Anedonia. Uno scoop inesistente su un sintomo psichiatrico che più classico non si può
i aggancio ad una notizia recente che tira in ballo questo termine, anedonia, come se fosse chissà quale novità. Non solo non è una grande novità, non è una novità in assoluto. Inoltre, il discorso che se ne è fatto riflette forse quello che è stato capito di qualcosa che è stato descritto da un medico, ma poi il tutto sembra essere stato reso “notizia” per la mancanza delle nozioni di base. Cerchiamo di rimediare.
Faccio una premessa: nel leggere articoli giornalistici riguardanti la medicina, in generale riscontro sempre lo stesso problema. Le notizie (prendiamo le “novità” antitumorali) parlano di rivoluzioni prossime a venire, dopo di che nell’articolo leggo di terapie innovative che erano già tali quando studiavo medicina. Alcune sono rimaste al palo e sono ciclicamente presentate come nuove frontiere. La psichiatria è invece vittima prediletta di un altro assurdo giornalistico, e cioè le nuove diagnosi, un po’ per colpa anche dell’ambiente forse. Spuntano diagnosi psichiatriche presentate come fossero nuove malattie, mentre invece sono diagnosi di sintomi, ovvero come se si dicesse: abbiamo scoperto una nuova malattia, la “febbre”. In questo caso il termine è "anedonia", cioè quello stato mentale che comprende l'incapacità di provare interesse e/o appagamento per le varie attività e stimoli disponibili. Si apprende sempre dai giornali che si tratterebbe di uno "squilibrio del cervello", come se quando si parla di psichiatria, di disturbi mentali e psicologici, non si stesse automaticamente parlando di questo tipo di oggetti: cervello, neuroni, mediatori chimici dei neuroni (neurotrasmettitori), e....banalmente, di squilibri, un modo come un altro per dire che qualcosa non va, non quadra, e produce disagio.
L'anedonia è quindi quella condizione in cui non si prova piacere, oppure in cui lo si può anche provare, ma non si riesce ad andarlo a cercare, per cui si rimane isolati o inerti, senza riuscire a stimolarsi come in realtà si vorrebbe.
Ci sono diversi tipi di anedonia, di cui uno, forse il più noto, corrisponde alla depressione tipica, o melancolica. In questa forma la persona perde sia l'iniziativa di cercare l'appagamento, sia la capacità di provarlo se esposto. Il tutto avviene dentro un contesto più ampio in cui la persona sviluppa anche la convinzione che non ci sia più niente che lo può interessare, che tutto è perduto, che ormai è troppo tardi per poter essere felici, e che non potrà più esistere niente di rilevante o interessante per sé. Esiste nel giovane adolescente come nell'anziano, e anche nel bambino, per cui non è uno stato che riguarda l'età o le esperienze fatte. Non è quindi da prendere come "normale" in un anziano o in invalido, solo perché appunto l'uno ormai ha vissuto tanto e non ha più molto da scoprire, e l'altro perché ha dei limiti oggettivi.
L'anedonia meno nota è quella in cui la persona è demotivata, e quindi non è che non senta il piacere, è che non vede motivo di cercarlo, e di provarlo. Anzi, può darsi che le situazioni potenzialmente piacevoli e divertenti, ancor prima di profilarsi come occasioni di appagamento, siano vissute già solo a immaginarle con ansia, sgomento e paura. Andare a una festa, consoscere qualcuno, provare a imparare qualcosa, ciò che inevitabilmente passa tra sé e l'appagamento, diventano degli ostacoli, che sono talmente lontani, alti e dolorosi da far pensare alla persona che ormai è "fuori dai giochi", persa, fallita, indietro di anni luce da ciò che poteva essere. C'è in questo una visione fallimentare appunto del proprio destino, come se non fosse stato possibile diventare qualcosa di importante, di buono, di compiuto, di riuscito.
C'è poi un diverso tipo di anedonia, che è quello delle psicosi. In questi casi le persone si lamentano meno, anche se oggettivamente non sembrano più interessate molto alla vita, sopratutto ai rapporti sociali. Da notare che in queste forme le terapie antipsicotiche possono avere un peso nel determinare un atteggiamento di distacco, di abulia, non necessariamente con uno stato di disagio da parte della persona.
Non sempre l'anedonia è assoluta. Nelle forme depressive atipiche, nel disturbo bipolare e anche nelle psicosi può darsi che la persona sia piuttosto orientata verso piaceri autonomi, casalinghi, consolatori. Ad esempio una persona può lamentare assenza di appagamento ma poi trovare sfogo in attività come il mangiare, il masturbarsi, il bere, l'usare sostanze. Tutte cose che magari avrebbe comunque fatto, ma che in questo caso divengono le uniche fonti di piacere proponibili perché le altre sono "bloccate", oppure divengono un'illusione di appagamento consolatorio, perché poi in realtà si tratta di piacere frustrato, insoddisfacente, o addirittura vissuto con un misto di voglia e di rabbia.
Anedonia è presente in altre sindromi non umorali, come la depersonalizzazione, o anche i disturbi d'ansia. Ad esempio, la persona che ha fobia sociale o ossessioni, essendo tagliata fuori o impedita in una serie di circostanze, è in uno stato di "privazione" di piacere. Tuttavia, appunto, più che disturbo del sistema dell'appagamento, queste sono situazioni in cui l'appagamento manca, e quindi la persona lamenta come è naturale che sia il fatto che ne è privata.
Per concludere, il messaggio più "strambo" mi è parso quello del "cervello che collassa", come nel caso di cronaca a cui si riferivano gli articoli. Una persona che si è tolta la vita perché il suo cervello ha "collassato". Certo, in un senso figurato, come modo di dire, va bene. Eppure sembrava proprio che si volesse dare l'idea di una sorta di cervello che "degenera" e ad un certo punto implode. Più che altro nelle malattie, come può essere una depressione resistente ai trattamenti, o una non trattata, si possono raggiungere livelli di irrigidimento depressivo elevati, anche delirante, con perdita del contatto con gli elementi reali, filtrati attraverso il cervello depresso.
E' noto che una parte delle depressioni, sopratutto bipolari, hanno la tendenza a lasciare aperto il problema del "piacere", e che il tema del piacere che non torna più come prima è centrale. Se c'è di mezzo un uso di sostanze la cosa è ulteriormente centrale. Il termine che abbiamo utilizzato per queste situazioni è "ipoforia", ovvero quella forma di anedonia "relativa", in cui non si può dire che il piacere sia assente, ma la persona è in uno stato di attivazione e di motivazione che corrisponde alla differenza tra il massimo piacere provato e quello attuale, cosicché è probabile che si trovi quasi sempre "sotto" di qualche tacca, sia nel godimento che nell'entusiasmo soprattutto.