Disintossicazione: soluzione o "sintomo"? Aggiustare il tiro nella cura della dipendenza
Di ieri la notizia del contestatissimo show di Amy Winehouse a Belgrado. I giornalisti evidenziano la contraddizione tra lo stato alterato durante la performance e il fatto che questo giro di spettacoli avrebbe invece dovuto sancire il ritorno sulle scene in condizioni ottimali, dopo l’ennesima disintossicazione.
La “disintossicazione” sia tra i malati famosi che tra quelli non famosi continua ad essere sbandierata con lo scopo di accontentare i timori, le speranze e le aspettative degli altri. Per chi ci si sottopone, spesso non è altro che uno dei sintomi della dipendenza. Alla fine, nel paraodosso, lo diventa più di quanto lo sia l’intossicazione. Chi è “drogato” non necessariamente è dipendente, chi invece è un abbonato alle disintossicazioni lo è con probabilità molto maggiore.
Nella diagnosi di un disturbo da eccessiva alimentazione ad esempio compare tra i sintomi il frequente ricorso alle diete, così come nella diagnosi di dipendenza uno dei criteri è la storia di ripetute disintossicazioni. Dipendenza è quindi quando non risolvi disintossicandoti, e non solo, è anche quando, nonostante questo, tenti all’infinito di risolvere dintossicandoti.
In nessuna dipendenza la disintossicazione ha dimostrato di incidere sul nocciolo della malattia, ed in effetti non si capisce perché dovrebbe: la disintossicazione è un rimedio per l’intossicazione, come dice chiaramente il nome. La dipendenza è un’altra cosa. Più si è dentro la dipendenza, più si ha l’iniziativa continua di disintossicarsi, e la convinzione che calato il livello di intossicazione il problema sia sotto controllo.
Così la pensano in molti che soffrono di dipendenza, e anche molti di coloro che li circondano. Chiunque, di fronte ad una persona che si vuole disintossicare, approverebbero e darebbero fiducia, mentre invece questa reazione significa non vedere il centro del problema, e oltretutto farne un problema morale. Le cure delle dipendenze non necessariamente iniziano disintossicandosi, e invece devono andare verso la naturale disintossicazione che accompagna la riduzione dell’uso e il recupero del controllo.
Quando si completa la disintossicazione non si è a metà dell’opera, e neanche all’inizio. Anzi, chi vuol raccontare a sé e agli altri che è tutto sotto controllo dopo essersi disintossicato trova metodi sempre più artificiali per farlo: posti isolati, cliniche chiuse, trattamenti ultrarapidi, assistenza medica continua e sofisticata etc etc. Il sistema va dietro a queste aspettative fasulle, e “vende” una serie di trattamenti che, per quanto ottimi per la disintossicazione, non incidono sulla dipendenza.
Addirittura, chi esce dalla disintossicazione può essere più a rischio per alcuni incidenti: ad esempio, poiché si recupera una suscettibilità alla sostanza (si perde l’assuefazione all’effetto) ma il desiderio rimane vivo e incontrollabile, l’intossicazione successiva può essere più rischiosa. Le overdose all’uscita del carcere, delle comunità, degli ospedali sono tipiche della storia di ex-tossicodipendenti.
Le ricadute dopo la disintossicazione non sono “nuovi” episodi di dipendenza, sono la stessa malattia di prima, mascherata dalla temporanea assenza di sintomi da intossicazione. L'eterno ritorno alla disintossicazione è la dipendenza che si avvita su se stessa.
Per questo, le dipendenze meritano una cura che – urgenze a parte – incida sui sintomi di fondo, che sono il desiderio non controllato e la tendenza al comportamento automatico di consumo di una sostanza o di un oggetto.
Le cure per le dipendenze, quasi tutte, non richiedono tecnicamente che una persona “abbia il controllo” e quindi smetta o riduca, altrimenti sarebbe un controsenso. Le cure stesse ottengono questo come risultato.
Smettere può essere necessario per eseguire accertamenti, farsi visitare da un medico in condizioni da poterci interagire, ma non è il punto fondamentale per avere sotto controllo una dipendenza, né è il passo più importante e più difficile. E’ solo quello che, fino in fondo, riesce a tratti ad ogni tossicodipendente, e serve fondamentalmente per recuperare la fiducia degli altri, alcune risorse immediate, in maniera sempre più fugace e instabile.
Chi è gravemente dipendente arriva a pensare che se ha fallito dieci volte, l’undicesima sarà sicuramente quella buona, o che “adesso è veramente la volta buona perché so di potercela fare” o perché “adesso ce la sto mettendo tutta”. Questo si accompagna a dichiarazioni assolute sul futuro tipo “non devo toccare più l’alcol”, o “non berrò più neanche un bicchiere” che sono contemporaneamente indice di non controllo e di inutile ed eccessivo ottimismo.
Le intenzioni nelle dipendente sono ciò che non ha più potere, la volontà dipende dal desiderio, e la malattia da sola non torna indietro come si vorrebbe. Di fronte a chi si butta nell’ennesima intossicazione e lo fa con abbastanza “convinzione” da convincere anche gli altri a investire nell’ennesimo fallimento, si dovrebbe invece cercare una soluzione diversa. Una cura per la dipendenza che nel tempo permette di riabilitarsi e di mantenere i miglioramenti, tenendo sotto controllo una malattia che per definizione “fa ricadere”, così come altre condizioni mediche extra-cerebrali (diabete, ipertensione, asma).
Approfondimenti e fonti:
McLellan AT, Lewis DC, O’Brien CP, and Kleber HD. Drug dependence, a chronic medical illness: Implications for treatment, insurance, and outcomes evaluation. JAMA 284(13):1689-1695, 2000.
http://archives.drugabuse.gov/about/welcome/aboutdrugabuse/chronicdisease/