Anedonia. Uno scoop inesistente su un sintomo psichiatrico che più classico non si può

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

i aggancio ad una notizia recente che tira in ballo questo termine, anedonia, come se fosse chissà quale novità. Non solo non è una grande novità, non è una novità in assoluto. Inoltre, il discorso che se ne è fatto riflette forse quello che è stato capito di qualcosa che è stato descritto da un medico, ma poi il tutto sembra essere stato reso “notizia” per la mancanza delle nozioni di base. Cerchiamo di rimediare.
Faccio una premessa: nel leggere articoli giornalistici riguardanti la medicina, in generale riscontro sempre lo stesso problema. Le notizie (prendiamo le “novità” antitumorali) parlano di rivoluzioni prossime a venire, dopo di che nell’articolo leggo di terapie innovative che erano già tali quando studiavo medicina. Alcune sono rimaste al palo e sono ciclicamente presentate come nuove frontiere. La psichiatria è invece vittima prediletta di un altro assurdo giornalistico, e cioè le nuove diagnosi, un po’ per colpa anche dell’ambiente forse. Spuntano diagnosi psichiatriche presentate come fossero nuove malattie, mentre invece sono diagnosi di sintomi, ovvero come se si dicesse: abbiamo scoperto una nuova malattia, la “febbre”. In questo caso il termine è "anedonia", cioè quello stato mentale che comprende l'incapacità di provare interesse e/o appagamento per le varie attività e stimoli disponibili. Si apprende sempre dai giornali che si tratterebbe di uno "squilibrio del cervello", come se quando si parla di psichiatria, di disturbi mentali e psicologici, non si stesse automaticamente parlando di questo tipo di oggetti: cervello, neuroni, mediatori chimici dei neuroni (neurotrasmettitori), e....banalmente, di squilibri, un modo come un altro per dire che qualcosa non va, non quadra, e produce disagio.
L'anedonia è quindi quella condizione in cui non si prova piacere, oppure in cui lo si può anche provare, ma non si riesce ad andarlo a cercare, per cui si rimane isolati o inerti, senza riuscire a stimolarsi come in realtà si vorrebbe.
Ci sono diversi tipi di anedonia, di cui uno, forse il più noto, corrisponde alla depressione tipica, o melancolica. In questa forma la persona perde sia l'iniziativa di cercare l'appagamento, sia la capacità di provarlo se esposto. Il tutto avviene dentro un contesto più ampio in cui la persona sviluppa anche la convinzione che non ci sia più niente che lo può interessare, che tutto è perduto, che ormai è troppo tardi per poter essere felici, e che non potrà più esistere niente di rilevante o interessante per sé. Esiste nel giovane adolescente come nell'anziano, e anche nel bambino, per cui non è uno stato che riguarda l'età o le esperienze fatte. Non è quindi da prendere come "normale" in un anziano o in invalido, solo perché appunto l'uno ormai ha vissuto tanto e non ha più molto da scoprire, e l'altro perché ha dei limiti oggettivi.
L'anedonia meno nota è quella in cui la persona è demotivata, e quindi non è che non senta il piacere, è che non vede motivo di cercarlo, e di provarlo. Anzi, può darsi che le situazioni potenzialmente piacevoli e divertenti, ancor prima di profilarsi come occasioni di appagamento, siano vissute già solo a immaginarle con ansia, sgomento e paura. Andare a una festa, consoscere qualcuno, provare a imparare qualcosa, ciò che inevitabilmente passa tra sé e l'appagamento, diventano degli ostacoli, che sono talmente lontani, alti e dolorosi da far pensare alla persona che ormai è "fuori dai giochi", persa, fallita, indietro di anni luce da ciò che poteva essere. C'è in questo una visione fallimentare appunto del proprio destino, come se non fosse stato possibile diventare qualcosa di importante, di buono, di compiuto, di riuscito.
C'è poi un diverso tipo di anedonia, che è quello delle psicosi. In questi casi le persone si lamentano meno, anche se oggettivamente non sembrano più interessate molto alla vita, sopratutto ai rapporti sociali. Da notare che in queste forme le terapie antipsicotiche possono avere un peso nel determinare un atteggiamento di distacco, di abulia, non necessariamente con uno stato di disagio da parte della persona.
Non sempre l'anedonia è assoluta. Nelle forme depressive atipiche, nel disturbo bipolare e anche nelle psicosi può darsi che la persona sia piuttosto orientata verso piaceri autonomi, casalinghi, consolatori. Ad esempio una persona può lamentare assenza di appagamento ma poi trovare sfogo in attività come il mangiare, il masturbarsi, il bere, l'usare sostanze. Tutte cose che magari avrebbe comunque fatto, ma che in questo caso divengono le uniche fonti di piacere proponibili perché le altre sono "bloccate", oppure divengono un'illusione di appagamento consolatorio, perché poi in realtà si tratta di piacere frustrato, insoddisfacente, o addirittura vissuto con un misto di voglia e di rabbia.
Anedonia è presente in altre sindromi non umorali, come la depersonalizzazione, o anche i disturbi d'ansia. Ad esempio, la persona che ha fobia sociale o ossessioni, essendo tagliata fuori o impedita in una serie di circostanze, è in uno stato di "privazione" di piacere. Tuttavia, appunto, più che disturbo del sistema dell'appagamento, queste sono situazioni in cui l'appagamento manca, e quindi la persona lamenta come è naturale che sia il fatto che ne è privata.

Per concludere, il messaggio più "strambo" mi è parso quello del "cervello che collassa", come nel caso di cronaca a cui si riferivano gli articoli. Una persona che si è tolta la vita perché il suo cervello ha "collassato". Certo, in un senso figurato, come modo di dire, va bene. Eppure sembrava proprio che si volesse dare l'idea di una sorta di cervello che "degenera" e ad un certo punto implode. Più che altro nelle malattie, come può essere una depressione resistente ai trattamenti, o una non trattata, si possono raggiungere livelli di irrigidimento depressivo elevati, anche delirante, con perdita del contatto con gli elementi reali, filtrati attraverso il cervello depresso.
E' noto che una parte delle depressioni, sopratutto bipolari, hanno la tendenza a lasciare aperto il problema del "piacere", e che il tema del piacere che non torna più come prima è centrale. Se c'è di mezzo un uso di sostanze la cosa è ulteriormente centrale. Il termine che abbiamo utilizzato per queste situazioni è "ipoforia", ovvero quella forma di anedonia "relativa", in cui non si può dire che il piacere sia assente, ma la persona è in uno stato di attivazione e di motivazione che corrisponde alla differenza tra il massimo piacere provato e quello attuale, cosicché è probabile che si trovi quasi sempre "sotto" di qualche tacca, sia nel godimento che nell'entusiasmo soprattutto.

Data pubblicazione: 01 ottobre 2018

35 commenti

#1
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Dottore,

vorrei farle una domanda.

Lei ha parlato di anedonia in relazione con la depersonalizzazione. Mettiamo che in un periodo di forte stress la persona scelga volontariamente di ridurre la sua partecipazione affettiva alla vita, per scongiurare eventuali effetti negativi a lungo termine. So che di solito ci si rivolge agli affetti proprio a scopo regolatorio, ma ci sono molte situazioni di sradicamento e solitudine in cui questo non è possibile.

Questo potrebbe causare anedonia e abulia? E se questo fenomeno di ritiro semi autistico rimane nel tempo in quanto rivelatosi funzionale, si può logicamente parlare di psicosi?

Grazie per l'eventuale risposta.


#2
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Dr. Matteo Pacini

"Scelga volontariamente" denoterebbe un volontario distacco dal piacere. Non può essere così, se mai può essere che una persona scelga di tagliarsi fuori per evitare stress, poiché in realtà non prova più piacere o ancor prima di riuscire a provarlo vede pericoli, fatica, etc o ritiene improbabile e dolorosa la ricerca del piacere.
Nell'esperienza quindi non c'è un rapporto di causa-effetto, c'è più una consequenzialità tra sentirsi distaccati e cercare il distacco ancora di più.

#3
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Le è capitato di trovare l'anedonia con il disturbo post traumatico da stress?

Se sì, si tratta come la comune depressione endogena o in altro modo?

Grazie.

#4
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A proposito, mi vorrei complimentare per l'articolo Dall'individuo alla diagnosi e dalla diagnosi all'individuo.

In effetti non è facile accettare che pensieri, comportamenti e persino percezioni (ossia tutto ciò che ci definisce come individui) siano pesantemente influenzate da qualcosa al di fuori dal nostro controllo. Fa sentire decisamente impotenti, non mi meraviglia che sia un pensiero attivamente evitato sia dai pazienti che dai familiari che dalle istituzioni.

Le auguro un buon sabato,

Infanta di Francia

#5
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Dr. Matteo Pacini

La ringrazio.

Certo, essendo l'anedonia un sintomo, si trova in molte sindromi. Anche il post-traumatico.

#6
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Più che altro mi interessava sapere se l'anedonia è sempre la spia di precise alterazioni cerebrali o se è un sintomo non specifico. Grazie.

#7
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E' un termine generico per indicare uno stato di incapacità di provare piacere, ma poi si aprono diverse situazioni particolari.

#8
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Grazie mille.

#9
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Buongiorno ,
Questo termine ,negli ultimi mesi ,l'ho sempre sentito associare al suicidio del figlio di Lory del Santo,quindi non è né causa né conseguenza è ,punto .

#11
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Il suicidio so che è una scelta per chi non sopporta più di convivere con i propri mostri , ma per chi rimane ha bisogno di sapere o quanto meno dare una giustificazione a questo atto . È difficile.

#12
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Dr. Matteo Pacini

Non si capisce bene sintatticamente la frase, solo la prima parte. Ma non è che il suicidio debba avere un significato.

#13
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Se considerassimo il suicidio senza significato ,allora si potrebbe paragonare al mattatoio ,almeno quest'ultimo avrebbe significato. :)

Se posso chiederlo ,come considera il suicidio in sé ,senza entrando nelle dinamiche personali di nessuno.


#14
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Dr. Matteo Pacini

Non sto dicendo che non abbia nessun significato, Lei gli attribuisce quel significato. I dati non dicono questo però. Non ha una logica linearmente depressiva, né di accompagnamento di condizioni estreme, disperate o irrimediabili. Ha una sua evoluzione in gravità, una variabilità durante il tentativo, che poi riesce o meno, per cui in parte si tratta di comportamenti a rischio (non calcolato o senza interesse per come andrà a finire).
L'interpretazione psicologica si può fare soltanto sulla base delle dichiarazioni dei falliti suicidi, ma anche qui non è detto che la ricostruzione a freddo renda ragione del funzionamento mentale al momento dell'atto. Si conoscono quindi dei dati che descrivono il fenomeno. Trovare una spiegazione del suicidio come categoria risponde di solito alla voglia di colpevolizzare o di relegare la persona in una categoria deteriore, cosa che non condivido. Oppure, nel giustificarlo, come per tranquillizzare chi ne prende atto: se uno si suicida, lo avrà fatto perché non aveva altra scelta... ma anche su questo i dati non tornano.
La malattia mentale già nota c'entra, ma da sola non spiega con una diagnosi il fenomeno.

#15
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Utente 509XXX

Purtroppo le poche righe non permettono una spiegazione di maxi concetti neuroscientifici come la percezione, che sarebbe interessante approfondire.
Non ho capito il processo che porta al virgolettato collasso del cervello.
Dato uno stimolo, individuato il ricavo in termini di piacere, poniamo una situazione di totale assenza di stress, tra motivazione e realizzazione cosa intercede?
Si conosce un metodo, anche farmacologico, per dare un incoraggiamento al neurotrasmettitore incaricato dell'azione?

#16
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Dr. Matteo Pacini

il virgolettato "collasso" è un termine senza senso, che presumo sia detto così per dire che uno non ce la faceva più. Tecnicamente non significa niente, anzi spesso rende un'idea di un cervello che è "scarico", ma non è detto che lo sia, anzi, magari è invece agitato nel momento in cui decide di compiere un gesto del genere.
Il cervello non ragiona per prevenire il suicidio o per sostenere il buon umore, quando si interviene si interviene sulla persona per farla star bene, ma non è che sempre il cervello ci offre una sponda per lavorare, e che ci siano delle strutture già pronte per fare il lavoro terapeutico. La terapia è una modifica di ciò che il cervello tenderebbe a fare in quella fase.

#17
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Nn me ne voglia ,ma nn mi attengo mai ai dati statistici ..se ne azzeccassero uno ,sarei vincitrice al Totip da anni..:)

Ok,mettiamola sul personale , come back , il significato lo attribuisco all''azione prossima.



.

#18
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Utente 509XXX

Credo di aver creato confusione.
Io sono quello del virgolettato.

La mia domanda sul processo stimolo-percezione- ricompensa in piacere- motivazione- fallimento non riguarda il tentativo di suicidio ma anzi la ricerca del piacere, quindi direi un tentativo di vita.
Trovo assurdo il passaggio tra motivazione e desistenza, che avviene brusco e ingiustificato (nessuno stress, ostacolo, fattore esterno).

(Così il termine ''collasso'' rende bene, perlomeno a me, metaforicamente, il crollo auto-indotto di questi tasselli su se stessi. Aggiungo anche '' degenera il cervello'' nei termini che userei per descrivere la situazione. Il ripetersi del procedimento corrode con il tempo le basi della motivazione)

Chiedo scusa ad entrambi per l'intromissione.

#19
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Ha fatto benissimo ad intromettersi ,lei è gentilissimo ,carino e competente in materia
Neurologica .
Anzi potrebbe darmi una mano a comunicare con lo psichiatra Matteo,che dice " Trovare una spiegazione del suicidio come categoria risponde di solito alla voglia di colpevolizzare o di relegare la persona in una categoria deteriore, cosa che non condivido"

Nessuno credo condiva il fatto che si cataloghi qualcuno con una etichetta ,che per altro nn sopporto ,ma quando succede e solo perché potrebbe capitare?

#20
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Utente 509XXX

Carino sì ma competente in materia neurologica no.
Proprio per questo il mio contributo alla discussione sarebbe un'opinione personale di quelle da bar, senza fonti o studi dietro.
Visto l'argomento meglio lasciar perdere.

#21
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Dr. Matteo Pacini

I dati statistici direi che c'entrano con le scommesse ? Cioè uno dovrebbe vincere al lotto secondo statistica ? Direi proprio di no.

Invece per conoscere le cose servono, altrimenti si va a caso.

Per il resto i suoi messaggi non sono comprensibili, è già la quarta volta, e non capisco perché chiamarmi per nome.

Quindi non le rispondo, e eviti di scrivere ancora.

#22
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Utente 509XXX

Su segnalazione del primo utente ho letto l'articolo menzionato su diagnosi e individuo. Trovo confortante l'idea di una malattia standard, per tutti, e di una terapia standard, per tutti, perchè permette un metodo scientifico. Non sopporterei l'opposto, essere un singolo caso senza precedenti clinici affini, con uno davanti che gioca ai dadi con la mia psiche.
La visione della malattia fredda è affascinante e consolatoria proprio perchè ci dice che ''pensieri comportamenti e perfino percezione'' possono essere in nostro controllo. Capisco la poesia, ma il fatto che ogni cervello risponda in maniera diversa ad una sostanza/cura è anche un dramma.
Oltretutto non è la percezione a definirci come individui, ma la sua interpretazione.

Fatta questa premessa, e legandomi a quanto scritto nei commenti sopra, torno a chiedere al dottore: in un caso di anedonia atipica (il paziente riconosce il piacere, lo desidera, prova un'iniziale motivazione e poi demorde immotivatamente), sappiamo modificare, come dice lei, ''ciò che il cervello tenderebbe a fare in quella fase'', dove la fase sarebbe il crollo motivazionale?

#23
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Risposta all'amico/a qui sopra
Se la poesia non nasce con la stessa naturalezza Delle foglie sugli alberi , è meglio che non nasca neppure.
La tua domanda è interessante ,meritevole di continuazione .


#24
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Utente 509XXX

È il bisogno di poesia, o istinto del bello, che nasce spontaneo. La creazione richiede tecnica e metodo, sforzo e artificio. È un intervento razionale. E la comprensione pure.

#25
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Decine di articoli, e non uno che tratti in maniera completa e organica l'unica cosa che interessi davvero ai pazienti: che cosa può davvero fare la psichiatria per chi soffre di disturbi psichici? Che cosa fanno esattamente le cure, in che modo, e a quale prezzo, in termini di effetti collaterali a medio e lungo termine, e con quali risultati, rispetto a chi non soffre di queste patologie? A che punto è la ricerca in psichiatria? Perché continua a non esserci accordo sull'eziologia e sulla nosografia stessa tra Psicologia e Psichiatria? Esattamente, cosa ci state vendendo? Almeno voi, lo sapete?

#26
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Dr. Matteo Pacini

Ah, ecco dove voleva arrivare, anche se sembrava un ragionamento vago ma comunque sensato. A dire che gli psichiatri vendono acqua fresca oppure roba tossica ? Ma tu guarda che novità come provocazione.

Senta, cerchi di essere meno supponente e offensivo.

#27
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Ma non è una provocazione. È una domanda, che insieme a tutte le altre (gentile a concedere che siano sensate, grazie) resta drammaticamente aperta e attuale. Sono tutte cose che non sono chiare all'opinione pubblica, e anche a molti addetti ai lavori, vista la discordanza che si evidenzia in letteratura e anche nella pratica clinica (psicologi, medici di base, psichiatri stessi che sconsigliano l'uso prolungato di farmaci o che lo considerano solo come estrema ratio, per fare un esempio). Di fatto resta una confusione generale sulla materia, e così il pregiudizio, la diffidenza e la paura che si traducono nello stigma e nell'emarginazione per chi è costretto ad occuparsi della propria e altrui salute mentale, specie in quelle fasce di popolazione più svantaggiate anche dal punto di vista economico, culturale e sociale. Sa, al cinquantesimo e fischia articolo, uno s'aspetterebbe ad un certo punto qualcosa tipo: "Ok, il Morandini psichiatrico l'abbiamo fatto, ora proviamo a spiegare che cosa fa esattamente un antidepressivo al nostro cervello", tanto per dirne una. Ma mica perché lo dice un passante. Perché veramente non conosco nessuno che lo sappia.

#28
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Utente 509XXX

Dottore deve leggere il numero utente altrimenti non ne usciamo.
Io sono sempre sullo stesso punto da 4-5 commenti.
Individuata la fonte di piacere (chiamiamola poesia, bellezza, fellatio, a scelta), quale meccanismo biologico interviene ad allontanarla e scoraggiare una sua ricerca/conquista? Siamo attrezzati per cambiare questa predisposizione mentale?

Riassumo così: si vede un quadro, si prova piacere, ci si allontana.
Un'allergia al benessere e all'amor proprio che sappiamo curare? vinciamo l'anedonia? Come?

Credo sia interessante anche parlare di cause.
Sono esterne, sociali? Capita che il cervello riconosca un piacere che noi no, e viceversa.

Voglio solo completare l'articolo, senza polemiche. Lei dice che questa cosa la conosciamo bene, mette in guardia da falsi scoop. Andava detto,
bel lavoro.
Chi legge però si chiede come va a finire la storia.

Mancano due righe su ricerca scientifica e metodologia di trattamento,
tutto qui.

Saluti.

#31
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Dr. Matteo Pacini

Metodologia scientifica di che cosa ? Questo non è un lavoro di ricerca o di revisione della letteratura, ma il commento ad un concetto.

#32
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Ex utente

La gente si ammazza, e il buon dottore commenta: "Non è che debba significare qualcosa".
E censura i commenti, altro che commento privato tra professionisti. A riprova di quanto censurato, peraltro.








#33
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Dr. Matteo Pacini

Censuro come e quando mi pare, essendo il mio blog. Soprattutto insulti come i suoi, oltretutto sciocchi.

Non è che il suicidio debba significare qualcosa, certo. Non è detto che abbia un significato. Scommento che Lei questo lo ritiene o vuole giocare a ritenerlo qualcosa di offensivo. Difficile credere che uno capisca così male e debba sostenere polemiche così inutili, ma chiaramente non ha capito niente, e non vuole neanche capirci niente. La accontento e a breve presumo la oscuro. Nel frattempo ho comunicato allo staff perché i suoi atteggiamenti sono inaccettabili.

#34
Foto profilo  Staff Medicitalia.it
Staff Medicitalia.it

Utente cancellato per violazione delle linee guida

Cordiali saluti
staff@medicitalia.it

#35
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Dr. Matteo Pacini

A beneficio di chi invece voglia approfondire, non so di preciso a che commento si riferisse l'utente cancellato.
Il senso del fatto che il suicidio non necessariamente significa qualcosa si riferisce al fatto che il gesto suicidario spesso è "muto". Possiamo solo speculare sul perché è stato compiuto, e invece a volte, nell'esperienza dei suicidi mancati osservati in ospedale, appare chiaro che la persona ha compiuto un gesto neanche classificabile come suicidario, ma semplicemente letale, o estremamente rischioso, per motivi che possono corrispondere a un delirio, o ad uno stato confusionale. Certamente in altri casi è tutto molto più lineare, con una intenzione, messaggi, dichiarazioni e poi l'atto finale. Però anche in questi casi non è detto che il tutto si svolga in un meccanismo di decisione "punto e basta", esiste una instabilità e mutevolezza che va dal "volersi spegnere" al voler morire al non dare più importanza a quel che ti accade.

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