La perfezione è patologia?

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Dr. Daniel Bulla Psicologo, Psicoterapeuta

Un classico dilemma, portato nello studio dello Psicoterapeuta, suona più o meno così:

“Dottore, la perfezione è patologia oppure no?”

La risposta, come spesso accade, è insita nel significato specifico dei termini. E in questo caso il Vocabolario della Lingua Italiana (Devoto-Oli, 2003) ci viene in aiuto:

  1. Perfezione = deriva dal latino perficére, che significa compiere. E’ il grado qualitativo più elevato, tale da escludere qualsiasi difetto e spesso identificabile con l’assolutezza o la massima compiutezza; è una qualità estremamente rara e notevolmente positiva

  2. Perfezionismo = tendenza nevrotica di tipo ossessivo, che impedisce spesso all’individuo di attuare cose relativamente semplici, per eccesso di narcisismo e di autocritica. In senso più generale, aspirazione, talvolta eccessiva, a raggiungere nell’ambito della propria attività o del proprio lavoro, la perfezione.

Come si può notare lo stesso Vocabolario ci orienta nel trovare la risposta al dilemma iniziale: non è la perfezione patologica in sé, ma è il cercare di raggiungerla ad ogni costo (e nonostante le evidenze opposte), al punto da inficiare completamente la performance. E’ una questione di standard eccessivamente elevati e, per definizione, irraggiungibili. Molte persone in questi casi riportano la sensazione che provano più o meno in questo modo “Dottore, è come se cercassi di raggiungere un puntino luminoso alla fine del tunnel, non riuscendovi mai”.

Il perfezionismo influisce pesantemente anche sul modo di comunicare che alcune persone utilizzano: la Psicologia chiama questi soggetti “comunicatori passivi”.

Il comunicatore passivo sente che le persone dovrebbero sempre dire/fare la cosa giusta, al momento giusto, ottenendo il massimo apprezzamento. Questa sensazione (perfezionismo) inibisce il passivo, il cui pensiero interno più o meno suona così: “nelle relazioni bisogna essere perfetti; io sono imperfetto; gli altri sicuramente non apprezzeranno la mia imperfezione; quindi meglio rimanere zitti”.

Questo meccanismo instaura un circolo vizioso, che porta i comunicatori di tipo passivo ad evitare di mettersi in gioco, onde non rischiare di venire bollati come “imperfetti”.

Un altro problema tipico del perfezionista nasce dai rinforzi positivi che spesso arrivano dagli altri: è il collega più apprezzato, attento e scrupoloso; è il Medico più informato, che ci rassicura con la sua preparazione; è il partner che non si dimentica le ricorrenze, ecc. Insomma, il “precisino” piace alla società, che rinforza continuamente i suoi sforzi, confermando il bisogno di presentarsi in modo ineccepibile, controllato, perfetto.

Come nella maggior parte delle situazioni, la soluzione sta nel mezzo: una giusta dose di attenzione nel fare cose, senza esagerare, è la scelta più salutare. Ciò chiaramente presuppone un ridimensionamento dei propri (ed altrui) standard. Chiedere meno a noi stessi, ed alle persone a cui vogliamo bene, a favore di un approccio equilibrato e sano alla vita.

Data pubblicazione: 18 marzo 2013 Ultimo aggiornamento: 10 maggio 2013

Autore

danielbulla
Dr. Daniel Bulla Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2000 presso Università Cattolica Sacro Cuore.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Lombardia tesserino n° 7211.

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