Psicopatologia dell'uomo politico italiano

Non c'è grande simpatia per gli uomini politici. La cosa sembrerebbe scontata se non fosse per il fatto che siamo noi stessi a determinarne l'esistenza. Questo un po' dipende da una forma di invidia che ci fa pensare che saremmo migliori se fossimo al loro posto e un po' dal comportamento spesso arrogante che il politico medio assume dopo un po' di tempo che si ritrova a gestire un potere, che di solito non è abituato a sostenere. Il prezzo e quello di una perdita più o meno parziale di quell'equilibrio che aveva fatto intravedere ai potenziali elettori e che di conseguenza ne aveva determinato l'elezione.

Nella mia pratica di psichiatra nel servizio pubblico, mi sono spesso imbattuto in ottimi colleghi che una volta diventati primari si sono rivelati davvero pessimi. Pensavo che il primariato a contratto della durata di cinque anni, avrebbe migliorato la situazione in tal senso, ma purtroppo le conferme dopo i cinque anni sono diventate prassi e il timore della non riconferma ha contribuito ad implementare quei comportamenti nei colleghi primari che, più che volti a migliorare i servizi, risultano prevalentemente finalizzati a mantenere loro stessi nel ruolo.

Sulla base di questa esperienza mutuata nei servizi di psichiatria ho pensato che nei casi in cui si determini una concentrazione di potere, bisognerebbe porsi il problema dei potenziali effetti collaterali che questo potere potrebbe determinare in soggetti incapaci di tollerare carichi di responsabilità che eccedano le loro capacità. Il prezzo che si paga è lo sviluppo di comportamenti condizionati da una psicopatologia devastante per il politico di turno e catastrofica per coloro che dovrebbero essere i beneficiari della loro gestione cioè coloro che lo hanno eletto.

L'essere umano ha molti problemi ad pensarsi come soggetto a tempo determinato. La mitologia greca è ricca di esempi di uomini che nel tentativo di perdere il loro status di mortali hanno pagato un prezzo altissimo (Prometeo rimediò una bella cirrosi). Il mito aveva proprio lo scopo di ricordare agli uomini la propria mortalità e attraverso questa consapevolezza, essere d'aiuto nel mantenere un certo equilibrio. Anzi, a giudicare gli dei immortali dai propri comportamenti privi di principi etici e morali sembra proprio che gli umani, con la loro certezza della fine siano stati i depositari del buon senso, come ci racconta Omero a proposito di Ulisse.

L'uomo politico italiano quindi con la sua possibilità di riconferma a tempo indeterminato, rischia nel tempo di perdere la consapevolezza dei propri limiti e di credersi una sorta di semidio che anela all'immortalità. Sappiamo tutti come il tempo minimo di una legislatura che da diritto ad una pensione a vita sia stato motivo di sopravvivenza di molti governi che non avrebbero avuto alcun senso sul piano concreto. Un esempio lampante è sicuramente quello del governo attuale. Perpetuare la legislatura fino alla scadenza da indubbi vantaggi ai politici eletti e nonostante le critiche che piovono copiose da parte di cittadini delusi, non sembrano interessati alla perdita temporanea di consenso, anche perchè le eventuali prossime elezioni sono lontane e la memoria degli elettori è notoriamente corta. D'altra parte nessuno può negare che è veramente molto difficile trovare in una qualsiasi popolazione (in senso statistico) una maggioranza che abbia tratti masochistici sufficienti da prendere delle decisioni contro il proprio stesso interesse.

Sembra quindi che i nostri politici dal momento in cui vengono eletti per la prima volta, di fronte al terrifico quinquennio in cui potranno esercitare il proprio potere, diventino inevitabilmente vittime di una sindrome: la “sindrome da potere cronico”. Una via paradossale d'uscita da tale situazione sarebbe quella di conferire incarichi a vita in modo tale che i soggetti incaricati non debbano preoccuparsi della propria rielezione. E' quello succede a molti senatori a vita, che in una condizione di tempo indeterminato, il famoso “per sempre”, appaiono diventare particolarmente saggi. Un altro esempio di potere vitalizio è quello del papa, che nel tempo sembra affinare le proprie capacità di gestione senza mostrare segni di cedimento (ad eccezione del caso unico di Benedetto XVI°). Ci sarebbe però da precisare che in questo caso i potenziali eletti vengono da una ristretta cerchia di eleggibili forgiati in una scuola di managment della durata di alcuni decenni (i cardinali).

Il pragmatismo anglosassone ha capito l'esistenza di questo pericolo fin da tempi immemori e ha definito costituzionalmente il tempo in cui un singolo uomo può gestire il potere. Il tempo determinato permette a questi uomini di mostrarsi agli altri come simili, come umani che mangiano, bevono, ridono, stanno con i figli o con i nipoti (Obama ne è un esempio). Questo assetto sembra garantire sia il politico stesso che esce dalla sua esperienza di responsabilità con un bagaglio tale da permettergli un futuro da saggio comunicatore, sia per la democrazia che si può permettere in tal modo pluralità di visioni nel tempo e in alcuni casi una certa alternanza politica.

Il concetto di alternanza politica in Italia è assolutamente sui generis, ed è più mutuato dalla psicologia infantile che dal pragmatismo anglo sassone: “adesso tocca a me giocare perchè fino ad adesso hai giocato tu”. Era questo il senso dell'alternanza grottescamente inaugurato dalla coppia Craxi-De Mita qualche decennio fa, che anziché rimanere nella storia come esempio di imbecillità è diventato il fondamento del nostro sistema politico cosiddetto maggioritario.

Ma ritorniamo alla sindrome da potere cronico. Sembra che questo disturbo, per chi ne soffre, nasca proprio nel momento in cui si raggiunge il cosiddetto successo e comincia la paura di perderlo. La frase celebre di uno dei principali manager politici italiani del dopo guerra “il potere logora chi non ce l'ha” ha proprio questo senso ma sarebbe più chiara se la articolassimo chiarendo la coniugazione dei verbi trasformandola in “il potere logora chi non ce lo avrà” oppure la svelassimo con una riedizione più manifesta: “il potere logora chi teme di perderlo”.

In questo caso appare evidente come l'aspetto distruttivo del potere stia nella possibilità della perdita che questo potere include. Freud sosteneva in uno scritto su “coloro che soccombono al successo” che il lavoro psicoanalitico insegna che le forze della coscienza morale che provocano la malattia in conseguenza del successo, anziché come al solito con la frustrazione, sono intimamente connesse con il rapporto precedente con il padre e con la madre, come del resto lo è il nostro senso di colpa in generale. In uno scritto successivo sui “delinquenti per senso di colpa” Freud riscontrava come in alcuni casi il senso di colpa era precedente l'atto illecito e non conseguente ad esso. Bisogna ricordare che il parricidio e l'incesto con la madre sono i due grandi delitti degli uomini, gli unici che nella società primitiva venivano perseguiti ed esecrati per sé stessi. Dobbiamo inoltre ricordare come l'umanità abbia acquisito in relazione al complesso edipico quella coscienza morale che ora è considerata come una forza spirituale innata.

Ma come possiamo ipotizzare che il senso di colpa possa giocare un ruolo importante nella delinquenza umana? Freud sosteneva che è facile osservare come nei bambini che diventano “cattivi” per sollecitare una punizione, dopo essere castigati essi si tranquillizzano e si pacificano. Spesso l'indagine analitica porta sulle tracce del senso di colpa che li aveva appunto indotti a procurarsi il castigo. Per gli adulti si devono eccettuare quei delinquenti che commettono atti criminosi senza alcun senso di colpa cioè quei casi di psicopatia sostenuta dal narcisismo maligno di Kernberg. Ma per ciò che riguarda la maggior parte dei delinquenti questo punto di vista potrebbe chiarire alcuni lati oscuri della loro psicologia e fornire un nuovo fondamento psicologico alla pena.

A questo punto qualcuno (io stesso per esempio) potrei sospettare una certa manipolazione delle parole di Freud contestualizzandole nel caso della sindrome da potere cronico. Ma se noi sostituissimo la definizione di atto delinquenziale che Freud usa in tale scritto con la parola “misfatto” che in precedenza aveva usato per definire tali comportamenti riferiti ai bambini, forse ci farà sembrare la teoria del senso di colpa applicata ai misfatti dei politici dopo la loro elezione meno speculativa. Freud inoltre ricordava come la preesistenza del senso di colpa ed il ricorso, per una sua razionalizzazione, al misfatto era già nota anche a Nietzsche e traspariva nelle parole di Zarathustra “Del pallido delinquente”.

Ritornando ai certi nostri amati uomini politici potremmo ipotizzare che il senso di colpa quindi preceda i loro misfatti che una volta realizzati consentiranno loro la salvifica redenzione attraverso l'espiazione della pena. Sono questi i casi di politici logorati dalla fobia di perdere il potere. Non so però quanto questa interpretazione possa darci elementi sufficienti per comprendere invece quei casi di uomini politici che non commettono atti sufficienti per una punizione in senso legale, casi in cui di conseguenza mancando la pena, il senso di colpa non potrà essere espiato. Chiunque potrebbe dire che sul piano psicopatologico questi sembrerebbero i casi di minor gravità.

Ad una riflessione più approfondita però potremmo anche sospettare che nei casi ipotizzati come meno gravi, il senso di colpa diventi per certi versi meno presente e quindi potremmo pensare ad una variante, sebbene più presentabile, più subdola, più incline a quelle logiche che sfuggono al senso di colpa e lo sostituiscono più o meno marcatamente con il senso di vergogna. Siamo in un ambito meno esplicito in cui le cose nascoste sono prevalenti rispetto a quelle manifeste, l'implicito domina l'esplicito. Ce ne accorgiamo perchè le parole nella bocca di questi soggetti diventano allusive, a volte francamente elusive rispetto al significato che comunemente può essere ad esse attribuito. L'eloquio che ne deriva è quel politichese di cui spesso i giornalisti abusano dimenticandosi di essere comuni mortali e di partecipare alla mensa degli dei solo come spettatori non paganti.

E quando le parole perdono il loro significato e ne acquistano uno proprio sulla base del contesto in cui vengono pronunciate, siamo in uno stile di comunicazione che i sistemici definivano a doppio legame, il cui effetto è quello di determinare dubbi e incertezze in chi ascolta. Non siamo nelle braccia di una madre buona che ci permetterà di affrancarci dai nostri misfatti con una pena equa, ma nelle mani fredde di una madre schizofrenogena che ci porterà giorno dopo giorno e in maniera doppiamente inconsapevole alla più profonda follia. Forse è per questo che molti politici non suscitano simpatia...

Data pubblicazione: 24 luglio 2013

10 commenti

#1
Utente 219XXX
Utente 219XXX

È vero, molto spesso è il ruolo che fa la persona. Ci sono persone apparentemente equilibrate che investite di incarichi di responsabilità diventano autoritarie e oppressive, o addirittura sadiche. Evidentemente delle parti represse della loro personalità hanno trovato sbocco in un determinato ruolo. Tempo fa leggevo in un manuale di psicologia sociale di un esperimento molto interessante condotto negli anni '50 o '60. Il gruppo di ricerca voleva studiare le dinamiche relazionali tipiche di un contesto carcerario a cui dovevano partecipare dei volontari. L'esperimento doveva durare 15 giorni, ma al quinto giorno dovette essere interrotto. I candidati che ricoprivano il ruolo delle guardie erano diventate troppo sadiche, mentre i "carcerati" erano caduti in uno stato depressivo preoccupante.
Il potere non è per tutti, richiede maturità.

#2
Dr. Francesco Bova
Dr. Francesco Bova

La ringrazio per il suo commento. La struttura di personalità degli esseri umani in situazioni di stress tende ad irrigidirsi sui tratti cosiddetti prevalenti. In alcuni casi si possono configurare veri e propri disturbi. E' frequente che persone orientate in senso narcisistico che quindi per struttura tendono alla ricerca del potere, nel momento in cui subiscono la pressione della responsabilità, reagiscano arroccandosi su modalità di controllo esasperate, e i tratti ossessivo-paranoidi condizionati da modalità sadiche possono determinare molta sofferenza nelle persone con cui entrano in relazione.
Cordiali saluti.

#3
Utente 219XXX
Utente 219XXX

Grazie a Lei per il Suo chiarimento. Quello che scrive è un'ulteriore conferma della necessità di rendere incarichi di responsabilità a tempo determinato. È l'unico modo per far rimanere certi personaggi con i piedi per terra.

#4
Dr. Chiara Lestuzzi
Dr. Chiara Lestuzzi

Molto interessante l'articolo, che conferma un' osservazione che avevo fatto anche io sul fatto che ottimi aiuti fossero poi pessimi primari.
In parte forse c'entra anche il "Principo di Peter" (un libro dei primi anni '70 in cui si ipotizzava che uno faccia carriera fino a quando non raggiunge il suo livello di incompetenza. Nel senso in cui chi è bravo a fare il suo lavoro viene promosso, e passato a ruoli superiori finché arriva al ruolo in cui non è capace e lì si ferma. L'esempio era quello della carriera militare: se un tenente bravo nel gestire la truppa e organizzare le attività di un caserma viene promosoo a colonnello e deve passare a lavoro di ufficio e di relazioni esterne può essere del tutto inadeguato al nuovo ruolo).
Però l'effetto stress è sicuramente importante.
Io ho a che fare con un primario che è di sua natura estremammente insicuro e pavido. Finché era aiuto -con sopora di sè un primario molto sicuro di sè e decisionista- andava tutto bene: aveva dei compiti precisi e li eseguiva con cura. Diventato primario ha cominciato a soffrire di gastrite, di insonnia, è terrorizzato da tutte le decisioni (che infatti cerca di schivare) e -anche nel lavoro clinico- è scaduto nell'iperprescrizione di esami (in parte come forma di medicina difensiva ma in parte- secondo me- per poter eventualmente scaricare la responsabilità su chi ha eseguito i vari esami). Dopo qualche anno gli era stata offetta l'opportunità di diventare dirigente di un ambulatorio di diagnostica (proprio degli esami in cui è più esperto) in un ospedale a due passi da casa (adesso si fa 70 Km al giorno), in un reparto con un primario in gamba che gli avrebbe lasciato massima autonomia. Gli ho suggerito di accettare: avrebbe vissuto molto meglio, ed economicamente ci avrebbe anche guadagnato. La risposta è stata "Ma lì non sono primario!". Dunque per questa persona -chiaramente inadatta a fare il primario e che soffre ad esserlo- il "ruolo" era più importante! D'altronde lo stesso collega, anni prima, mi ha detto con fastidio che la moglie (medico in altra specialità) era diventata aiuto mentre lui era ancora solo assistente. Gli ho chioesto dove fosse il problema, visto che comunque in casa entrava uno stipendio da aiuto, e lui mi ha ripossto "Ma il maschio sono io!". Cioè il fatto di avere un ruolo inferiore a quello della moglie lo umiliava.

#5
Dr. Chiara Lestuzzi
Dr. Chiara Lestuzzi

Per l'utente 219318:
L'esperimento risale ai primi anni '70, è stato fatto a Stanford ed è ben descritto nel libro "L'effetto lucifero".
L'autore dello studio (il dott. Zambardo mi pare che si chiamasse) ha fatto poi parte del collegio di difesa (come consulente) nel processo per i fatti del carcere di Abu Ghraib dove i militari americani avevano torturato i detenuti iracheni.
Il libro ha centinaia di pagine, la parte ananlitica è molto complessa (confesso: non sono riuscita a finirlo), ma la parte che descrive l'esperimento è molto interessante. E' interesdsante anche vedere gli effetti psicologici dell'esperimento su chi lo aveva organizzato, che a un certo punto ha dovuto decidere cosa fare quando si è reso conto che la cosa stava prendendo una piega imprevista. Decidere se far uscire chi soffriva troppo o continuare? Ancche lui aveva un potere e una responsabilità!

#6
Dr. Francesco Bova
Dr. Francesco Bova

Cara collega, nel mio articolo ho cercato di spiegare un concetto piuttosto complesso anche se di facile intuibilità. Il successo può determinare in alcune persone una reazione apparentemente paradossale ma che è più frequente di quanto si possa pensare (mi riferisco a tutte quelle situazioni in cui ci ritroviamo a desiderare ardentemente qualcosa e nel momento in cui riusciamo ad ottenerla sembra che quella cosa perda tutto il proprio interesse). Queste reazioni possono essere determinate da due sentimenti simili ma profondamente diversi fra loro e cioè il senso di colpa e il senso di vergogna. Il primo potremmo considerarlo più nevroticamente sano perché condizionato da meccanismi edipici che hanno a che fare con il senso morale (tecnicamente istanze superegoiche) mentre il secondo è più regredito ed è condizionato ma un'idealizzazione di sè che proiettata nelle relazioni determina la sensazione di non essere all'altezza. E' questa la logica che porta alla costruzione di strutture di personalità ego centrate e comunemente definite narcisistiche. I sentimenti di umiliazione rientrano nelle logiche di proiezione di un autosvalutazione che non è altro che il rovescio dell'idealizzazione onnipotente. Non so quanto questo possa esserti chiaro ma sono disponibile a cspiegare meglio i punti che possono risultare oscuri.
Grazie dell'attenzione e un cordiale saluto.
Francesco Bova

#7
Dr.ssa Valeria Randone
Dr.ssa Valeria Randone

Complimenti, articolo ben redatto, incisivo e di alto spessore che tocca le corde emotive di tutti noi.

Generoso e con tanti elementi di acuta riflessione.

Complimenti davvero

Valeria Randone.

#8
Dr. Luigi Laino
Dr. Luigi Laino

Complimenti vivissimi per questo interessante articolo, ben scritto e di grande spunto.

#9
Utente 313XXX
Utente 313XXX

Ottimo articolo. Allarga la chiave di lettura in un'ottica più aderente alla realtà.Basta con lo stereotipo popolare del sono "tutti ladri". In realtà anche non avendo una grande competenza sull'argomento, percepivo, ma non focalizzavo quanto detto e chiarito dal Dr Bova.In Sintesi, per esercitare il potere, occorre predisposizione e preparazione non comuni, abbinati ad una buona dose di esperienza, tramutatasi in saggezza.Bello e chiarificatore, l'esempio del Papa, ma credo che sul piano politico si presentino problematiche palesemente più complesse.Rinnovo i miei complimenti per l'articolo, accostandoli ad una massima di Einstein;" Non hai veramente capito qualcosa finché non sei in grado di spiegarlo a tua nonna". Saluti Marcello Fazzi

Ps: Forse Andreotti era uno che sapeva gestire il potere. Vero?

#10
Dr. Francesco Bova
Dr. Francesco Bova

Grazie a tutti. Gli elogi purtroppo mi lasciano con meno parole di quanto vorrei.

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