Quando la disoccupazione mette alle strette. Effetti psicologici della crisi

francesco.mori
Dr. Francesco Mori Psicologo, Psicoterapeuta

La disoccupazione è una cosa per il disoccupato e un altra per l'occupato. Per il disoccupato è come una malattia da cui deve guarire al più presto, se no muore; per l'occupato è una malattia che gira e lui deve stare attento a non prenderla se non vuole ammalarsi anche lui

Alberto Moravia,  1959 

 

 

 

Se c'è un dato che esprime la drammaticità della crisi economica in corso nel nostro Paese è quello sulla disoccupazione. Le recenti proiezioni riguardo all’ultimo trimestre del 2013, rese note dall’ISTAT (29/11/2013), indicano un tasso di disoccupazione generale del 12.5%, mentre quella giovanile supera la soglia tragica del 41%.

L’allarme sociale continua ad essere elevato, non solo in Italia ma nell’intera Europa. Ogni settimana qualche titolo dei quotidiani ci ricorda la gravità del fenomeno: operai che vanno sui tetti delle loro strutture, dipendenti che occupano le fabbriche, cortei che sfilano nella maggiori città del nostro paese mobilitati per chiedere cambiamenti alle istituzioni latitanti.  Accanto a queste “reazioni collettive” emergono segnali meno eclatanti, ma non meno importanti, legati al disagio individuale.  Episodi di aggressività e violenza verso i dirigenti e persino suicidi di lavoratori ed imprenditori sono la “clamorosa” punta del’iceberg, che trova la sua base in un malcontento diffuso. Sono in aumento tra i disoccupati, sintomi ansiosi, depressione, disturbi psicosomatici, oltre che un abbassamento dell’autostima, scoraggiamento ed apatia..

Fortunatamente non è rintracciabile una sindrome psicopatologica, in senso, stretto collegabile alla disoccupazione, anche se la mancanza di lavoro è un fattore di rischio rilevante per l’insorgere di un disturbo psicologico. I fattori che incidono positivamente su tale rischio sono molteplici e connessi sia ad elementi individuali che contestuali.

Risultano più “corrazzati” di fronte allo stress prodotto dall’inattività persone che dispongono di efficaci strategie per affrontare problemi, che vantano una buona flessibilità e senso di autoefficacia. A queste risorse personali si associano altre componenti connesse all’ambiente di vita dei senza lavoro, come la presenza/assenza di sostegno familiare e amicale, le risorse economiche di “base”, la ricchezza di opportunità offerta dal territorio.

Altri fattori che mediano lo stress generato dalla disoccupazione sono il gruppo sociale di appartenenza (i gruppi etnici minoritari, in quanto spesso scarsamente integrati, tendono a risentire maggiormente dell’assenza di lavoro) e la posizione all’interno della famiglia. Dato che culturalmente (purtroppo) sono ancora gli uomini a provvedere in misura maggiore all’economia familiare, sono anche quelli che, psicologicamente, ne risentono di più nel momento in cui non riescono ad adempiere al loro ruolo. Quando più aspetti di rischio, personali ed ambientali, si incrociano otteniamo quelle che vengono definite fasce deboli (lavoratori precari, giovani con modeste competenze professionali, famiglie a basso reddito, stranieri, persone sole, ecc.) per le quali non solo i confini tra disoccupazione e stato di povertà sono assai flebili, ma anche il rischio di psicopatologia diviene concreto, di fatto innescando una spirale che facilmente porta all’emarginazione sociale.

Dunque, che fare? Essere disoccupati, come abbiamo visto, comporta la mancanza del reddito accanto alla privazione delle funzioni psicologiche svolte dal lavoro (ottimizzazione del tempo, sensazione di efficacia, creazione di relazioni, possedere uno status, accrescere la propria identità attraverso l’esperienza). Difficilmente la persona da sola riesce ad uscire da questo circolo vizioso. Il primo passo è quello di “muoversi”, magari rivolgendosi alle strutture sociali, ai servizi locali presenti sul territorio, che, sebbene scarse, sono disponibili. Sovente, infatti, sono presenti organizzazioni che si occupano di questa problematica e che hanno come scopo quello di: gestire la vasta gamma di emozioni negative provate (rabbia, tristezza,  disperazione, ecc.), prendersi cura di se stessi, usufruire di attività di counselling di gruppo, fornire informazioni per trovare alternative occupazionali realistiche.

Cercare lavoro è un lavoro. Forse, più faticoso del lavoro stesso.

Data pubblicazione: 08 dicembre 2013 Ultimo aggiornamento: 21 dicembre 2013

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