità dei tessuti con lo stretching. L'impiego della terapia con corticosteroidi-anestetici nell'infiammazione tendinea acuta e subacuta rimane controverso. Sebbene questi farmaci siano di grande aiuto nel ridurre drasticamente i fenomeni infiammatori locali, tuttavia non sono da utilizzare a causa dei possibili effetti deleteri sulla struttura e sulla resistenza meccanica del tendine, favorenti la rottura. I pazienti con una tendinopatia subcronica o cronica, come la peri-tendinite, l'infiammazione inserzionale, la tendinosi o la lacerazione parziale, o una combinazione di questi, dovrebbero essere trattati per diversi mesi con una terapia riabilitativa contemporaneamente alla terapia infiltrativa peritendinea con cortisone o acido ialuronico e anche alla terapia fisica con macchine stimolanti come le onde d'urto prima di considerare un intervento chirurgico (che consiste nelle scarificazioni del tendine e che non sempre da ottimi risultati).

Per tutte le tendinopatie, prima di arrivare ad un intervento chirurgico, va preso in considerazione il trattamento con infiltrazioni di PRP. Gli effetti sulla riparazione tendinea dei fattori di crescita piastrinici si concretizzano principalmente nella possibilità di diminuire l'infiammazione e accelerare il processo di riparazione per poter effettuare una mobilizzazione attiva e passiva quanto più precoce possibile.

Data pubblicazione: 12 ottobre 2016

Questo articolo fa parte dello Speciale Salute Vinci il Dolore 

Autore

lorenzomoretti
Dr. Lorenzo Moretti Ortopedico

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 2004 presso Università degli Studi di Bari.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Bari tesserino n° 12788.

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