Un bambino ribelle

a.vita
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta

Il bambino può provare una grande gelosia per un freatellino e o una sorellina più piccoli. Ne scaturisce una forma deviata del comportamento e dei sentimenti del bambino

Premessa

Questo studio è uscito sulla rivista “Vita dell’infanzia”, Organo uff. dell’Opera Nazionale Montessori nei nn. 9/10 del 2008, con il titolo di “Il comportamento ribelle”. Poiché la rivista si occupa principalmente di psicologia e pedagogia dell’infanzia, il titolo non dava luogo a equivoche interpretazioni rispetto al contenuto del lavoro. Qui, poiché per gentile concessione della rivista viene riportato in siti Web che si occupano di Psicologia Generale, è stato modificato come il caso di “Un bambino ribelle”

Problema: Un bambino di 4 anni, primogenito della famiglia, con un fratellino di 18 mesi c.ca, dopo la nascita del fratellino minore, ha iniziato a manifestare un comportamento ostile, ribelle, scorretto, e spesso arrogante.
La mamma ha deciso, su consiglio di qualcuno, di usare  la tecnica dei premi e dei castighi al fine di mitigare il comportamento irrispettoso, aggressivo  e disubbidiente del bambino.
A mio avviso ritengo che la tecnica dei premi e dei castighi sia la meno adatta  e quella che dà meno risultati apprezzabili.
Mi preme comunque dare preliminarmente  un ordine a questo scritto per svilupparne, spero in modo organico, le varie parti.
A mio avviso il bambino presenta questi problemi:

A - L’ipotesi più attendibile è che il comportamento del bambino sia causato da una marcata gelosia nei confronti del fratellino.
B - Da qui una serie di comportamenti arroganti ed aggressivi.
C - Manifestazioni di atteggiamenti di sfida e di rifiuto dell’autorità.
D - Ma non tutto quello che il bambino mostra è negativo.
E - Come correggere questi atteggiamenti e come cercare di normalizzare la situazione.
F - Importanza delle figure genitoriali nella terapia.

1 - A. e B. -  Gelosia ed i comportamenti irregolari.

La presenza di una forma intensa di gelosia è la più frequente in casi del genere.
I genitori hanno aspettato con ansia e con amore la nascita di un altro figlio:  è naturale che essi adesso prestino attenzione al piccolo, senza peraltro dimenticare l’altro, il primo. Magari la loro offerta di amore è divisa a metà, ma per il bambino grande è sempre una divisione impari. Per lui è come se i due genitori l’avessero abbandonato e non lo volessero più.
Prima che il fratello maggiore si affezioni al minore passa di solito del tempo.

Se il suo comportamento, come sembra, è dovuto alla gelosia, porta ad una serie di atti messi in opera dal bambino grande sia consapevolmente che inconsciamente:

  • Il grande sente imperiosa e intrusiva la presenza del piccolo.  “Ma chi è questo soggetto che viene ad inserirsi nella mia vita? Io prima ero il padroncino della famiglia, adesso non sono più nessuno, valgo molto poco”.
  • “E poi lui si fa la cacca addosso ed anche la pipì, mentre io sono grande e mi regolo da solo. Ma se mio fratello, che pur si fa la cacca e la pipì addosso, viene così coccolato dai miei genitori, allora, quasi quasi, conviene anche a me farmela addosso e allora vediamo che succede”.

 Quindi non è raro il caso che il bambino grande presenti fenomeni di     regressione e torni a ciucciarsi il dito , a non controllare più gli sfinteri.
Inoltre egli può diventare aggressivo, o arrogante.
            “Adesso vi dimostro io che sono grande. Altro che. Sono grande e so badare a me       stesso. So fare da solo.”

  • Il bambino geloso si comporta in modo diverso anche per attirare l’attenzione e per richiamare i genitori su un fatto: il bambino soffre, ma nessuno se ne accorge. Anzi , viene punito, ed allora diventa ancona più aggressivo.

            “Questi non solo non mi vogliono più bene, ma mi puniscono anche.
            Da qui a passare ad una fase di ostilità, e ad un risentimento malcelato il    passo è           breve.

  • Nei fenomeni regressivi è frequente che si manifestino delle difficoltà di espressione verbale, sul piano propriamente fisico del linguaggio. Quindi ci  può essere o un ritorno ad un linguaggio bebé, o ad una forma di balbuzie che prima si manifesta con lo strascicare o con il ripetere un suono ogni ora , poi ogni dieci minuti, sino a raggiungere una frequenza di pochi attimi. Il soggetto diventa balbuziente. E spesso la balbuzie è pericolosa quando si vede che il bambino stenta a dire una parola e cambia subito concetto perché cerca, trova ed usa una parola più facile per entrare nel discorso. Cioè c’è un’inibizione della logica espressiva che può portare a fenomeni ancora più gravi e più preoccupanti. Un esempio per chiarire il concetto.

Il bambino vuole un bicchiere di acqua. Si sa che nelle fasi di balbuzie , specie quelle di natura tonica, il bambino non riesce ad attaccare il discorso perché non supera lo sbarramento di una vocale o consonante per lui difficoltosa da pronunciare. Vuole dell’acqua e riesce a dire “mamma voglio l’a…” e qui si ferma, non riesce a proseguire la parola. Allora spesso è facile assistere ad un cambio totale del discorso in questo senso,” mamma voglio l’a….. la mia maestra dell’asilo è brava”, e cambia completamente discorso.
            Questa modificazione della logica del discorso porta a conseguenze non sempre    prevedibili, né facili da poter combattere.

  • Poi in lui, che è stato sempre un bravo bambino, si assiste ad una modificazione del comportamento: diventa irrequieto, fastidioso, violento, ostile.  La dinamica del discorso inconscio è sempre la stessa: “Ma chi me lo fa fare ad essere un bravo bambino, se poi questi non mi guardano lo stesso e non si curano di me?” E guardano l’altro quello che egli chiama il mio fratellino?Faccio come mi pare”, e diventa aggressivo, violento e può anche manifestare un atteggiamento pantoclastico, cioè scarica la sua aggressività rompendo  giocattoli e cose senza preoccuparsi delle conseguenze.
  • Non si lava, diventa sudicio, sporco, sgradevole, etc.
  • Ma c’è un meccanismo che soprattutto funziona spaventosamente bene: un meccanismo inconscio che se si portasse alla luce suonerebbe in questo modo: “ Io sono stato sempre un bravo bambino, ho imparato a mangiare , a lavarmi a pulirmi, parlo bene, mi comporto bene. Eppure loro si occupano soprattutto dell’altro. Per me non c’è posto”.  Noi sappiano che non è vero e che i genitori vogliono bene ad entrambi, ma lui non la pensa così. A suo giudizio, anche il tempo che la madre occupa per l’altro è molto maggiore di quanto ne occupa per lui, e così i vezzeggiativi che forbiscono il linguaggio dei genitori per il fratellino, per lui non ce ne sono . Tutto questo non è sopportabile, e se una persona “non sopporta” una situazione, per ovviare a questo male buio del proprio animo angustiato non sa cosa fare.

Non c’è motivo per cui i miei genitori, le maestre e il maestro di nuoto devono comportarsi male con me e rimproverarmi sempre, anzi , io sopporto il mio cosiddetto fratellino, ed essi invece ce l’hanno sempre con me”.
Insopportabile situazione. Non sopportabile significa che persone adulte che vivono situazioni simili arrivano ad atti insani, mettono in moto dinamismi squilibrati della psiche e comportamenti immorali, turpi, riprovevoli.
            Il dinamismo, inconscio, non ragionato, ma solo “sentito”, messo in atto dal           primogenito è di questo tenore: “Non c’è motivo che i miei genitori si comportino in           questo modo. Io sono stato sempre bravo, tranquillo, pulito, corretto, ed essi mi             hanno girato le spalle e mi hanno privato del loro amore. Se fossi stato cattivo,          allora questo loro modo di comportarsi nei miei confronti sarebbe stato più    sopportabile, perché giustificato. Per placare questo tremendo stato  d’animo, il bambino si comporta così. Diventa aggressivo, caparbio, arrogante, sporco, violento, rompe tutto, balbetta…. “Beh adesso i miei genitori hanno ragione  a comportarsi in questo modo verso di me, il loro atteggiamento è più accettabile, è più sopportabile”.  Non occorre più morire per sentirsi fuori da questa tenaglia    arroventata che lo massacra sul piano emotivo, degli affetti mancati, dei sentimenti     desiderati e non avuti, della sua arrogante autonomia. Ora la sua vicenda è più    tollerabile.

Quest’ultimo meccanismo di difesa è il più inconscio, ma forse quello più attivo, quello maggiormente diffuso, con  il quale egli riesce a trovare la soluzione dentro il proprio animo ad una situazione insostenibile e insopportabile.

 

2  -  C. - Atteggiamenti di sfida e rifiuto dell’autorità.

 L’autorità non deve assumere carattere repressivo, non deve essere tirannica e pronta a mostrarsi avversa al bambino, disposta ad infliggere punizioni e peggio ancora  pene corporali.
I genitori devono essere autorevoli, ma è cosa diversa dall’essere autoritari.
L’autorità nel senso più antico del termine, è qualcosa che interviene nel rapporto tra genitore o educatore e bambino dall’esterno, come cosa estranea ad un rapporto, e spesso si mostra con un volto repressivo. Autoritario è un soggetto che punisce per correggere, che arriva a distribuire pene anche corporali pur di imporre la sua superiorità e le sue regole.
L’autorevolezza è invece un modo di mostrarsi del genitore che il bambino accetta e che gli infonde sicurezza. Autorevole, per l’adulto, significa essere e mostrarsi forte, specie nelle avversità della vita, intelligente, saggio, maturo, capace.  
Se un genitore si mostra autoritario già perde di credibilità, di grandezza.
Al contrario i genitori devono porsi come esempi di virtù, persone dotate di un carisma che attrae e che piace. Allora il bambino li accoglie con sicurezza e con fiducia perché sa che sui genitori egli può sempre contare in quanto essi sono portatori di amore, protezione e giustizia. Quando  le loro persone invece si ammantano di carica oppressiva, allora esse scadono sul mero piano della tirannia. In tal caso  i genitori e gli educatori perdono di rispetto e  di importanza. Il bambino non guarda più a loro come soggetti eccellenti e portatori di grandi valori. Infatti se essi sono portatori di violenza e di aggressività, sono loro i primi a trasmettere ai loro figli questo modo di comportarsi. Non ci si può lamentare se i figli sono aggressivi e arroganti quando i genitori e gli educatori, che dovrebbero essere saggi e moderati, si mostrano invece violenti ed prepotenti. 

3 - D. - Non tutto quello che il bambino mostra è negativo

Sul fatto poi che i bambini mostrano a volte un comportamento decisionista e volitivo, che non si può accettare, si vada a riflettere che tali atteggiamenti, se convogliati bene e se ben diretti, iniziano a formare  una persona di carattere. Ma occorre “lavorarci ” sopra, ed è questo il compito dell’educazione: trarre da situazioni spiacevoli, gli elementi positivi per stabilire ed indicare le vie migliori per la formazione della personalità e del carattere.
C’è poi da notare che un bambino che si presenta a 4 anni  prepotente, sfrontato, insolente non inizia ad essere tale a  4 anni di età. C’è un tempo retrodatato durante il quale egli ha captato i modi di essere degli altri, dei grandi, ed ora li copia.
Egli si identifica sempre con i grandi. Prima di tutti i genitori, poi gli educatori, e spesso anche con i personaggi dei racconti , delle fiabe moderne, e dei video che guarda.
Andiamo indietro con gli anni e confrontiamo il comportamento nostro con quello dei nostri figli all’età di 3 anni. Potremo scoprire che i nostri modi di comportarci non sempre sono stati corretti. E allora facciamo un po’ di autocritica e cerchiamo di prendere il bambino violento ed arrogante in altro modo: con amore, con delicatezza, con pazienza, con un dialogo a cui prima i bambini non vogliono partecipare, ma che pian piano, giorno per giorno, i genitori possono far maturare nei loro figli. Mi rivolgo spesso ai genitori e chiedo: quando tempo è che non stringete questo vostro figlio problematico al petto e non gli dite che gli volete tanto bene e che siete fieri di lui?

  4 - E. - Come correggere questi atteggiamenti e come cercare di normalizzare la situazione

  1. Diciamo subito che cosa non si deve fare: da parte dei genitori è sbagliato agire usando premi e castighi.
  2. Se subisce un castigo, nel bambino vengono amplificate  in tal modo la violenza, l’aggressività, la cattiveria. Il castigo e la punizione inaspriscono l’animo. La punizione non farà altro che accrescere quella rabbia che il bambino sente per essere stato abbandonato, secondo lui,  ingiustamente. E le punizioni dovranno essere sempre più intense e più grandi, perché man mano i suoi comportamenti si faranno peggiori.
  3. Il bambino viene condizionato ad assumere comportamenti corretti di fronte a premi e quindi a rinforzi estrinseci, e cioè al di fuori della logica del suo comportamento:: se il premio è grande, allora egli segue l’atteggiamento e il comportamento voluto dalla madre o da entrambi i genitori. Ma rincorrerà premi sempre maggiori e li richiederà. E si comporterà bene non perché ha in animo di farlo, consapevolmente e con desiderio di ri-assumere atteggiamenti corretti, ma solo in visione  del premio che gli spetta. È un sistema educativo che da subito mostra i propri errori. Alla fine premi e castighi non sortiranno più effetti.
  4. Il comportamento e l’atteggiamento dei suoi genitori va cambiato. Il bambino ha bisogno di attenzioni maggiori e bisogna dargliele. Occorre percorrere questa strada che è quella dell’amore e della comprensione. Il bambino, non è tanto grande da poter rendersi conto che i genitori non sono sempre occupati a seguire l’altro fratello.
  5. Il suo carattere spigoloso va addolcito, smussato. Ma non va combattuto. Spesso ci si lamenta che i figli sono mammoni, non riescono ad avere spina dorsale da grandi. Ebbene, atteggiamenti arroganti non possono essere  giustificati né accettati. Ma un carattere così risoluto, se lo si scarica della parte più spiacevole e censurabile, porta già in sé valori di autodeterminazione , di autodecisione molto importanti.

Allora non combattiamo tali comportamenti per farli sparire, ma  cerchiamo di convogliarli verso atteggiamenti più accettabili e più ammissibili.
Non avremo mai più un figlio debole di fronte alle avversità della vita, timido, pauroso, indeciso su tutto.

5 - F -  Importanza delle figure genitoriali nella terapia

Le figure genitoriali sono le più importanti per  la formazione del carattere e per l’assunzione di comportamenti adeguati. Essi sono portatori di esempi che i bambini seguono.
Essi devono essere pertanto modelli di eccellenza e di perfezione perché i bambini copiano i loro comportamenti e vogliono assomigliare ai propri genitori in tutto e per tutto.
Le figure dei genitori ricoprono pertanto un’importanza eccezionale per la crescita dei figli e per una loro sana e matura formazione sul piano psicologico.
La figura paterna, così carica di elementi inconsci positivi, di forza, di capacità argomentativa, di carattere  paziente ma solido, serio, che non scherza sulle cose importanti della vita, non abitudinariamente severo, ma solare e personificazione del Logos, è vicino al bambino, riesce a parlare e a farsi capire da lui se gli dedica tempo e attenzioni.
La madre è invece un modello archetipico, ancestrale, è la personificazione dell’Eros, dell’affetto, dell’amore. Tale deve mostrarsi al figlio.
Ai genitori voglio ricordare che noi tutti desideriamo attenzioni, cura, stima,  rispetto. Sono tutte premure di cui non possiamo fare a meno. I bambini sono vulnerabili e nascondono le loro debolezze mostrandosi forti, aggressivi, presuntuosi e sfrontati.
Ma in definitiva essi hanno molto bisogno di  aiuto, di comprensione e di affetto. 
Essi hanno inoltre bisogno di essere accettati e amati, desiderati e stimati dai loro genitori.
Mettere al mondo dei figli impone di averne cura e di avere tempo e disponibilità d’animo per guidarli, per insegnare loro le buone maniere, per intervenire quando sbagliano non con ceffoni o punizioni, ma con il desiderio di averli migliori, più bravi, più obbedienti e più ragionevoli.
In definitiva, l’educazione va impostata facendo acquisire abitudini corrette, facendo sentire un amore incondizionato, e stabilendo un dialogo che si sviluppa sempre più con la crescita psicologica e fisica del bambino.
Quindi, nei casi in cui occorre intervenire per correggere un comportamento ribelle, la tecnica dei premi e dei castighi è la meno indicata.
Occorre invece recuperare un contatto con il bambino che gli restituisca la sicurezza che egli sente perduta, che gli faccia sentire affetto e protezione e che ristabilisca tra genitore e bambino quella complicità che cementa ogni tipo di rapporto. 

Pubblicato su "Vita dell'Infanzia" Organo Uff. dell'Opera Nazionale 'Montessori-

Data pubblicazione: 02 giugno 2010

Autore

a.vita
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 1966 presso Univ. Urbino in Pedagogia.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Marche tesserino n° 200.

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