Vedere è... comprendere

luigimarino
Dr. Luigi Marino Oculista, Medico legale

Vedere è già di per sé comprendere.

La cultura attuale pensa al gesto del vedere come ad un dato oggettivo.

Gli Antichi avevano ben chiaro invece che esso ingloba il nostro modo di percepire le cose.

L'uomo vede in modo soggettivo non oggettivo, per questo vedere è già di per sé comprendere.

Nell'Antichità era inteso come modalità percettiva e conoscitiva insieme.

Ne sono ancora espressione: la visione del mondo, la visione mistica, ecc. L'uso metaforico del termine è già manifesto del processo conoscitivo di grado elevato, come denunciano in modo più esplicito la visione di Dio, la visione del Vuoto, ecc., alludendo alla comprensione assoluta.

Il gesto della visione trasla nella realtà sovrasensibile.

L'organo di senso della vista ci dà la nostra collocazione spaziale in relazione agli oggetti che ci circondano, andando oltre la percezione del lontano e vicino; ne è testimonianza la rappresentazione artistica.

Ogni epoca e popolo organizza lo spazio in base a modelli diversi, confermando che di visione soggettiva si tratta, eppure chi è cresciuto in quel contesto culturale lo percepisce come reale, ritenendo immaginifico il diverso.

Solo l'arte rinascimentale italiana utilizzò il modello prospettico, l'arte coeva dei Paesi Bassi la distorse, si pensi ai quadri di Bruegel.

In entrambi i casi è raffigurato lo spazio della percezione sensibile; sono paradigmi creati dalla cultura di appartenenza, in comune hanno la visione globale tipica dell'occidente in quel periodo storico.

Non per nulla si suole dire che con l'Umanesimo l'uomo fu collocato al centro del mondo.

Guardando il quadro vediamo tutto senza voltarci a destra e sinistra.

Da qui la riflessione iniziata delle Avanguardie Artistiche (Cezanne, Picasso, ….) che mostrano l'inganno ma ne creano di nuovi.

L'arcano è svelato dall'Arte Concettuale degli anni '70, quando Pistoletto muta la tela con lo specchio, facendo entrare nel quadro il paradigma della realtà creato da ognuno di noi.

Esso si materializza nel momento in cui guardiamo l'opera.

Da qui l'esigenza di cogliere in tutta la sua ampiezza il gesto del vedere.

Esso si colloca tra mondo esterno e rappresentazione psichica.

La distanza è già percepita dal filosofo e matematico arabo Alhazen (965-1039ca.), logicamente all'interno di un quadro gnoseologico-metafisico..

Il primo a percepire la distanza che li separa in modo più scientifico è Keplero (1604), per cui l'occhio è in grado di determinare la posizione e distanza dell'oggetto, il così detto triangolo distanziometrico che ha come base il diametro della pupilla, così che sulla retina si forma una figura del tutto simile all'oggetto che viene poi trasmessa al cervello.

 

La luce -intesa come entità sovrannaturale (Dio è Luce)- è ancora lo strumento che permette di vedere.

Pur compiendo un percorso diverso da quello delle correnti di pensiero attuali che hanno superato la veridicità del dato scientifico, erano arrivati allo stesso risultato: vedere quale sinonimo di intendere.

La visione scientifica nasce dal pensiero Illuminista ('700).

Anch'essa perciò è un paradigma.

Qualsiasi mutamento avviene nell'organo della vista modifica non solo la visione “in senso oggettivo”, ma l'equilibrio psicofisico, venendo a mutare il modo di rapportarsi con la realtà e di conseguenza la sua comprensione.

Il soggetto deve formarsi un nuovo assetto.

Ogni qualvolta la malattia progredisce ne avviene un altro.

Se il tempo che intercorre tra l'uno e l'altro è limitato vi è spaesamento.

E' il tempo di cui la mente necessita per elaborare in modo diverso i dati percepiti dall'occhio.

Il medico oculista ha una difficoltà in più -rispetto ai colleghi- nello spiegare al paziente ciò che la malattia causerà, e di conseguenza il rapportarsi con le sue aspettative.

 

In collaborazione con Prof. M. Rubini, Bologna.
Testo di riferimento: L'arte e il bello tra medioevo e rinascita umanistica: il problema del vedere, S. Benassi, 1990

 

Data pubblicazione: 09 gennaio 2013

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