Fiabe e Psichiatria - Ossessioni e paure
Nella fiaba la famiglia reale celebra la nascita della primogenita, ma evita di invitare la strega del luogo, per il timore che potesse portare mala sorte. Questa si presenta lo stesso, e mostra di capire che non si è trattato di una dimenticanza, ma della volontà di tenerla lontana: così, per dispetto, lancia un cattivo augurio alla bambina, con la predizione che questa morirà pungendosi con il fuso di un arcolaio e morrà prima di compiere i 16 anni. Per fortuna, l’ultima delle fate che stavano porgendo i loro omaggi, e che ancora non aveva pronunciato il suo augurio, rimedia al maleficio: la ragazza non morrà ma cadrà in un sonno profondo fino all’arrivo del principe che la salverà. Il re, non accettando la sorte, ordinerà di bruciare qualsiasi fuso, e penserà così di rendere impossibile l’avverarsi della maledizione, ma non ci riuscirà, perché un fuso sfuggirà alla ricerca e sarà proprio quello con cui la principessa si pungerà.
Le ossessioni spesso hanno contenuti spaventosi: malattia, morte di sé o altri, contaminazione, perdita del controllo sul proprio comportamento, calamità o catastrofi, e così via. La reazione istintiva di chi le ha è cacciar via la paura, con la rassicurazione o con la spiegazione razionale che ricaccia la strega-ossessione da dove è venuta. In realtà, l’ossessione si presenterà, come la strega non invitata, a rilanciare la sua paura, superando la forza delle spiegazioni e della rassicurazione.
Allora la persona proverà a far qualcosa, un rituale, per eliminare le possibilità concrete che la paura possa davvero realizzarsi, e questa è la parte più faticosa di solito, iniziano rituali mentali o comportamentali, tempo perso inutilmente. Nessun rituale per quanto accurato e perfetto, nessuna spiegazione per quanto raffinata e esaustiva potrà eliminare la possibilità, anche minima, che la paura possa realizzarsi. Infatti, l’ossessione non è uccisa dalla ragione, anzi, la ragione non potrà che convincerci che la paura è “improbabile”, ma mai impossibile. E’ come cercare di proteggersi dalla pioggia con un ombrello sempre più grande e spesso, che tuttavia ha comunque un piccolo buco sopra la propria testa. Le fate disapprovano il re che cerca stupidamente di controllare il maleficio, loro sanno che è inutile, che non è quella la via. L’unica via, anziché cercare di uscire dal maleficio con una formula contraria, è quella di “addormentare” il regno e la principessa, addormentarli per evitare che muoiano, che soccombano. Questo equivale alla strategia con cui si gestiscono le ossessioni: non si spiegano, non si argomentano, il contrario: si fa il modo che il cervello stacchi la spina, si addormenta la ragione che alimenta l’ossessione e si attende il risveglio del pensiero “liberato” dal maleficio delle ossessioni. Accettare l’eventualità che la paura si realizzi, in maniera che il cervello automaticamente riporti il pensiero su un piano intuitivo, e non analitico: sul piano intuitivo la paura si può oscurare, sul piano analitico-razionale invece no, rimarrà sempre un angolo nascosto, un pertugio attraverso cui la paura farà l’occhiolino, dietro cui rimarrà nascosta e protetta, senza che si possa proclamarla falsa o impossibile al 100%.
Le fate quindi insegnano la psicoterapia anti-ossessioni: accettare la possibilità temuta, il temuto “maleficio” e cercare di oscurare il pensiero in sé, non ragionandoci ma tenendolo senza risposta, dormiente. Questo lavoro, così come nella fiaba, naturalmente è artificiale: nella fiaba sono le fate, e nella realtà sono le cure. E come nella filosofia della fiaba, se c’è una strega e un maleficio non ha senso chiedersi perché e cosa significa, ma mettere in campo le fate che conosciamo, che siano farmaci, tecniche verbali o comportamentali, o entrambe insieme.