Il depresso e il paziente non collaborativo. Intervento indiretto.

a.devincentiis
Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta

A quanti è capitato di trovarsi al cospetto di un depresso che, in virtù della sua psicopatologia, si rifiuta di collaborare con le terapie?

 

La depressione non solo è caratterizzata dai classici sintomi ben noti, ma ha una particolarità: quella di far perdere le speranze anche ai famigliari e a tutti coloro che tentano di portare un aiuto attivo e diretto a chi è portatore di questa patologia. La dinamica depressiva fa si che chi ne è affetto nutre poche speranze per il futuro, nella convinzione che nulla possa essere di particolare utilità per un cambiamento. Un cambiamento che, il più delle volte, non è nemmeno cercato dal soggetto stesso spingendolo ad essere poco o per nulla collaborativo verso le prescrizioni psicoterapiche o, peggio, l’accettazione di una psicoterapia. Ed è proprio in quella occasione che i parenti fanno il possibile, adoperandosi in tutte le capacità persuasive che hanno a disposizione, nel tentativo di convincere il proprio caro a farsi accompagnare da un terapeuta o attuare eventuali prescrizioni comportamentali già avute in precedenza.

Come ovvio ogni tentativo di stimolare la sua collaborazione crea un effetto paradosso in cui il soggetto si chiude sempre più, da un lato nella convinzione di non poterci riuscire e, in alcune occasioni, per dimostrare, a chi insiste, la gravità del suo problema. Quest’ultimo atteggiamento può rappresentare, addirittura, un atto dimostrativo, una sorta di comunicazione che dovrà recare un messaggio significativo: “ se mi attivo dimostro che la cosa non è grave, quindi rinuncio”. La depressione è quindi un atto di rinuncia, verso il mondo sociale ed emotivo, che si autoalimenta. Più si rinuncia a fare qualcosa (uscire con gli amici, recarsi ad una festa, ecc.), più gli effetti negativi di questa rinuncia (noia, frustrazione, quest’ultime interpretate come la conseguenza della malattia è non come la naturale reazione alla rinuncia) confermano la gravità del problema e più il soggetto ritira ogni interesse verso l’esterno. Il malato contribuisce ad alimentare il problema fino all’assunzione di un ruolo di vera e propria vittima.

Ed è qui che subentra l’importanza e l’efficacia di un intervento in-diretto! I famigliari di un depresso non collaborativo non dovranno essere contagiati nella loro rinuncia per aiutare il proprio caro, ma dovranno essere loro a recarsi in terapia (in questa occasione di orientamento strategico e sistemico) per far si che il loro atteggiamento assuma quel necessario cambiamento in grado di interrompere il circolo vizioso (rinuncia-conferma gravità-vittimismo) che mantiene viva la patologia del soggetto. Il cambiamento dovrà essere orientato alla trasformazione del ruolo passivo del depresso in un ruolo, suo malgrado, attivo, di aiuto verso un parente che, per motivi strategici, avrà la necessità delle sue cure.

Un esempio pratico di tale strategia  può consistere nella costruzione di un depresso fittizio, un malato, un portatore di una difficoltà che necessiterà dell’intervento del vero depresso,  o di creare un ambiente in cui solo lui potrà apportare il suo aiuto. Una sorta di sabotaggio celato in cui il depresso non dovrà più usufruire di eventuali benefici dettati dalla sua condizione di vittima e che, per motivi di forza maggiore, dovrà attivarsi per dare aiuto a chi, in quel momento, ne ha più bisogno di lui. Ovvio il tutto è da contestualizzare con l’aiuto del terapeuta  che dovrà studiare, con i famigliari, i limiti di tale intervento, inquadrare il parente più prossimo ed escogitare strategie che debbano, almeno in apparenza, rendere il malato l’unico in grado di apportare l’aiuto necessario.

Gli interventi indiretti e le altre diverse strategie che questi prevedono trovano numerose applicazioni in tutte quelle patologie dove il paziente non è collaborativo o rifiuta ogni forma di intervento terapeutico, inoltre si rende particolarmente utile negli   adolescenti e nei bambini in cui ogni azione diretta non ha portato alcun cambiamento significativo sul loro eventuale  disturbo del comportamento.

 

Fonti:

L’Abate l. Weeks. G. psicoterapia paradossale, Astrolabio 1984.

Muriana E. et al I volti della depressione, Ponte alle Grazie, 2006.

 

Data pubblicazione: 27 dicembre 2014

2 commenti

#1
Dr. Carla Maria Brunialti
Dr. Carla Maria Brunialti

Bella, interessante e utile la News!

Necessario anche il coinvolgimento della famiglia per modificare comportamenti che mantengono e rinforzano il sintomo!

Tuttavia ritengo che vari approcci possano essere utilizzati, oltre quelli cui tu accenni: strategico e sistemico.

Per aggiungere il tuo commento esegui il login

Non hai un account? Registrati ora gratuitamente!