"Insegnare" l'omosessualità a scuola rende gli studenti omosessuali?

Il termine "omosessualità" deriva dal greco omoios (simile) e dal latino sexus (sesso). In italiano, l'aggettivo omosessuale viene dunque usato per definire l'attrazione sessuale di un individuo nei confronti di persone del suo stesso sesso. In ambito scientifico, l'omosessualità è stata definita come una normale variazione della sessualità umana. Con l'aggettivo "normale" ci si riferisce tuttavia a un concetto statistico, privo di ogni connotazione morale. Per la scienza infatti un fenomeno viene definito "normale" quando si manifesta con regolarità nella maggior parte degli individui. Il termine "normale" assume tuttavia un significato diverso all'interno delle discipline sanitarie e, in particolar modo, all'interno della psicopatologia, nella quale ci si riferisce alla "normalità" in relazione a fenomeni di natura non patologica. 

Quando l'OMS ha definito l'omosessualità come una normale variazione della sessualità umana ha probabilmente voluto riconsiderarla come un fenomeno di carattere non patologico che si presenta con una certa regolarità all'interno degli individui della stessa specie. Non si tratta dunque del tentativo d'imporre l'accettazione incondizionata di principi e valori, ma semplicemente di una doverosa presa di posizione scientifica atta ad arginare fenomeni di discriminazione ideologia e sanitaria nei confronti di una parte della popolazione mondiale.

D'altronde, in epoca greco-romana l'omosessualità era vissuta come un fenomeno sociale e culturale considerato alla stregua degli altri orientamenti sessuali. Fu infatti con l'avvento del Medioevo che tale orientamento sessuale venne indicato come qualcosa di negativo e peccaminoso. Tale concezione fu supportata anche dalla medicina fino al 1973, anno in cui l'APA, forte dei risultati scientifici e delle scoperte ottenute in ambito clinico, decise di eliminare l'omosessualità dalle patologie incluse nel DSM. Negli ultimi anni la comunità scientifica ha deciso di proibire le cosiddette "teorie riparative", ovvero pratiche di condizionamento estremo volte a modificare l'orientamento sessuale dell'individuo, in quanto: se l'omosessualità non è considerata patologica, non aveva senso cercare di curarla e in quanto le terapie in questione, oltre a ledere profondamente la salute psicologica e la dignità della persona, si sono spesso rivelate inefficaci. Nonostante ciò sono stati pochi gli sforzi concreti compiuti per superare i pregiudizi e le barriere ideologiche connesse a tale orientamento sessuale. 

Perche l'omosessualità ci spaventa?

La sfida più grande da parte di ogni persona è quella di riuscire a mettere da parte i propri schemi, le proprie mappe cognitive, per riuscire ad attribuire un nuovo valore a concetti e idee presenti nella propria mente. Ciò può significare che molte persone non riescono a liberarsi dei pregiudizi omofobi perché sono creciuti all'interno di un contesto sociale basato su tali preconcetti. Di conseguenza, i concetti e le categorie mentali che possiedono si sono sviluppati all'interno di una cultura in cui l'omosessualità era considerata come una patologia o una deviazione. Il cambiamento cognitivo è qualcosa che richiede sforzi notevoli che alcuni individui potrebbero non essere disposti a compiere senza adeguate motivazioni. Inoltre, quando si tenta di comunicare a qualcuno un'informazione che contrasta profondamente con i suoi principi, si rischia di attivare una sorta di meccanismo di "protezione" che spinge la persona a trincerarsi dietro alle proprie idee e a rifiutare a priori le idee dell'altro. Si può dunque supporre che alcune persone rifiutino l'omosessualità semplicemente perché è stato loro insegnato a rifiutarla e accettarla richiederebbe la capacità di compiere sforzi cognitivi, e sottoporsi a situazioni di disagio psicologico, tali da non essere giustificati. Proprio come per i nostri antenati fu problematico accettare l'idea che la terra fosse rotonda, oggi per molte persone è difficile accettare l'idea che possano esistere persone omosessuali e che questi non siano necessariamente "malati" o "deviati".

A cosa serve parlare di omosessualità?

Il cambimento di pensiero può avvenire in diversi modi: spontaneamente, attraverso le psicoterapie o attraverso l'educazione. Poiché il cambiamento spontaneo si verifica raramente (soprattutto in assenza di motivazioni intrinseche) e la psicoterapia richiederebbe un notevole dispendio di risorse (oltre a essere eticamente scorretta), l'educazione potrebbe costituire il metodo di elezione per il superamento dei pregiudizi nei confronti delle persone omosessuali. Sembra infatti che la vicinanza con gruppi sociali che condividono caratteristiche differenti dalle proprie possa ridurre i pregiudizi e favorire lo sviluppo di relazioni funzionali. D'altronde è normale che ciò che non si conosce possa fare paura, soprattutto se tali paure sono alimentate da "falsi miti" e da norme sociali implicite. L'appartenenza a un gruppo, anche se legata alla condivisione di fattori superficiali (per esempio il colore degli occhi), spinge gli individui ad accettare norme a valori del gruppo di riferimento e a criticare quelli degli altri gruppi. Talvolta il legame e la fedeltà verso il gruppo di riferimento sono tali che l'odio verso gli altri gruppi viene considerato come legittimo, anche quando si riferisce a fenomeni che non si conoscono o con i quali non si è mai venuti a contatto. Inoltre spesso il modo più semplice per difendere le proprie idee consiste nello screditare le idee degli altri, facendole passare per qualcosa di immorale, sbagliato o poco attraente. Alcuni studi scientifici hanno dimostrato però che la vicinanza con gruppi sociali differenti dal proprio, la conoscenza diretta e il confronto positivo, rendono più semplice l'accettazione e, in poche parole, danno adito a quel famoso cambiamento cognitivo che potrebbe portare le persone a non temere più l'omosessualità. Sembra dunque che parlare di omosessualità e conoscere altre persone omosessuali possa contribuire a ridurre i pregiudizi e a favorire l'accettazione. 

Che ruolo ha la scuola?

Nel corso della vita, le persone hanno due principali fonti educative: la prima è la famiglia di origine, mentre la seconda è la scuola. Lo scopo della scuola è dunque quello di formare l'individuo attraverso nozioni e strumenti che possano essergli utili per integrarsi nella società. Tuttavia il compito educativo delle istituzioni scolastiche non si limita alla semplice trasmissione di nozioni e concetti, ma dovrebbe favorire il pieno sviluppo delle potenzialità umane che passa per la capacità di pensare in modo critico e autonomo. Il termine educare (dal latino "educere") non significa infatti "tramandare", ma significa "tirare fuori", ovvero fornire agli studenti gli strumenti necessari per il corretto sviluppo della propria persona. L'intelligenza e la formazione non possono dunque limitarsi a fornire nozioni preconcette, ma dovrebbero consentire alle persone di sviluppare la capacità di trascendere le nozioni apprese per affrontare le sfide della vita. Ecco perché la scuola ha il dovere di affrontare i temi connessi alla sessualità e all'omosessualità, senza per questo offendere i valori e le idee degli studenti.

Quali sono i rischi?

Se si pensa alla scuola come a un'istituzione il cui scopo è quello di trasferire nozioni preconcette affinché gli individui le facciano passivamente proprie, il pensiero che può venire in mente è che parlare di omosessualità possa obbligare gli studenti ad accettare tout-court gli omosessuali o, peggio ancora, a diventare omosessuali. Ma l'omosessualità è una condizione parzialmente innata, che si sviluppa a partire da specifiche configurazioni biologiche, psicologiche e ambientali e che non può essere appresa. Non si diventa omosessuali solo perché si è scoperto che l'omosessualità non è una patologia e non si mettono da parte i valori in cui si crede solo in virtù dell'idea che tutti gli esseri umani debbano essere uguali in dignità e diritti. Sono queste le paure che limitano l'evoluzione del pensiero e l'accettazione di punti di vista differenti dal proprio. I valori, le opinioni, i pensieri, sono prodotti sociali che si costuiscono all'interno di scambi comunicativi complessi. Parlare di omosessualità può dunque portare le persone a pensare che, dopo tutto, ammettere che possano esistere anche altre forme di "amore" è accettabile, ma allo stesso tempo che continueranno a ricercare partner di sesso opposto perché è da questi che sono attratti. 

Se si pensa alla scuola come a un'istituzione in grado di fornire strumenti imparziali, il cui utilizzo è lasciato a discrezione degli studenti e veicolato dalla loro personalità e dai loro valori, le paure e i pregiudizi dell'educazione all'omosessualità spariscono. Atteggiamenti dogmatici tipici di alcuni ambienti accademici non fanno altro che alimentare l'antipatia dei giovani verso tali ambienti. Mentre approcci più dialogici in cui le conoscenze vengono fornite non perché siano accettate, ma perché si evolvano, vengano modificate e trasmesse agli altri restituiscono alla scuola la funzione di laboratorio cognitivo per lo sviluppo dell'intelligenza umana.

Il rischio più grande che si corre dunque parlando di omosessualità nelle scuole è che paradossalmente la scuola possa divenire un luogo in grado di favorire la creazione d'individui attivi, in grado di pensare liberamente e di applicare le nozioni ricevute nella vita reale. Si tratta della paura che la scuola possa adempiere al suo ruolo educativo e formare individui pensanti, favorendone il completo sviluppo delle abilità cognitive e di ragionamento critico.

Data pubblicazione: 26 luglio 2014 Ultimo aggiornamento: 05 maggio 2016

2 commenti

#1
Dr.ssa Paola Scalco
Dr.ssa Paola Scalco

Salve Sergio,
molto vero ciò che hai scritto... ma quanta strada ancora da fare!
Di questi giorni è la notizia della docente trentina a cui non sarà rinnovato il contratto perché lesbica e un'occasione di riflessione può essere la lettera che un docente gay ha scritto ad un quotidiano:
http://27esimaora.corriere.it/articolo/io-insegnante-gay-di-una-scuola-cattolica-costretto-a-indossare-una-maschera/
Se è l'Istituzione stessa ad avere pregiudizi, come può aiutare i suoi studenti a non averne?

Buon lavoro.
Paola

#2
Dr. Sergio Sposato
Dr. Sergio Sposato

Gent. ma Paola,

Concordo con lei! Ma noi siamo qui anche per questo: per garantire il completo benessere psicofisico delle persone, magari rendendoci noi stessi promotori di quei piccoli, ma necessari, cambiamenti sociali.

Buon lavoro anche a lei,

Sergio

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