Cannabis: effetti tossici e rischi per la salute (parte II - effetti psichici)

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze
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Per quanto concerne gli effetti mentali, i dati disponibili non hanno sempre significato nello stabilire se c'è un nesso causa-effetto. Ad esempio, dire che tra i consumatori di cannabis c'è una certa percentuale di depressione non significa stabilire se questi siano predisposti alla depressione (cannabis a parte) o se sia la cannabis a produrla. Idem per le malattie più gravi come la psicosi.

L'unico modo per capire meglio questo nesso causale è studiare gruppi di consumatori negli anni e verificare se si ammalano di più di malattie mentali, ma anche in questo caso con un confronto rispetto ai non-consumatori, e alla popolazione nel suo complesso. Può accadere ad esempio che si osservi una maggiore incidenza nel tempo di psicosi rispetto ai non consumatori, ma che il numero di depressioni non cambi con l'aumentare del numero di consumatori. Queste differenze si vedono bene paragonando periodi in cui una sostanza si diffonde perché "di moda" oppure in cui l'uso si riduce perché viene proibita.

 

Si può dire, nel caso della cannabis, che i consumatori sono soggetti psichiatricamente più a rischio di psicosi (dimostrato), anche se non necessariamente per effetto della cannabis, e che però questo rischio di ammalarsi di psicosi aumenta con l'aumentare del livello del consumo (i forti consumatori abituali di cannabis hanno un rischio del 200%). Non sembra che la cannabis produca davvero casi "nuovi" perché la diffusione di questa sostanza non ha fatto muovere il numero di diagnosi di psicosi, mentre invece aumenta il numero di pazienti psicotici che ha la cannabis nella sua storia o che la consuma anche dopo l'inizio della malattia mentale.

Per effetto della cannabis inoltre si potrebbe passare da un livello di gravità "lieve" (disturbo di personalità, forme di confine con conservato adattamento sociale) a forme piene con disadattamento sociale.

 

Un dato è quello della minore età di inizio della malattia: chi consuma cannabis ed è predisposto alla psicosi si ammala quindi prima, e questo può fare la differenza, poiché si può supporre che un disturbo che colpisce un cervello adolescente corrisponda ad una malattia più grave e con maggiore cronicità, oppure con una evoluzione peggiore nel tempo. Quando si valutano questi parametri si dovrebbe però considerare la diagnosi specifica, cioè schizofrenia o psicosi bipolare, che hanno prognosi di partenza diverse. I soggetti con psicosi bipolare solitamente continuano a consumare cannabis anche dopo l'inizio della malattia, ma per loro natura hanno un recupero migliore. Le forme acute di psicosi sono più instabili sul piano del comportamento, con maggiore tendenza all'impulsività e all'aggressività e alla mutevolezza del registro dell'umore.

 

Per quanto concerne gli altri disturbi mentali, non è chiaro che relazione ci sia, ma la cannabis tende a "condirli" in modo abbastanza chiaro. Il "condimento" c'è in termini di tipo di sintomi (derealizzazione e depersonalizzazione, pseudo-allucinazioni ovvero fenomeni ossessivi vividi riferiti dentro la testa, distorsione delle percezioni) e di instabilità nel decorso. In un disturbo di panico questo genera un particolare spavento, poiché il soggetto, già spaventato per lo stato in cui si trova, si preoccupa molto di alcuni di questi sintomi, più particolari e "neurologici" diciamo così, che nel panico senza cannabis in effetti sono più rari. Il decorso tipico del panico che inizia sotto cannabis o dopo anche "pochi tiri" ha una fase acuta molto intensa, con isolamento, abbassamento dell'umore, angoscia per il proprio stato mentale e pensieri tortuosi o che si accavallano e non si riescono a fermare. La persona tipicamente ha timore di "impazzire" e di perdere il controllo del contatto con la realtà e con le sue funzioni mentali.

 

A volte questo stadio prevalentemente ansioso e con alterazione delle percezioni, come fosse un residuo dell'esperienza degli effetti della cannabis, prelude a forme più gravi. Di solito in quesi casi vi è uno stato di perplessità, più che di spavento vero e proprio, e la ricerca di significati che sembrano far capolino ma non sono chiari, come se stesse succedendo qualcosa intorno ma non si riuscisse a capirne il senso.

Sono due condizioni diverse che hanno trattamenti radicalmente diversi, ma è sempre bene che il trattamento inizi il prima possibile, o quantomeno la valutazione sia fatta subito.

Data pubblicazione: 13 marzo 2011

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

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2 commenti

#1
Ex utente
Ex utente

Salve dottor Pacini, potrebbe fornire una sua email , vorrei contattarla.
Grazie

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