Sto male se non faccio felici gli altri, perché?

La capacità di soddisfare i bisogni degli altri è una caratteristica sana e naturale dei rapporti e delle relazioni. Tuttavia quando si soffre, si sta male o si sente ansia, agitazione o fastidio se il bisogno o i bisogni di qualcuno non sono soddisfatti significa che c'è una ferita emotiva interiore che limita la propria vita.

 

 

La ferita interiore

Quando c'è questa ferita emotiva interiore, il soddisfare i bisogni degli altri viene sentito come un impulso irrefrenabile e una responsabilità propria. Il fastidio, dispiacere, ansia, dolore, agitazione o sofferenza non termineranno fino a quando non si sarà soddisfatto il bisogno di quella o di quelle persone.

 

Non si dovrebbe aiutare gli altri?

Agire ed aiutare gli altri è positivo. Ma l'ansia, il fastidio, l'agitazione che si impadronisce della persona è negativa perché la fa stare male e le toglie energie alla sana soddisfazione dei propri bisogni. Ognuno, infatti, ha come compito esistenziale quello di maturare una certa autonomia nella quale sa prendersi piena responsabilità dei propri bisogni e della propria felicità.

 

Perché avviene questo?

Perché si è imparato fin dall'infanzia a mettere prima i bisogni degli altri. Se in famiglia c'erano forti insoddisfazioni emotive, depressione genitoriale, forte disaccordo, malattie emotive o mentali, dipendenze, gravi problemi economici ecc. i problemi della famiglia prendevano il sopravvento.

Ai famigliari veniva implicitamente spontaneo o "imposto" di concentrarsi sul problema più grave in famiglia. E questo portava a concentrarsi sui bisogni degli altri e a svalutare progressivamente i propri. Si faceva così per sopravvivere perché
* Si è imparato che per ottenere l'amore di cui si aveva estremo bisogno era prima necessario "dare", ossia concentrarsi sul problema di qualcun altro
* se non ci si concentrava sul problema più grave accadeva qualcosa di brutto (litigi, dolore, sofferenze, abbandoni).

 

Il bambino capisce?

Un bambino, a differenza di quello che si crede a volte, percepisce fin dalla nascita molto bene gli stati emotivi in famiglia. Il suo obiettivo più pressante ed importante è quello di avere l'amore dei genitori e non sa se gli stessi sono tristi per una depressione materna, per una dipendenza paterna, per problemi economici o per altro. Tutto quello che sa è che se percepisce che i genitori sono tristi, arrabbiati o preoccupati, egli inizia a utilizzare la sua energia emotiva per sperare che la mamma o il papà o i genitori siano felici.

 

Un tampone temporaneo ad un prezzo molto salato

Questo concentrarsi sui bisogni degli altri è comunque solo un tampone temporaneo. Esso non risolve infatti il problema alla radice che deve essere prima di tutto riconosciuto e poi risolto in altro modo dagli adulti. Ma "calma le acque" ad un prezzo tuttavia salato:

* lo svuotamento interiore delle energie fisiche ed emotive;

* il portare il peso dei problemi degli adulti su di se;

* il sentire che è sbagliato far presente i propri bisogni perché si rischia di "disturbare" in quanto c'è un "problema più pressante" da risolvere;

* la diminuzione dell'autostima e della fiducia in se stessi perché non importa quanto ci si impegna, questo non è mai abbastanza per risolvere i problemi dei genitori e per farli essere stabilmente felici

* E il fatto che questi condizionamenti emotivi diventeranno degli automatismi in età adulta non solo con i propri cari ma anche e paradossalmente con gli sconosciuti, facendo scattare ansia o dispiacere o dolore o fastidio se non si soddisfano i bisogni e non ci si dedica alla felicità degli altri.

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Data pubblicazione: 17 gennaio 2017

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